Dal 14 ottobre 2025 entrerà in vigore negli Stati Uniti un nuovo regime tariffario sui traffici marittimi legati alla Cina. Le misure sono state annunciate dall’Ufficio del Rappresentante per il commercio americano (USTR) e colpiscono sia le navi di compagnie cinesi sia quelle di compagnie non cinesi ma prodotte in Cina. In particolare, le tariffe si articolano come segue:
- se la nave è di proprietà cinese la tariffa è piena: 50 $ per tonnellata netta a partire da quest’anno. L’importo sale di 30 $ l’anno, fino ad arrivare a 140 $ per tonnellata netta nel 2028;
- se la nave è di una compagnia non cinese, ma costruita in Cina si applica una tariffa ridotta: l’importo maggiore è di 18 $ per tonnellata netta oppure di 120 $ per container. Anche questi importi saliranno progressivamente nei prossimi tre anni. Inoltre, le petroliere e le navi portarinfuse secche che arrivano negli Stati Uniti godono in gran parte di esenzioni.
Secondo le nuove tariffe, una nave portacontainer da 10mila TEU, cioè 10mila container standard da 20 piedi, che in genere ha una stazza netta di 70mila tonnellate, vedrebbe in questo modo le tariffe salire da 3,5 milioni di dollari a 9,8 milioni di dollari in tre anni.
Effetti stimati
Secondo una stima di HSBC Global Investment Research, l’ufficio studi di uno dei più grandi gruppi bancari mondiali, il provvedimento colpirà in modo particolarmente pesante i due principali vettori cinesi, Cosco Shipping Holdings e la controllata Orient Overseas Container Line (OOCL), che assieme formano la quarta compagnia al mondo di trasporto marittimo (dati 2024).
Nel 2026 il costo complessivo delle nuove tariffe potrebbe superare i 2,1 miliardi di dollari, abbattendo fino al 74% dell’utile operativo previsto per Cosco e al 65% di quello di OOCL. Per il gruppo Cosco la perdita stimata si aggira intorno a 1,5 miliardi di dollari, pari al 5,3% dei ricavi attesi, mentre per OOCL si parla di circa 654 milioni, equivalenti al 7,1% del fatturato stimato.
Le simulazioni prendono come riferimento una tariffa di circa 600 dollari per FEU – il container “doppio” da 40 piedi – movimentato nei porti statunitensi, pari a oltre un quarto (27%) delle tariffe spot sulla rotta Shanghai-West Coast USA. A rendere l’impatto ancora più significativo è il dato che al 1° agosto 2025 Cosco contava 86 navi operative nei porti statunitensi.
Per le compagnie non cinesi lo scenario è invece meno critico: il 71% della flotta container mondiale in termini di capacità non è di costruzione cinese e nel 2024 soltanto il 15% degli scali negli Stati Uniti è stato effettuato da unità navali prodotte nei cantieri della Cina. Attualmente, il 93% delle portacontainer con oltre 20 anni di servizio è costituito da unità non costruite in Cina: la pressione delle nuove tariffe potrebbe dunque spingere i diversi vettori globali a rinviare la demolizione di molte di queste navi, mantenendole in servizio più a lungo e incidendo così sugli equilibri dell’offerta. Anche il comparto delle petroliere si sta riorganizzando: diverse navi costruite in Cina vengono spostate su mercati alternativi per ridurre l’esposizione agli Stati Uniti.
Naturalmente, il mancato rinnovamento delle flotte può comportare rischi non irrilevanti in termini ambientali e di sicurezza, specialmente nel caso delle petroliere. Ciò si è visto nel caso della flotta fantasma russa, messa in campo per aggirare i divieti per i commerci della Federazione, composta soprattutto da vecchie petroliere che sono state coinvolte in numerosi incidenti e naufragi.
Possibili soluzioni
I possibili rimedi o strategie che le compagnie di navigazione cinesi (come Cosco e OOCL) stanno valutando per ridurre l’impatto delle nuove tariffe portuali USA includono in primo luogo il maggiore ricorso ai partner dell’Ocean Alliance (CMA CGM ed Evergreen) per coprire le rotte transpacifiche con navi costruite in Corea o Giappone, mentre le navi di origine cinese verrebbero riallocate su altri mercati extra-USA. Sono già emerse anche opzioni alternative, come la creazione di servizi che aggirano i porti americani tramite scali in Messico, Canada o nei Caraibi, con il rischio però di una temporanea riduzione della capacità disponibile.
Alcune tra le principali compagnie straniere che si servono di navi prodotte in Cina si stanno già muovendo per ridurre l’esposizione: Maersk e Hapag-Lloyd hanno puntato sulle navi sudcoreane, mentre la Premier Alliance (che riunisce HMM, ONE and Yang Ming) ha scelto di spezzare in due il servizio Mediterranean Pacific South 2, che attualmente impiega fino a 21 navi da 13.000-15.000 TEU, eliminando in questo modo 10 navi di costruzione cinese dalle tratte verso gli Stati Uniti.
Il risultato complessivo stimato sarà un riallineamento globale delle reti marittime, con conseguenze potenzialmente rilevanti sui costi e sulla capacità del trasporto internazionale. La riorganizzazione dei servizi con il trasbordo delle merci, infatti, incide sui costi complessivi dell’intera catena di trasporto. La stessa OOIL, capogruppo quotata a Hong Kong che controlla OOCL, ha già riconosciuto che le nuove tariffe avranno un impatto “significativo” sui bilanci.
Le possibili soluzioni dovranno essere trovate in tempi brevi, nonostante i regolamenti attuativi delle disposizioni tariffarie non siano ancora stati pubblicati: secondo quanto riferito, la US Customs & Border Protection sta infatti già sviluppando il sistema di riscossione delle nuove tariffe, che prevede il divieto di operazioni di carico o il fermo delle navi che non provvedono al pagamento.
Le conseguenze immediate
Le conseguenze di un simile scenario si stanno già facendo sentire sulle tariffe dei noli. Nella settimana dal 5 all’11 settembre, ad esempio, le tariffe medie monitorate da Xeneta, una delle più importanti piattaforme di dati e previsioni del commercio mondiale, nel comparto dei commerci dall’Asia alla costa orientale degli Stati Uniti sono aumentate del 7,2% rispetto alla settimana precedente, mentre quelle verso la costa occidentale del 15,5%.
Ciò è dovuto al fatto che i grandi vettori stanno procedendo alla sostituzione delle porta-container di fabbricazione cinese, prima che entrino in vigore e vengano effettivamente applicate le nuove tariffe targate USTR. L’alleanza Gemini, che riunisce i colossi del trasporto marittimo la tedesca Hapag-Lloyd e la danese Maersk, sta sostituendo sei navi costruite in Cina, per un totale di 60mila TEU, e dirette sia verso la costa orientale che quella occidentale degli Stati Uniti.
Il sistema dei trasporti globali e delle catene di rifornimento transcontinentali è dunque in grande tensione perché la decisione dell’amministrazione Trump corre il rischio di impattare in profondità in una rete di commerci già toccata dalla pandemia di Covid-19, dalle instabilità geopolitiche che interessano i colli di bottiglia del trasporto marittimo intercontinentale, e dai macro-cambiamenti ambientali. La speranza è che, quantomeno, venga ritardato l’effetto delle tariffe, come sta avvenendo in generale per i dazi imposti alla Cina che rimarranno al 10% “reciproco” fino al 10 novembre (al 20% per il fentanyl).
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