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Controlli fiscali sulle rimanenze dei semplificati


I titolari di partita IVA nel regime contabile semplificato possono essere oggetto di verifica fiscale sulle rimanenze, ecco come e a cosa prestare attenzione in questi casi

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L’attività di controllo, unita ad una analisi sulle caratteristiche dell’attività svolta e sulle risultanze complessive delle scritture contabili, può permettere di evidenziare una anomala gestione delle rimanenze, in difformità di quanto normativamente previsto.

Il recente pronunciamento della Corte di Cassazione – ordinanza n. 1861/2025 – che ha confermato in tali ipotesi la legittimità dell’accertamento induttivo, nei confronti di una impresa minore, ci permette di affrontare la questione, rilevando lo stato della giurisprudenza.

Accertamento imprese minori e gestione delle rimanenze: la legittimità della presunzione

Con l’ordinanza n. 12861/2025, la Corte di Cassazione ha confermato che, in tema di imposte sui redditi di impresa, anche le imprese minori (Ditte individuali, società in nome collettivo e società in accomandita semplice, che hanno conseguito nell’anno precedente ricavi da prestazioni di servizio non superiori a 500.000 euro, ovvero ricavi da cessioni di beni non superiori a 800.000 euro per le imprese aventi ad oggetto altre attività e non hanno optato per l’applicazione del regime ordinario), che fruiscono del regime di contabilità semplificata, ai sensi dell’articolo 18 del DPR n. 600/1973, devono indicare ogni anno nel registro degli acquisti, tenuto ai fini IVA, il valore delle rimanenze, senza limitarsi ad annotare quello globale, ma distinguendo i beni per categorie omogenee, del medesimo tipo e della stessa quantità, secondo la disciplina tributaria della valutazione delle rimanenze.

In assenza di tali indicazioni, che ove fatte oggetto di richiesta da parte dei verificatori possono essere fornite dal contribuente anche in sede procedimentale durante l’accesso, l’ispezione e la verifica, l’amministrazione finanziaria può ritenere inattendibile la contabilità e procedere all’accertamento induttivo.

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Nella specie, osservano i massimi giudici:

“è pacifico che venne formulata la relativa richiesta, ma è altrettanto pacifico dallo stesso tenore della decisione impugnata che nessun elemento è stato fornito, non restando come dato se non quello meramente dichiarato, a fronte di un magazzino la cui consistenza era ovviamente riferita ad alcuni esercizi precedenti (verifica del 2017 sulla contabilità 2014), e quindi senza possibilità di riscontro fisico all’attualità”.

E alla luce di quanto precede emerge chiaramente la sussistenza dei presupposti per l’accertamento ai sensi dell’articolo 39, comma 2, D.P.R. n. 600/1973, a differenza di quanto erroneamente concluso dal giudice d’appello.

La questione per le imprese minori

Per i soggetti in contabilità semplificata, l’obbligo di indicare il valore delle rimanenze nei registri tenuti ai fini Iva o di fornire un prospetto dimostrante il criterio utilizzato per la valutazione delle stesse, discende dall’articolo 18 del D.P.R. n. 600/73 e dall’articolo 9, del DL n. 69/89, conv. in Legge 27 aprile 1989, n. 154.

La legge di Bilancio 2017 – art. 1, commi 17-23 della L. 232/2016 – ha radicalmente modificato il regime fiscale delle imprese di minori dimensioni, passando da un regime tipico di determinazione del reddito basato sul principio di competenza, ad un regime misto (cassa e competenza), determinando, di fatto, l’irrilevanza delle rimanenze ai fini fiscali.

È rimasta ferma, comunque, la disposizione – sopra citata – di cui all’art. 9, comma 1, lett. b) del D.L. n. 69/1989, convertito dalla Legge n. 154/1989, ai sensi del quale le imprese minori di cui all’art. 18 del DPR n. 600/1973 devono annotare nei registri Iva, “entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione, (…) il valore delle rimanenze, indicando distintamente per queste ultime le quantità e i valori per singole categorie di beni, in giacenza alla fine dell’esercizio, ….. con l’indicazione dei criteri seguiti per la valutazione”.

In alternativa

“la distinta indicazione delle quantità e dei valori, nonché dei criteri di valutazione, può essere effettuata, entro il medesimo termine, in apposito prospetto di dettaglio”

In applicazione di ciò, l’art. 2, comma 2, del D.M. 2 maggio 1989, ha dettato le regole di dettaglio per la rilevazione delle rimanenze, disponendo l’annotazione nel registro Iva degli acquisti, ovvero nell’apposito registro per coloro che effettuano soltanto operazioni non soggette Iva, del valore delle rimanenze, raggruppate per categorie omogenee per natura e per valore, mediante indicazione dei criteri di valutazione adottati.

Cosi che tutt’oggi la naturale conseguenza della mancata rilevazione ordinata delle rimanenze è la possibilità per l’Ufficio di esperire un accertamento di tipo induttivo, prescindendo dalla contabilità.

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Accertamento titolari di partita IVA nel regime semplificato e gestione delle rimanenze: i precedenti giurisprudenziali

In via generale, la gravità delle violazioni relative al magazzino è di tutta evidenza se si considera che il valore delle rimanenze è in grado di modificare, da solo, tutti gli esiti e le risultanze dell’intero impianto contabile, rappresentando quindi una vera e propria leva, ai fini della dichiarazione dei redditi.

Le rimanenze costituiscono, quindi, per l’azienda il cd. tappo o la cd. fisarmonica, basta aumentarle o diminuirle che diminuisce o aumenta il reddito, in totale spregio della contabilità.

Tale tecnica non fa apparire tutto l’utile effettivamente realizzato, e consente di evadere l’IVA sulle vendite (Una forma particolarmente idonea a realizzare l’occultamento dei ricavi reali dell’impresa consiste proprio nell’attribuire alle merci invendute un valore superiore a quello effettivo “cd. magazzino gonfiato”.

In buona sostanza, tra le rimanenze finali vengono contabilizzate anche parte delle merci vendute o si attribuisce alle merci presenti un valore superiore al valore di acquisto.)

Corte di Cassazione Ordinanza n. 29105/2018
il caso Utilizzo dell’accertamento induttivo, ex articolo 39, comma 2, del D.P.R. n. 600/73, in assenza del prospetto analitico delle rimanenze
il principio “anche le imprese minori, che fruiscono del regime di contabilità semplificata, ai sensi dell’art. 18 del d.P.R. n. 600 del 1973, devono indicare ogni anno nel registro degli acquisti, tenuto ai fini IVA, il valore delle rimanenze, senza limitarsi ad annotare quello globale, ma distinguendo i beni per categorie omogenee, del medesimo tipo e della stessa quantità, con analiticità adeguata rispetto all’attività esercitata, analiticità che può esser sindacata dall’Ufficio solo ove il difetto della stessa impedisca in concreto l’esercizio della funzione di controllo; in assenza di tali indicazioni – che ove fatte oggetto di richiesta da parte dei verificatori possono esser fornite dal contribuente anche in sede procedimentale, durante l’accesso, l’ispezione e la verifica – l’Amministrazione finanziaria può ritenere inattendibile la contabilità e procedere all’accertamento induttivo”

La Corte richiama un precedente pronunciamento – Cass. Ord. n. 8907 dell’11 aprile 2018 – secondo cui, anche le imprese minori, che fruiscono del regime di contabilità semplificata, ai sensi dell’art. 18 del D.P.R. n. 600 del 1973, devono indicare ogni anno nel registro degli acquisti, tenuto ai fini IVA, il valore delle rimanenze, “senza limitarsi ad annotare quello globale, ma distinguendo i beni per categorie omogenee, del medesimo tipo e della stessa quantità”. E pertanto, non risulta sufficiente la mera enunciazione nelle scritture contabili del valore globale di esse, essendo necessaria la specificazione per categorie omogenee di beni, che ne consenta il controllo da parte dell’Amministrazione Finanziaria (Cfr. Cass. sent. n. 9946 del 23 giugno 2003, che àncora l’applicazione dell’accertamento induttivo alla omessa indicazione del valore delle rimanenze di esercizio, senza che il contribuente avesse esibito il relativo prospetto, alla cui tenuta sono obbligate anche le imprese soggette a contabilità semplificate).

L’obbligo per i soggetti in contabilità semplificata di indicare il valore delle rimanenze nei registri tenuti ai fini Iva o di fornire un prospetto dimostrante il criterio utilizzato per la valutazione delle stesse, è stato ribadito da ulteriori recenti pronunce.

Ordinanza Corte di Cassazione Principio
Ord. n. 5780 del 9 marzo 2018 La Corte rileva che “solo in un isolato precedente (Cass.Civ., 8 aprile 1992, n. 4307) si è ritenuto che per le imprese minore non fosse necessario indicare le rimanenze in base a categorie omogenee”. Tuttavia, tutte le pronunce successive (Cass. Civ., 16 ottobre 2006, n. 22174; Cass. Civ., 23 giugno 2003, n. 9946; Cass. Civ., n. 11515 del 1997; Cass. Civ., 2 agosto 1990, n. 7763) “cui, dunque, si intende aderire e dare continuità, si sono espresse per l’applicazione anche alle imprese minori”. In particolare, “si è chiarito che anche le imprese minori…..devono indicare nel registro degli acquisti tenuto ai fini Iva il valore delle rimanenze, la cui valutazione……deve essere fatta distintamente per categoria omogenee, formate da tutti i beni del medesimo tipo e delle medesima quantità, con la possibilità tuttavia, di includere nella stessa categoria beni dello stesso tipo ma di diversa qualità, i cui valori unitari non divergano sensibilmente, e beni di diverso tipo aventi uguale valore unitario. Si è, allora, evidenziato che, mentre il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 18, detta la disciplina formale delle rimanenze, indicando gli oneri da osservare affinchè esse abbiano effetto ai fini della determinazione del reddito di impresa, il D.P.R. n. 597 del 1973, art. 62 (oggi, art. 92 del TUIR), contiene la disciplina sostanziale per la valutazione delle stesse, intese nel senso di materie e merci non smerciate o non lavorate e di prodotti non finiti o finiti ma rimasti presso l’impresa, da valutare secondo le disposizioni richiamate. Pertanto, poichè le rimanenze di un periodo di imposta costituiscono le giacenze del periodo di imposta successivo, è evidente che la nozione tributaria di «rimanenza» non è data da un numero esprimente un incontrollabile valore globale, poichè, della rimanenza, la norma tributaria postula necessariamente una articolazione di beni per tipi, qualità e valore unitario”
Ord. n. 17785 del 6 luglio 2018 “In tema di imposte sui redditi di impresa minore deve ritenersi legittima l’adozione, da parte dell’ufficio tributario, ai fini dell’accertamento di un maggior reddito d’impresa, del criterio induttivo di cui all’art. 39, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, qualora il contribuente nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo in contestazione abbia omesso di indicare il valore delle rimanenze di esercizio e tale omissione incida sull’attendibilità complessiva della dichiarazione, salva restando la facoltà per il contribuente di documentare adeguatamente l’effettiva sussistenza ed entità delle rimanenze”. Infatti, qualora il contribuente abbia omesso di indicare il valore delle rimanenze a fine anno nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell’I.V.A., “deve ritenersi legittimo il recupero a tassazione dei ricavi, induttivamente ricostruiti tramite attribuzione al venduto di tutte le merci acquistate nell’anno, in difetto di adeguati elementi di prova, incombenti al contribuente, idonei a documentare l’effettiva sussistenza ed entità delle rimanenze” (Sez. 1, Sentenza n. 11601 del 08/11/1995)

E ancora con l’ordinanza n. 29105 del 13 ottobre 2018, la Corte di Cassazione ha confermato l’obbligo di una corretta modalità di contabilizzazione delle rimanenze per le imprese minori che in difformità dalle regole previste, autorizza l’Ufficio a procedere induttivamente, ex articolo 39, comma 2, del D.P.R. n. 600/73.

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