L’Italia si trova davanti a una sfida cruciale: trasformare l’enorme bacino del risparmio privato in una leva capace di sostenere l’economia reale, favorendo la crescita delle imprese e accompagnando il Paese verso un modello di sviluppo più competitivo. È stato questo il filo conduttore dell’evento promosso dall’Associazione Italiana Private Banking in collaborazione con Intermonte e il Politecnico di Milano, durante il quale è stato presentato l’VIII Quaderno di Ricerca Intermonte.
Il dato che più colpisce emerge proprio dalla ricerca: negli ultimi sei anni il segmento private ha incrementato del 39% gli investimenti nell’economia reale italiana, raggiungendo a fine 2024 i 168 miliardi di euro. Un segnale che conferma come l’industria private rappresenti ormai un attore chiave del finanziamento alle imprese, in grado di svolgere un ruolo di ponte tra famiglie e sistema produttivo.
Il ruolo del private banking in Italia
L’apertura dei lavori è stata affidata ad Andrea Ragaini, presidente dell’associazione, e a Federico Freni, sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che hanno sottolineato l’importanza strategica del settore. “Il contributo del private banking alla crescita del Paese è sempre più centrale e strategico”, ha dichiarato Freni, evidenziando come il sostegno alle piccole e medie imprese non possa prescindere dall’apporto dei capitali privati. Ragaini ha ribadito che la sfida è epocale: trasformare il risparmio in leva di sviluppo, generando ritorni per le famiglie e, al contempo, sostenendo la crescita dimensionale e competitiva delle aziende.
Il Quaderno di Ricerca, presentato da Guglielmo Manetti, amministratore delegato di Intermonte, e da Giancarlo Giudici del Politecnico di Milano, fornisce un’analisi dettagliata dell’evoluzione del settore. La fotografia che emerge mostra un sistema imprenditoriale ancora fortemente dipendente dal credito bancario e dall’autofinanziamento: rispettivamente il 39% e il 44% del fabbisogno delle imprese viene infatti coperto attraverso queste fonti, strumenti idonei per la gestione ordinaria ma poco adatti a sostenere progetti di innovazione e internazionalizzazione. Non sorprende che solo l’8% degli imprenditori italiani dichiari di vedere concrete prospettive di forte sviluppo nei prossimi tre anni, un dato che riflette la difficoltà a pianificare oltre l’orizzonte di breve periodo.
In questo contesto, il ruolo del private banking si fa ancora più rilevante. Non solo per la capacità di indirizzare risorse verso le imprese, ma anche per la relazione di fiducia instaurata con i clienti. Il 23% della clientela Private è costituita da imprenditori, spesso alla guida di aziende di piccola dimensione. Con loro il rapporto con il private banker è consolidato nel tempo – in media dura undici anni – ed è caratterizzato da una frequenza di incontri elevata, circa quattordici all’anno. Un’interazione che non si limita alla gestione patrimoniale, ma che contribuisce ad accrescere la conoscenza finanziaria: l’81% degli imprenditori riconosce di aver ampliato le proprie competenze grazie al dialogo costante con il consulente.
Dal lato degli investitori, la differenza rispetto alle famiglie non private è evidente. Nei portafogli gestiti dall’industria private la quota azionaria raggiunge il 30% contro il 10% della media, mentre la liquidità è contenuta al 13% contro il 50% detenuto dalle altre famiglie. Ciò dimostra una maggiore propensione a sostenere l’economia reale attraverso strumenti finanziari più evoluti, che si traduce in una capacità più efficace di trasformare il risparmio in capitale produttivo.
Secondo la ricerca, lo stock complessivo di ricchezza investito nell’economia reale italiana dalle famiglie a fine 2024 ammontava a 1.577 miliardi di euro, il 20% in più rispetto al 2018. Tuttavia, questa crescita deriva quasi esclusivamente dall’effetto rivalutazione delle quote societarie, mentre i flussi si sono orientati altrove, in particolare verso titoli di Stato e investimenti esteri. Gli intermediari finanziari, a loro volta, hanno privilegiato l’acquisto di debito pubblico, riducendo del 13% i prestiti alle imprese. In questo scenario, l’industria Private appare come l’unico attore che ha mantenuto il proprio baricentro sul sostegno al tessuto produttivo.
Le proposte
Le dichiarazioni di Guglielmo Manetti sono in questo senso significative. Secondo l’ad di Intermonte, senza un mercato dei capitali efficiente non è possibile trasformare il risparmio in sviluppo economico. Le imprese italiane devono diversificare le fonti di finanziamento e superare la dipendenza dal canale bancario. Il Fondo Nazionale Strategico, atteso entro la fine dell’anno, potrebbe diventare un catalizzatore per convogliare capitali privati verso le pmi quotate, così come i PIR hanno già dimostrato di saper offrire liquidità fondamentale alle mid-small cap.
Lo scenario europeo rende ancora più evidente la posta in gioco. Il Rapporto Draghi ha stimato in 800 miliardi di euro annui gli investimenti aggiuntivi necessari per rilanciare la competitività del continente. Negli Stati Uniti i driver di crescita sono legati a deregulation, tecnologia e intelligenza artificiale, mentre l’Europa continua a basarsi su politiche monetarie espansive e spesa pubblica. Per l’Italia, ciò significa la necessità di un cambio di passo strutturale, orientando le risorse verso innovazione e ricerca, senza cui sarà difficile colmare il divario competitivo.
In questo quadro, il private banking si candida a svolgere un ruolo di cerniera tra famiglie e imprese, convogliando risorse verso l’economia reale e contribuendo allo sviluppo di un mercato dei capitali ancora troppo ridotto in termini di liquidità e profondità. AIPB, consapevole dei margini di miglioramento, propone di spingere con decisione l’orientamento dei portafogli verso strumenti produttivi, incrementando l’esposizione a equity e private markets, e di facilitare l’incontro diretto tra famiglie e imprese innovative, superando il modello tradizionale fondato quasi esclusivamente sul credito bancario.
Determinante, però, sarà la costruzione di un contesto normativo e fiscale favorevole. Strumenti come PIR alternativi ed ELTIF rappresentano già oggi veicoli potenzialmente efficaci, ma richiedono un quadro regolamentare che incentivi la permanenza di lungo periodo dei capitali e premi l’investimento in imprese produttive. Solo così il private banking potrà esprimere appieno la propria funzione di motore silenzioso della crescita italiana, capace di tradurre il risparmio in sviluppo e di rafforzare, al tempo stesso, la competitività dell’intero sistema europeo.
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