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Sud-Nord, se Puglia e Campania crescono più della Lombardia


di Nicola Saldutti

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Il fenomeno investe tutto il Mezzogiorno, che tra 2019 e 2023 ha registrato un aumento del Pil del 3,7% con l’Italia intera al 3,5%. Anche l’export tira: oltre tre volte il Nord Ovest. Bianchi (Svimez): «Il dinamismo delle due grandi città, Napoli e Bari, è evidente». I casi di imprese virtuose da Sideralba al gruppo Sada, da Nappi 1911 a Unifrigo

Bisogna cominciare da qui, dall’Italsider, se si vuole parlare di industria al Sud. Perché è intorno a quella antica fabbrica di acciaio, di tondini, di laminati, con il Pontile che si estende a mare per 800 metri, che il Mezzogiorno aveva scelto: il golfo è meraviglioso, la discesa di Coroglio è un gioiello di Napoli ma per far crescere una città, in quell’inizio di Novecento, bisogna cominciare dall’industria, dalla manifattura. Servono navi, treni, macchine, auto. Operai. Brevetti. Nuovi mercati. Carbon coke. Era il 1910 quando si accende l’altoforno e comincia a funzionare, è il 1990 quando la fiamma viene spenta.

Eccolo il dilemma della crescita: meglio avere più turisti, più ombrelloni o più ingegneri e pulegge? Ogni volta che si parla di economia del Sud è questo il bivio. Che per la verità non esiste: la crescita è figlia di entrambi i motori dello sviluppo. Una crescita ritrovata, se nel periodo tra il 2019 e il 2023 la Puglia ha registrato un aumento del Pil pari al 6,1%, la Campania viaggia sul 4,9%, la Lombardia è al 4,7% e il Veneto al 5,9%. Bilancio finale: il Mezzogiorno cresce a un ritmo del 3,7% mentre l’intero Paese non supera il 3,5%. Dice Luca Bianchi, direttore della Svimez, l’osservatorio più acuto di tutte le trasformazioni del Mezzogiorno: «Bisogna fare una premessa: questa crescita è trainata dal ciclo espansivo della finanza pubblica. Questa volta però non dalla spesa assistenziale, ma dagli investimenti che hanno anche avuto un recupero di efficienza». La spinta si chiama Piano nazionale di ripresa e resilienza. «Qui anche la semplificazione ha avuto un impatto rilevante per avere tempi di realizzazione più veloci». Certo, questa spinta finirà nel dicembre 2026. Ma i segnali di una nuova vivacità sono molti: «Vediamo ad esempio alcune componenti della manifattura, vediamo l’export industriale, agroalimentare e farmaceutico». I numeri dicono che nel primo trimestre di quest’anno, nonostante i venti dei dazi che arrivano forti dagli Stati Uniti, le esportazioni sono aumentate del 9,8 per cento contro il 2,8% del Nord Ovest e l’1,4% del Nord Est. Certo, il divario del reddito disponibile resta molto elevato ma l’economia si muove.




















































Ci sono le storie di Sideralba, oltre 600 mila tonnellate di acciaio tra coils, tubi e lamiere, con una presenza che insieme al gruppo Marcegaglia si è estesa in Tunisia e Algeria. Una realtà che ha fatto della formazione la chiave di sviluppo. Il gruppo irpino Vitillo, circa mille dipendenti, con una presenza in 50 Paesi. Produce dai raccordi, agli adattatori, ai tubi rigidi e flessibili per fluidi ad alta e media pressione. Al gruppo Antonio Sada 6 Figli Spa, che realizza arredamenti e imballaggi in legno, che con la Confindustria di Salerno e le imprese del territorio ha costituito una Fondazione di Istruzione Tecnica Superiore. Al gruppo Nappi 1911, da quattro generazioni. Che ha iniziato con la cernita delle nocciole e ora lavora per l’industria dolciaria, al gruppo Unifrigo Gadus, nato nel 1878. Sono i campioni dell’Economia del futuro e di Ey, alcuni esempi di un mondo che si muove molto più rapidamente di quello che si pensa quando si ragiona per stereotipi economici.

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Solo esempi, naturalmente. Ma il viaggio nelle imprese del Sud è molto variegato: ci sono i 2 miliardi di investimenti di St Micro a Catania, c’è il progetto 3Sun di Enel per la produzione di pannelli fotovoltaici. Competere con i cinesi è molto molto complicato, ma ci stanno provando. C’è quella che il presidente della Triennale, Stefano Boeri, chiama la “manifattura leggera”. Dalle cravatte di Marinella e Cilento 1780 alla tradizione della pelle e del cuoio. Un tessuto d’impresa molto orientato verso le esportazioni. C’è Ati tech, per la manutenzione degli aerei di linea di mezza Europa. Ma naturalmente non tutto funziona: c’è la sospensione del progetto di creare una gigafactory a Termoli. E ci sono i settori che stanno attraversando la crisi della riconversione o del mercato automotive alle prese con la transizione del secolo, con i dazi e la concorrenza di Pechino. L’auto qui al Sud occupa oltre ventimila persone, due stabilimenti in qualche modo simbolo della grande ripresa e ora della difficoltà di Stellantis: Pomigliano d’Arco e Melfi. E l’Ilva, l’impianto di Taranto che sopravvisse ai tagli voluti dall’Europa che portarono alla chiusura di Bagnoli e che ora sta affrontando la partita più importante per la sua sopravvivenza.
Nel 2000 Franco Tatò scrisse un libro dal titolo provocatorio Perché la Puglia non è la California. Turismo, industria aerospaziale, agricoltura: da allora la regione è cambiata molto ed è diventata uno dei poli di riferimento. Un Sud che si trasforma. Uno dei gruppi più dinamici è il gruppo Mermec, leader nella diagnostica per i treni: «Vediamo il dinamismo di due città in particolare, Napoli e Bari», ricorda Bianchi. Si calcola che da sola Napoli voglia dire esportazioni per 14 miliardi. Accenture ha scelto di puntare su queste due città per crescere in Italia. È il capitale umano, una delle fonti di attrazione del Sud. Anche se molti continuano a decidere di andare via. Si stima che negli ultimi dieci anni siano stati circa 500 mila i giovani, in gran parte laureati, ad aver lasciato il Sud. Direzione Nord o direzione mondo. La sfida è diventare attrattivi perché i giovani non vadano via, attirare investimenti, progetti, visioni. Giorgio Ventre, docente dell’Università Federico II e direttore della Apple Academy, un progetto di recupero di una ex fabbrica di aceto della Cirio a San Giovanni a Teduccio fortemente voluta dall’ex rettore, e ora sindaco della città, Gaetano Manfredi: «Non ci hanno certo scelto per il mandolino e la pizza ma perché formiamo il 10,5% degli ingegneri del Paese. La formula è il dialogo continuo tra imprese e Università». Dalle aule della Federico II esce il 10% degli ingegneri italiani. Un sistema aperto. In uno studio riportato dal Corriere del Mezzogiorno emerge come la Campania, secondo il Report Trend-Start Up Innovative, nel primo trimestre 2025 conti 1.515 start up, pari al 12,45% del totale nazionale. Seconda solo alla Lombardia e davanti al Lazio.

Napoli è la capitale di questa innovazione dal basso, con 835 società. L’occupazione nei settori dei servizi ICT è cresciuta tra il 2021 e il 2024 del 31% nel Mezzogiorno (13,1% nel Centro-Nord), pari ad un incremento al Sud di circa 33 mila occupati. E ora che i data center stanno diventato l’architrave dell’intelligenza artificiale e dei dati come strumento di crescita industriale «il Sud potrebbe diventare attrattivo per la costruzione dei nuovi data center, anche per il grande potenziale di crescita del fotovoltaico. Le decisioni potrebbero incrociare questa potenzialità del Mezzogiorno». Ecco, il digitale avrà sempre più bisogno di energia, soprattutto rinnovabile. E Il Mezzogiorno è l’area del Paese a maggior tasso di sviluppo su questo fronte. C’è l’investimento di Terna per il Tyrrhenian Link che collegherà Sardegna, Sicilia e Campania. Sull’hi tech il Crèdit Agricole aprirà a Napoli, dopo Catania, Le Village, un hub di innovazione nel quale far crescere start up. Sul fronte della cultura, l’Unicredit è lo sponsor principale del Teatro San Carlo.
E allora perché i giovani vanno via? Secondo alcune stime Napoli entro il 2035 perderà 150 mila ragazzi, alla ricerca di altre possibilità. C’è un fondo speciale che si chiama Resto al Sud, per incentivare la creazione di imprese. Ma non basta. Antonio D’Amato, ex presidente della Confindustria: «Dove l’80 per cento dei giovani laureati va via, serve un nuovo modello di sviluppo con industrie che non siano acefale, ma che abbiano in Campania e a Napoli il loro centro decisionale. Altro che inseguire la decrescita felice. Siamo i primi per riciclo in Europa. Servono fabbriche e servono i cervelli». Meno bed and breakfast, che pure aiutano la crescita, e più ricerca.

6 agosto 2025

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