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Apprendistato in Italia, cause della crisi e possibili soluzioni


Una ricerca realizzata e recentemente pubblicata da Ifoa e Adapt, dal titolo L’apprendistato in Italia. Potenzialità, criticità e prospettive di riforma, si focalizza su questo contratto e approfondisce i dati riguardanti la sua applicazione nel paese. Quello che emerge è un quadro in cui l’apprendistato – negli ultimi anni – non ha avuto una larghissima diffusione, in contrasto con la finalità di formare “sul campo” e agevolare l’inserimento stabile dei giovani nel mondo dell’occupazione.

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Nato negli anni ’50 del secolo scorso, il contratto di apprendistato è stato riformato e aggiornato più volte. Si pensi in particolare alla riforma attuata con il d. lgs. 81/2015, che ha unificato le sue diverse tipologie in un unico contratto, revisionando anche le modalità di formazione e le regole sulla durata.

Oggi l’apprendistato sta vivendo una sorta di lento tramonto, considerato che i rapporti attivi con questa modalità – censiti nel 2022 – sono stati poco meno di 570mila, ossia solo 22mila in più rispetto a metà degli anni ’80. Ricostruiamo i punti chiave dell’interessante ricerca Ifoa-Adapt – provando a indicare le possibili riforme utili a rilanciare l’apprendistato – e indichiamo anche quali sono i contratti alternativi più usati dalle aziende, e perché.

Il declino dell’apprendistato nei numeri della ricerca

Quello di apprendistato è un contratto di lavoro subordinato configurabile in tre possibili varianti, ossia professionalizzante, per la qualifica e il diploma professionale e di alta formazione e ricerca. Ebbene, l’analisi Ifoa-Adapt ci indica che oggi è fortemente prevalente la prima tipologia, ossia quell’apprendistato professionalizzante che – per gli anni oggetto dello studio – raccoglie ben il 97% dei rapporti attivati. I settori più “gettonati” sono il commercio, le attività manifatturiere e i servizi di alloggio e ristorazione.

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Va da sé allora che sia l’apprendistato di primo livello, che quello di terzo livello, siano ormai relegati a una presenza molto marginale. Si pensi ad es. all’apprendistato di alta formazione e ricerca, il quale – dati alla mano – conta soltanto poche centinaia di attivazioni a livello annuale, seppur con un lievissimo aumento.

Il declino dell’apprendistato è evidenziato dal rapporto tra numero di contratti e popolazione residente. Infatti, se nel 2022 gli apprendisti rappresentavano circa il 6,5% dei cittadini italiani, nel 1994 la quota era pari all’8,4% mentre la percentuale era quasi doppia cinquant’anni fa – l’11,7%. Tra le righe si intuisce, quindi, che i datori di lavoro preferiscono altre soluzioni contrattuali per inserire giovani nel mercato del lavoro.

La questione divario di genere

Il rapporto L’apprendistato in Italia. Potenzialità, criticità e prospettive di riforma indica inoltre che, tra il 2003 e il 2022, è cresciuto significativamente il divario di genere. Oggi abbiamo infatti quasi due apprendisti maschi su tre. Il divario – invece di evolvere verso la parità dei sessi – è andato progressivamente allargandosi, durante gli anni oggetto dell’analisi Adapt-Ifoa.

Più nel dettaglio, nel 2017 i maschi costituivano il 57,7% degli apprendisti, contro il 42,3% delle femmine. Nel 2019 i primi hanno incrementato la loro presenza toccando il 58,4%, contro il 41,6% delle donne, per poi salire ancora nel 2022 con 59,9% contro il 40,1%.

Altri contratti preferiti dalle aziende

In verità, l’apprendistato potrebbe non essere sempre la scelta migliore per le aziende che non hanno esigenze specifiche di formazione e inserimento a lungo termine e che prediligono flessibilità o inserimento diretto senza il focus sulla formazione.

Ben si comprende allora il ricorso ad es. al contratto a tempo determinato, il quale consente di assumere per un periodo circoscritto senza obblighi formativi né il vincolo di stabilizzazione tipico dell’apprendistato. È una buona soluzione per chi ha esigenze temporanee o per valutare il lavoratore – anche con periodo di prova, recentemente riformato – prima di un’eventuale assunzione a tempo indeterminato.

Se poi un’azienda ha bisogno di una figura già formata e stabile, è possibile procedere direttamente con un tempo indeterminato, magari approfittando degli incentivi per l’assunzione di giovani, donne o categorie svantaggiate.

Ulteriori alternative “gettonate” e altamente concorrenziali rispetto all’apprendistato sono il contratto di somministrazione, utile per sostituzioni o picchi di lavoro, i tirocini formativi – con costi più bassi e vincoli inferiori – il lavoro a chiamata o le collaborazioni coordinate e continuative.

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Come rilanciare l’apprendistato

Quali soluzioni possibili per ridare nuova linfa ai percorsi di apprendistato? Il rapporto spiega che le tre modalità di apprendistato funzionano se sono il frutto di una effettiva co-progettazione tra distinte istituzioni. In termini pratici la chiave è – quindi – la costruzione di reti tra aziende, enti di formazione, e altri corpi intermedi, che possano amplificare la portata dell’istituto e farne cogliere tutte le potenzialità.

Vediamo allora cosa suggeriscono gli autori della suddetta ricerca per rilanciare, promuovere e diffondere l’apprendistato in tutta Italia:

  • aumento degli stanziamenti verso il Fondo sociale per la formazione degli apprendisti, riportando la quota a cento milioni, drasticamente ridotta a 15 dal 2017;
  • creazione di un’istituzione che, a livello nazionale, sia riferimento operativo e interpretativo a supporto di istituzioni formative, imprese, associazioni di rappresentanza per la progettazione e gestione dei contratti di apprendistato;
  • semplificazione burocratica della normativa attuale, in modo da agevolare le parti che intendano accordarsi con questa formula contrattuale;
  • sviluppo di un piano nazionale per la promozione e la diffusione dell’apprendistato;
  • completamento del cd. Atlante del Lavoro e delle Professioni, in cui varie sezioni (tra cui quella dedicata ai profili dell’apprendistato) sono ancora incomplete;
  • revisione delle regole sulla salute e sicurezza dei minorenni, a fronte di adeguati protocolli applicati a livello aziendale a tutela degli apprendisti, condivisi con l’istituzione formativa coinvolta;
  • richiesta alle parti sociali di disciplinare l’apprendistato duale nel quadro dei contratti collettivi di lavoro (oggi infatti molti contratti collettivi di categoria non dispongono nulla in materia oppure si limitano a rinviare alla disciplina dell’apprendistato professionalizzante) e di definire sistemi di retribuzione incentivanti che valorizzino i risultati conseguiti dagli apprendisti nei percorsi formativi.

Concludendo, la volontà di fondo è – quindi – quella di assegnare risorse non soltanto all’assunzione di apprendisti ma anche al sostegno delle attività svolte localmente dagli enti preposti all’ideazione e monitoraggio di questi percorsi, come regioni, centri di formazione professionale, scuole, università, centri per l’impiego e agenzie per il lavoro. Il rilancio dell’apprendistato non avverrà dall’oggi al domani, ma Adapt e Ifoa hanno dato un contributo sostanziale.





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