Finanziamenti per le PMI: un tema senza fine. Come fanno a trovare soldi le aziende “né carne, né pesce”, troppo solide e tranquille per essere startup ma troppo piccole per attrarre i grandi capitali? Tante volte Claudio Vaccaro si è trovato di fronte a questa domanda nel corso della sua ultradecennale attività imprenditoriale. E adesso ha deciso di proporre una risposta per tutte quelle aziende che magari sono in utile ma hanno un fatturato piccolo che non cresce a ritmo esponenziale, come capita a tante PMI italiane, magari ex startup diventate PMI innovative.
«C’è un segmento di imprese che cresce bene, ma non interessa né al venture capital né al private equity. A loro vogliamo dare capitale e competenze». Così Claudio Vaccaro sintetizza il senso di Kobo Ventures e del fondo Scala e la partita che intende giocare nel mercato dei finanziamenti per le PMI italiane.
Vaccaro ha cominciato a fare l’imprenditore nel 2011 dopo un percorso da manager. Gli piace lanciare nuove imprese digitali, seguirle per un paio di anni e poi affidarle a manager, come ha fatto con BizUp, Epicode, BlazeMedia, AteneiOnLine, tanto per ricordarne alcune. Quindi sa di cosa parla, quando parla di finanziamenti per le PMI. “Esistono aziende sane, con prodotti scalabili e marginalità, che però restano escluse dai circuiti di finanziamento tradizionali. Sono quelle che crescono, ma non abbastanza per piacere ai venture capitalist ma sono troppo piccole per i fondi di private equity. Io stesso ci sono passato, e so quanto sia frustrante». Gli abbiamo, quindi, chiesto come pensa di superare questa frustrazione comune a tanti imprenditori.
Cominciamo da Kobo. Che cos’è e da dove arriva?
Kobo Funds nasce dieci anni fa da Alessandro Tosi. È una piattaforma che collega aziende in cerca di capitale con investitori professionali in tutta Europa, tramite il modello del club deal. Non è un fondo tradizionale, ma un facilitatore tra domanda e offerta. In dieci anni ha raccolto più di 300 milioni di euro per le imprese clienti.
E da qui parte Scala?
Esatto. Io e Alessandro ci siamo detti: perché non creare un veicolo nostro, in cui il capitale non si limita a entrare, ma porta anche competenze? Scala nasce come spin-off di Kobo Ventures, è tecnicamente un ELTIF (European Long-Term Investment Fund) con un’identità precisa: è un fondo che investe in minoranza in aziende con prodotti già validati sul mercato, e le aiuta a fare il salto di qualità. Vogliamo essere partner degli imprenditori, non padroni. Mettiamo soldi e affianchiamo con competenze manageriali. Quindi, finanziamenti per le PMI, ma non solo.
Kobo: il nome ha un significato?
Sì,è una parola giapponese che significa “lievito”. Richiama l’idea di crescita, fermento trasformazione. Una metafora perfetta per ciò che vogliamo fare: far “lievitare” le aziende, accompagnarle in una nuova fase evolutiva. Dietro c’è un vero lavoro di branding: il nome è stato scelto con cura, per rappresentare una cultura di supporto e fertilizzazione del potenziale imprenditoriale.
Come sei arrivati all’idea di un fondo per le aziende “né carne, né pesce”?
L’idea nasce dalla mia esperienza personale. Ho visto molte aziende con buoni margini, intorno al milione di EBITDA, ma escluse sia dal venture capital, che cerca crescita forsennata, sia dal private equity, che vuole aziende più grandi. Queste imprese hanno bisogno di capitali e competenze per scalare, ma non trovano partner adatti. Scala nasce per colmare questo vuoto.
Perché il venture capital non investe in queste aziende?
Perché il VC cerca moltiplicazioni rapide: 2-3x ogni anno. Non gli interessa che tu sia profittevole se non cresci abbastanza. Ma ci sono aziende sane, con dieci milioni di fatturato e un milione di utile, che potrebbero crescere ancora con il giusto supporto. Noi vogliamo essere il partner che mette soldi e affianca nella crescita.
E il vostro approccio è diverso anche dal private equity?
Sì. Il privaty equity in genere vuole la maggioranza e non sempre fornisce supporto operativo. Noi entriamo in minoranza, ci sediamo nel board, lavoriamo a un piano condiviso e portiamo dentro competenze grazie al nostro network di imprenditori e manager, l’Elite Expert Network, nato da un progetto con Borsa Italiana. Se serve un CFO esperto di AI, un CTO o un manager con esperienza retail, li troviamo. Il fondo è solo una parte. Il resto è costruire intorno all’imprenditore un ecosistema di crescita.
Come funziona il fondo?
Scala è un fondo pensato per le aziende che non trovano risposta dal VC o dal PE. Non ci limitiamo a investire, ma ci sediamo accanto agli imprenditori. Lavoriamo su piani industriali condivisi e li aiutiamo con un network di competenze. Abbiamo fondato Kobo Ventures come advisor e fund manager, il fondo è un RAIF lussemburghese, con un partner svizzero. Siamo tutti ex imprenditori, e possiamo aiutare su strategia, execution, tecnologia. Abbiamo una rete di advisor che proviene anche da esperienze precedenti, come il progetto Elite di Borsa Italiana.
Quali sono gli obiettivi del fondo Scala?
Abbiamo iniziato la raccolta, puntiamo a 50 milioni. Il primo step sono 10 milioni, poi 30 e infine 50. Con quei capitali finanzieremo 7-8 aziende, con ticket da circa 6 milioni ciascuna. I primi investimenti partiranno nel primo semestre 2025: abbiamo già indivudato tre-quattro target. Il mercato non offre alternative a queste realtà: troppo grandi per il VC, troppo piccole per il PE, e anche l’IPO non è percorribile, visti i numeri di delisting su Euronext Growth. Le banche? Danno credito ma con interessi alti. Noi possiamo essere un partner vero.
E sul lato investitori?
L’interesse è alto. Offriamo una via intermedia tra venture capital e private equity: rendimenti potenzialmente alti, ma con rischi più contenuti, perché le aziende in cui investiamo hanno già validato il loro modello.
A quali aziende guarda il fondo Scala?
Alle aziende che si trovano in una terra di nessuno. Sono ex startup che fanno utile, ma non interessano più al venture capital e sono considerate troppo piccole dal private equity. Noi ci rivolgiamo a loro: aziende tra 10 e 20 milioni di fatturato, con 1-2 milioni di EBITDA.
Oltre alle dimensioni, quali caratteristiche devo avere le aziende?
Devono essere aziende tech-enabled. Non necessariamente deep tech, ma con una componente tecnologica forte, anche se il core business non è digitale. Per esempio, una travel company B2B che usa una piattaforma per personalizzare le offerte è interessante per noi. Devono avere un prodotto validato (product market fit), generare ricavi e marginalità, e operare in ambito B2B o B2B2C. Niente B2C puro.
Come state lavorando per selezionarle?
Utilizziamo tool proprietari e modelli predittivi, alcuni sviluppati internamente con AI, altri in collaborazione con il nostro partner svizzero. Incrociamo database di mercato e dati interni di Kobo Funds. La vera forza, però, è nella relazione: in dieci anni abbiamo costruito un ecosistema che ci permette di trovare aziende prima che vadano sul mercato.
Buona selezione Claudio, nel Made in Italy c’è tanta buona imprenditorialità da sostenere, tanto bisogno di finanziamenti per le PMI più innovative.
Sì, c’è necessità di finanziamento per l’innovazione che non fa rumore. Per questo noi non daremo solo soldi ma anche opportunità di alleanze industriali, visione strategica e supporto concreto alla crescita.
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