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Il PNRR, che sospinge dal 2021 una migrazione al cloud già da anni avviata nella PA italiana, si concluderà tra un anno, nel 2026. Come sta andando, e cosa si intravede dopo la fine?

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Quadro normativo e finanziario della migrazione al cloud pa

Già nel 2019 AgID aveva sancito il principio del “Cloud First”: da allora, le pubbliche amministrazioni (PA) devono valutare prioritariamente soluzioni cloud, in particolare Software as a Service (SaaS) per i nuovi progetti e servizi digitali.
La ragione principale di questa scelta così netta era il bisogno di superare una situazione di grave rischio e inefficienza: anni prima AgID aveva censito più di diecimila sedi dove si trovavano infrastrutture di calcolo di varia natura usate da PA grandi e piccole, in molti casi con bassi livelli di sicurezza fisica e digitale e resilienza.

Il successivo censimento ICT pubblicato da AgID nel 2020 a sostegno del principio contava 1252 “data center” per circa 1000 PA principali, di cui 35 “candidabili all’utilizzo del Polo Strategico Nazionale” (PSN) e quindi adeguati a gestire i servizi più importanti, detti “strategici”, 27 classificati nel gruppo A, cioè mantenibili temporaneamente, e tutti gli altri 1090 nel gruppo B, da dismettere progressivamente, migrando al PSN o a fornitori di servizi cloud qualificati da AgID stessa (ora da ACN).

La migrazione al cloud della PA italiana e il PNRR

In questo contesto specifico il PNRR è intervenuto con due investimenti della Misura 1, Componente 1 (M1C1):

  • 1.1 “Infrastrutture digitali – Polo Strategico Nazionale” (sostanzialmente, il PSN e la migrazione verso di esso di PA centrali, ASL e Aziende Ospedaliere), per 900 milioni di euro, e
  • 1.2 “Abilitazione e facilitazione migrazione al Cloud” (supporto e incentivo alla migrazione per Comuni, Scuole, ASL e Aziende Ospedaliere), per 1 miliardo di euro.

Questi due investimenti corrispondono quindi all’1% dei 194,4 miliardi complessivi del PNRR, al 19% dei 9,75 miliardi di M1C1, e al 13% dei 14,70 miliardi di Euro che il PNRR assegna alla selezione di iniziative “Digitalizzazione della PA”, “Reti Ultraveloci”, “Sanità Digitale” e “Spazio” delle quali il Dipartimento per la Trasformazione Digitale (“Dipartimento”) ha riepilogato la documentazione ufficiale di attuazione in: Attuazione misure PNRR.

A che punto è la migrazione al cloud della PA

Il punto di partenza per rispondere a questa domanda sono le informazioni sul progresso delle iniziative che il Dipartimento raccoglie e pubblica come open data. Queste informazioni riguardano i fondi offerti, assegnati, ed effettivamente spesi.

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Il Dipartimento monitora inoltre cosa effettivamente ciascuna PA abbia migrato al cloud, e quando il Dipartimento stesso ha verificato (“asseverazione”) che la migrazione è completa, avvia il processo di liquidazione, che quindi avviene dopo la conclusione della migrazione. Le informazioni sono strutturate per “progetto”, l’iniziativa di livello più granulare alla quale si possa riferire l’assegnazione e il consumo dei fondi, identificata da un codice (CUP, Codice Univoco Progetto). Le informazioni di dettaglio su questo avanzamento concreto sono disponibili su una diversa raccolta di open data, quella di ItaliaDomani, per tutti gli investimenti di tutte le componenti del PNRR, insieme agli obiettivi quantitativi finali (target) ed intermedi (milestone) che il governo ha definito su parametri rilevanti per l’ambito di ciascun progetto.

Per navigare e analizzare queste informazioni il Dipartimento usa un proprio cruscotto di monitoraggio interno, riservato. Gli osservatori esterni possono fare riferimento al cruscotto dedicato al PNRR gestito da Openpolis. Queste note in particolare si basano sulle indicazioni che Openpolis fornisce per le 27 “misure” relative al tema “Amministrazione Digitale”. Queste 27 misure comprendono i due investimenti chiave citati sopra e altri relativi alla migrazione al cloud delle PA e al potenziamento dei servizi cloud della PA, dal rafforzamento della Piattaforma Digitale Nazionale Dati e dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente, alla digitalizzazione della PA e dei suoi pagamenti, per un totale di 3,9 miliardi di euro.

Attori critici nella gestione dei progetti cloud nella PA

Nel complesso, quindi, le informazioni necessarie per valutare l’avanzamento di ciascuna delle misure, componenti e investimenti sono reperibili. L’analisi è resa difficile da alcune caratteristiche della gestione e monitoraggio degli investimenti pubblici, che anche le evoluzioni significative del Codice degli Appalti e la metodologia strutturata introdotta per la gestione di questi investimenti hanno faticato a mettere sotto controllo:

  • La forte frammentazione: i progetti che ricevono fondi PNRR sono quasi trecentomila, di cui più di dodicimila solo per il tema “Amministrazione Digitale” del cruscotto Openpolis.
  • La grande disparità di proporzioni, ambiti e contenuti. Le PA locali, ad esempio, stanno ricevendo “voucher” per la migrazione al cloud di un certo numero di servizi (fino a nove), che ciascuna ha potuto (e dovuto) identificare in autonomia, con le proprie competenze digitali spesso limitate e il sostegno, facoltativo, di centri territoriali del dipartimento e di associazioni e consorzi territoriali, che hanno faticato a mettere a disposizione in misura adeguata le proprie competenze.
    Molte di loro, aneddoticamente, si sono affidate a fornitori che spesso conoscono bene il proprio cliente ma hanno prospettive necessariamente limitate e obiettivi propri, almeno in parte divergenti da quelli dei loro clienti. Ben diversa la situazione di molte PA più grandi e complesse, soprattutto centrali, che hanno dovuto definire piani ad hoc molto più impegnativi, con dipendenze e vincoli significativi tra componenti e attività, molto meno numerosi ma ben più impegnativi da monitorare e alla fine validare e liquidare.
  • La molteplicità di fonti di finanziamento. In alcuni casi, specie quelli più complessi, un CUP ha combinato finanziamenti del PNRR e del fondo complementare disposto dal governo nazionale con quelli di altri programmi e fondi locali o comunitari, e con mezzi propri dell’amministrazione interessata: un modo di procedere virtuoso ed efficace, che persegue sinergie tra iniziative diverse convergenti sugli stessi obiettivi, ma rende ancora più difficile rendicontare i risultati e riconciliare gli importi per la consuntivazione.
  • Il tempo e l’impegno necessari per asseverare la conclusione di ciascun progetto, liquidando i fondi stanziati e dichiarandolo completato. È ben possibile, e sarà sempre più frequente via via che si avvicina la conclusione del PNRR e della grande maggioranza dei progetti, che molti progetti siano stati effettivamente completati con successo ma debbano ancora essere validati e liquidati.

Questa combinazione di fattori fa sì che ancora oggi, nell’ultimo anno di attività del PNRR, il monitoraggio si concentri sull’aggiudicazione dei fondi e sulla consuntivazione della spesa: sono gli unici indicatori abbastanza generali da essere applicabili a tutti i progetti, e gli unici disponibili per la maggioranza di essi.

Analisi dell’avanzamento effettivo della migrazione

Anche in questa prospettiva limitata e semplificata, l’avanzamento della migrazione al cloud della PA è lento e in ritardo rispetto alla programmazione.

Al 31 marzo 2025, ultimo aggiornamento fornito dal Dipartimento sugli open data, la situazione di queste 27 misure che openpolis associa al tema “Amministrazione Digitale” evidenzia:

  • 9 misure, con assegnati circa 440 milioni di euro totali, non hanno dati di spesa disponibili. Il loro avanzamento è sconosciuto.
  • Altre 2, compresa il grande investimento M1C1 1.2 per la migrazione della PA locale, sono già identificate come in ritardo. Del miliardo di euro a quest’ultimo assegnato risultano spesi (con i limiti di tempestività ricordati sopra) appena 188 milioni. (L’altra è la digitalizzazione di INPS e INAIL, M1C1 1.6.3, che avrebbe speso due terzi dei 296 milioni assegnati.)
  • 9 sono “in corso” o “da avviare”, in particolare su M1C1 1.1 per il PSN e la migrazione della PA centrale si è riusciti ad asseverare compiutamente e quindi liquidare solo il 2,8% dei 900 milioni disponibili (situazione verosimilmente indicativa molto più della difficoltà di asseveramento di progetti particolarmente complessi, o semplici ma numerosissimi, che non dell’effettivo avanzamento dei lavori).
  • 7 sono “completate”. Paradossalmente, si sono concluse con spese effettive molto inferiori ai fondi stanziati in origine: in percentuale, la spesa effettiva va dal 55,8% della digitalizzazione del Ministero della Difesa al clamoroso 7,9% della digitalizzazione delle procedure SUAP e SUE, gli Sportelli Unici Attività Produttive ed Edilizia, che si è chiusa con una spesa di 27,7 milioni di euro su 324 stanziati!

Con tutte le approssimazioni legate ai fattori citati sopra, e alla qualità dei dati pubblicati, sembra quindi più che ragionevole considerare in ritardo significativo la migrazione al cloud delle pubbliche amministrazioni italiane.

Alcuni degli esponenti di amministrazioni centrali e locali consultati per preparare queste note sottolineano un altro aspetto: la Strategia Cloud Italia prevede che tutte le PA debbano migrare entro il 2026 tutti i propri servizi verso il cloud qualificato (almeno in una prospettiva di “full migration”, la cui definizione è stata oggetto di discussioni), spostandoli in una delle “infrastrutture digitali” elencate nel Catalogo delle Infrastrutture digitali e dei Servizi cloud di ACN (124 a inizio giugno 2025), o adottando uno dei più di 1000 “servizi cloud” ivi censiti alla stessa data. Questo obbligo è indipendente dall’uso di fondi del PNRR o di altro genere, ed è oggetto di un monitoraggio di contenuto tecnologico (quali servizi ciascuna amministrazione ha attivi su ciascuna piattaforma), indipendente dalla rendicontazione economica, di ACN stessa. Secondo questi esperti saranno questo obbligo, e questo secondo processo di monitoraggio, a portare alla piena adozione del cloud da parte delle pubbliche amministrazioni italiane.

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Ritorno sugli investimenti e misurazione dei benefici

Gran parte dei fondi che ora ci stiamo impegnando per spendere andrà restituita. Sembra quindi ragionevole chiedersi come misureremo il ritorno sugli investimenti fatti, che dovrebbe essere un criterio fondamentale per la scelta e uno strumento essenziale per poter restituire i fondi presi a prestito.

Diversi interlocutori hanno confermato che il monitoraggio della migrazione al cloud delle PA non considera questo aspetto.

Il motivo principale è che la PA ha scelto di migrare al cloud innanzitutto per ridurre il rischio, molto elevato, di interruzioni e alterazioni che i suoi servizi digitali correvano quando erano basati su infrastrutture frammentate e poco resilienti. I costi di questi disservizi sono difficili da valutare a posteriori: quanto vale “ci è andata bene”? Qual è il costo dei data breach e interruzioni di servizio effettivamente verificatisi, e quanto di più spenderemmo se avessimo digitalizzato i servizi ancora analogici delle PA su infrastrutture così fragili? Lo stesso Dipartimento per la Trasformazione Digitale ha comunicato in diversi contesti che i costi di adeguamento continuo di un data center proprio, per quanto ben gestito, sono superiori ai canoni di un cloud qualificato.

La fase post-Pnrr e gli obblighi di sostenibilità

Se la chiusura delle iniziative del PNRR richiede ancora la piena attenzione di tutti i partecipanti, per chi nelle PA si occupa di programmazione è già ora di prepararsi per il 2027. Quali saranno le principali eredità del PNRR, una stagione di investimenti sostanzialmente irripetibile?

Dall’analisi di quanto fatto fino ad oggi emergono due temi chiave: la razionalizzazione del portafoglio servizi, tra le amministrazioni e all’interno di ciascuna, e la sostenibilità degli impegni economici a lungo termine. Proprio di un impegno a lungo termine si tratta, visto che richiedendo e ottenendo fondi PNRR ciascuna PA si è impegnata a mantenere attivi i servizi finanziati per almeno 5 anni dopo quello successivo al finanziamento!

La razionalizzazione dei portafogli di servizi digitali delle PA

La strategia cloud nazionale e il PNRR hanno incoraggiato ciascuna amministrazione a portare i propri servizi sul cloud, anche a costo di far proliferare versioni multiple degli stessi servizi trasversali di uso comune, dall’autenticazione alla messaggistica, alla gestione delle API, per fare qualche esempio.

Ancora più sviluppata è la varietà di servizi tra amministrazioni molto simili. Il regolatore ha lasciato a ciascuna PA la massima libertà di scelta tra le soluzioni sul mercato, nonostante le forti asimmetrie informative tra clienti, soprattutto i più piccoli, e fornitori, soprattutto i più grandi, a vantaggio di questi ultimi. Su strumenti di uso comune come il registro scolastico, o il protocollo e l’albo pretorio comunali, è difficile immaginare quali specificità profonde e preziose di ogni amministrazione le abbiano portate a scegliere tante soluzioni diverse.

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Nella prossima fase di razionalizzazione avrà probabilmente un ruolo crescente la capacità di fare efficienza che le centrali di acquisto a vari livelli territoriali hanno, creando incentivi per le amministrazioni che sapranno convergere su soluzioni già diffuse e sostenute da competenze maggiori.

La sostenibilità a lungo termine degli impegni economici nel cloud della PA

Il primo fattore da affrontare sarà la copertura dei costi del cloud dopo l’avviamento dei nuovi servizi digitali. Le soluzioni cloud si affittano, con un abbonamento annuale (“subscription”) senza il quale nulla rimane attivo, neanche temporaneamente o con supporto limitato, come invece valeva per le soluzioni “di proprietà”, che una PA poteva acquisire con licenza perpetua. I finanziamenti del PNRR si possono usare per l’attivazione di un servizio e per il primo anno della sua gestione, poi occorre provvedere con risorse proprie.

Per la maggior parte delle amministrazioni, queste risorse saranno molto limitate per diversi motivi:

  • La struttura dei budget privilegia ancora gli acquisti in conto capitale rispetto alle spese correnti, che nel cloud rappresentano la quasi totalità dei costi.
  • L’obiettivo di spendere bene ma anche rapidamente i nuovi fondi messi a disposizione ha incentivato le amministrazioni a negoziare i servizi facendo attenzione soprattutto ai costi di avvio e al raggiungimento degli obiettivi, e molto meno a quelli di gestione nel tempo.
  • La medesima urgenza ha incoraggiato sia il Dipartimento che offriva i fondi, sia le PA che li accettavano, ad avviare più progetti in parallelo, rinviando o trascurando di gestire le interrelazioni e dipendenze positive e negative tra le soluzioni adottate.

Una delle soluzioni possibili è un maggior uso dei Fondi Strutturali e di Investimento dell’UE, che storicamente le PA italiane hanno fatto fatica ad usare e quindi richiederanno attenzione e impegno almeno pari a quelli necessari per il PNRR, sia in fase di richiesta, sia in fase di gestione e rendicontazione delle iniziative. Un effetto di secondo ordine del PNRR, pur in forma semplificata nel caso degli avvisi M1C1 che prevedono rimborsi forfettari, dovrebbe essere quello di aver abituato le PA a partecipare a bandi ed avvisi, creando una “cultura del bando” che possa aiutare ad affrontare meglio anche le opportunità europee del periodo 2021-2027.

Un’altra, nelle intenzioni del Dipartimento, è stata la possibilità di gestire oculatamente fondi PNRR concessi a forfait, indipendentemente dalle effettive spese sostenute, per accantonare risorse durante la fase di avvio, ed usarle poi per pagare i canoni di uno o più anni successivi al primo.
Questa oculatezza andava naturalmente applicata all’inizio dei progetti. Difficile dire ora quanto questo sia avvenuto, anche perché il governo del PNRR non raccoglie questi dati. Le indicazioni aneddotiche di alcune amministrazioni, proprio tra quelle più ricche delle competenze che sono necessarie per comportarsi in maniera così virtuosa, indicano che molte hanno preferito impiegare questi avanzi più per migrare al cloud altri servizi, in aggiunta a quelli obiettivo del progetto iniziale, che non per gestire le spese correnti degli anni successivi. Si è quindi badato più all’obiettivo di completare la migrazione entro il 2026 che a quello di sostenerla dopo. Del resto, anche quando, magari nelle PA più piccole, si è seguito il (buon) consiglio del fornitore di spendere quanto avanzato in canoni, si è solo rinviato il problema di sostenibilità economica di qualche anno.

Un’altra leva di risparmio a breve è l’attenzione a liberare momento per momento, durante tutto il periodo di erogazione di ciascun servizio digitale, tutte le risorse cloud non effettivamente usate, sfruttando a proprio vantaggio quella flessibilità dei costi che del cloud è un’altra caratteristica fondante. Anche questo richiede però competenze tecniche significative e scelte progettuali accorte, introducendo strumenti automatici di “FinOps”. Occorre inoltre aver mantenuto, o saper riconquistare al prossimo rinnovo, questa flessibilità, che spesso i fornitori incentivano ad abbandonare offrendo forti sconti in cambio dell’impegno ad un consumo minimo fisso. Nelle PA più piccole, invece di ragionamenti economici pienamente adeguati al contesto del cloud, si preferisce avere un costo fisso che eviti o riduca sorprese durante la gestione quotidiana. Questo comporta ovviamente un rischio spostato sul fornitore che si concretizza in un canone inevitabilmente maggiorato per la gestione del rischio.

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Competenze, lock-in e strategie per la continuità operativa

Nel medio periodo, le pubbliche amministrazioni dovranno gestire con grande attenzione il rinnovo dei propri contratti cloud, fin dal primo dopo la migrazione, per mettere in concorrenza i fornitori e poter passare dall’uno all’altro alla ricerca di servizi più convenienti. Anche per questo sono necessarie competenze e capacità negoziali significative, ed è importante avere scelto fin dall’inizio soluzioni facilmente trasferibili da un cloud all’altro, minimizzando il lock-in.

Alcune tra le organizzazioni più capaci e previdenti in questo senso hanno cominciato a condividere stime dalle quali sembra che in alcuni casi, in particolare per i servizi di uso più comune, più stabili e meno specializzati, risulti più conveniente riportare su infrastrutture di proprietà quanto migrato in cloud, magari reso più efficiente e robusto in occasione di entrambe le migrazioni. Questo risultato paradossale va a confermare la difficoltà di assegnare un valore al rischio di inadeguatezza progressiva delle infrastrutture di proprietà, da una parte, e dall’altra ai rischi commerciali e tariffari che la sovranità extraeuropea dei principali operatori cloud globali comporta.

Potrebbe essere proprio il Dipartimento per la Trasformazione Digitale, grazie alle sue competenze difficili da uguagliare in altre amministrazioni, a definire strumenti e criteri per questa razionalizzazione e rinegoziazione degli impegni di spesa a lungo termine per il cloud. In questo caso, una delle esigenze più complesse sarà quella di bilanciare tra apertura al mercato e alla concorrenza, da una parte, e incentivo alla razionalizzazione e semplificazione dall’altra. Mantenendo attivo l’attuale Transformation Office, ad esempio, Il Dipartimento potrebbe dare una grossa mano alle PA più piccole in questo percorso di razionalizzazione economica e collegamento di quanto fatto nelle varie misure del PNRR, sia dal punto di vista logico, sia da quello tecnologico.



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