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Sostenibilità è futuro: ricerca e innovazione per il territorio


“Non sono momenti semplicissimi per la sostenibilità a livello geopolitico, ma noi continuiamo a crederci. Non cediamo adesso”. Con queste parole la giornalista di Rai Radio2 Sara Zambotti ha aperto la tavola rotonda dal titolo Sostenibilità è futuro: ricerca e innovazione per il territorio in occasione dell’edizione catanese di Sharper Night.

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Una manifestazione che ha richiamato migliaia di grandi e piccoli appassionati di ricerca attratti dai diversi stand in cui oltre 500 ricercatori hanno illustrato anche con dimostrazioni e talk le proprie ricerche.

Nel corso dell’iniziative – nel cortile del Palazzo Platamone – si è tenuta la tavola rotonda moderata dalla conduttrice della trasmissione radiofonica Caterpillar, Sara Zambotti, che ha registrato gli interventi di Alessandra Alberti del Cnr Imm Hq Catania, Enrico Alessi di STMicroelettronics, Pierangelo Misani della Pirelli TyreSpa e dei docenti dell’ateneo catanese Paolo Arena, Gianluca Cicala, Alessia Marzo e Roberta Occhipinti.

In precedenza sul palco è intervenuto anche il rettore Enrico Foti che, nel suo intervento, ha sottolineato “l’importanza della ricerca, in particolar modo su un tema fondamentale come la sostenibilità, e delle sue ricadute sul territorio” e in particolar modo “la collaborazione e la sinergia con le imprese presenti per migliorare lo sviluppo dello stesso”.

A seguire la prof.ssa Alessia Tricomi, coordinatrice delle attività di Sharper Night Catania, ha ribadito “l’impegno dell’università e degli enti di ricerca nel trattenere i giovani sul territorio” sottolineando come “la collaborazione con le aziende e con il tessuto locale rappresenti una delle priorità dell’ateneo”.

Nel corso della serata si sono esibiti due gruppi musicali, la Better Bully Blues band e i Re_move.

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Un momento dell’intervento del rettore Enrico Foti

La sicurezza dei clienti come priorità 

Ad intervenire il dott. Pierangelo Misani, dirigente della Pirelli Tyre Spa, che ha definito “la sostenibilità come la sfida più grande che oggi l’automotive si trova ad affrontare”. “Un percorso iniziato con largo anticipo dall’azienda, con l’obiettivo non solo di rispettare le nuove normative, ma anche di coniugare sicurezza e innovazione – ha aggiunto -. La doppia esigenza, realizzare pneumatici sostenibili senza rinunciare all’affidabilità, è un argomento centrale del suo dibattito”. 

“La vera rivoluzione riguarda i materiali – ha spiegato -. Fino ad oggi i pneumatici sono costituiti per il 70% da componenti di origine fossile, ma Pirelli è riuscito a sviluppare una gomma in cui il 55% proviene da fonti biologiche o riciclate, percentuale che sale al 70% se si considera anche l’acciacco. Alcuni concept sperimentali, realizzati in collaborazione con la Volvo, hanno persino toccato il 94%, dimostrando la possibilità di arrivare ad uno pneumatico pienamente sostenibile”.

“Una degli approcci utilizzati consiste nell’utilizzo del waste, ovvero gli scarti di altre industrie – ha precisato -. All’interno di uno pneumatico vi sono degli agenti rinforzanti che lo irrobustiscono. Tipicamente si usava il carbon black che dà colore allo pneumatico, di derivazione tipicamente dell’industria del petrolio. Pirelli, oggi, impiega, invece, silice ottenuta dalla lolla di riso, residuo agricolo che un tempo veniva bruciato in campo generando emissioni. Allo stesso modo, vengono riutilizzati scarti come l’anilina o persino gli oli da cucina esausti. L’obiettivo è sostituire progressivamente le materie prime fossili con materiali rinnovabili e riciclati, riducendo così l’impatto ambientale dell’intera filiera”.

Ma l’attenzione alla sostenibilità si estende anche al fine vita degli pneumatici. “In passato la maggior parte di essi veniva bruciato nei cementifici per cercare di ottenere energia, poiché il contenimento di essa appartenenti ad un pneumatico a fine vita è molto alto – ha precisato -. Oggi, invece, le applicazioni si diversificano: dal riciclo della gomma per i pavimenti dei parchi giochi alla ricerca di soluzioni che permettano di ottenere nuovi pneumatici da materiali recuperati. Una scelta che dimostra come la sostenibilità non possa limitarsi alla tecnologia, ma debba includere anche l’attenzione verso il sociale”. 

Giocare sulla chimica

Il prof. Gianluca Cicala, vicedirettore del Dipartimento di Ingegneria civile e architettura e ordinario di scienza e tecnologia dei materiali, ha messo al centro del suo discorso il tema cruciale del fine vita dei materiali impiegati nel trasporto marittimo, citando un progetto condotto con Sicilia Navtec con l’obiettivo di sviluppare materiali compositi riciclabili.

Il docente, che riveste il ruolo di presidente dell’Associazione Italiana di Ingegneria dei Materiali, ha ricordato che “molte imbarcazioni a fine utilizzo venivano semplicemente affondate o bruciate, poiché il costo dello smontaggio e del recupero superava di gran lunga il valore dei materiali riciclati”.

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Un esempio concreto. “La fibra di vetro, dal costo di acquisto pari a 40 centesimi al chilo, una volta riciclata costa anche tre o quattro volte, con qualità inferiore e quindi con assenza di reale mercato – ha aggiunto -. Fortunatamente, visto l’andamento positivo del progetto-ricerca, il gruppo ha dimostrato che ciò era possibile giocando sulla chimica del materiale: pensarlo sin dall’inizio come un materiale che doveva essere riciclato. Da ciò è stato, dunque, possibile abbattere i costi a fine vita e quindi ottenere dei prodotti che avevano mercato”. 

“Occorre pensare a prodotti green, quindi rinnovabili e sostenibili e che abbiano, al contempo, mercato”, ha detto in chiusura di intervento il prof. Gianluca Cicala.

Un momento dell'intervento della professoressa Alessia Tricomi

Un momento dell’intervento della professoressa Alessia Tricomi

Insetti vs AI

Il tema della ricerca applicata alle tecnologie sostenibili, partendo da un confronto con il mondo dell’intelligenza artificiale, è stato affrontato dal prof. Paolo Arena, docente di Ingegneria Elettrica all’Università di Catania.

“L’intelligenza artificiale è nata negli anni ‘40, quando due studiosi, Warren S. McCulloch e Walter Pitts durante un viaggio in treno negli Stati Uniti, iniziarono a chiedersi circa il funzionamento di un neurone e proposero il primo modello di neuroni artificiali – ha spiegato -. Da ciò si è arrivati agli algoritmi di apprendimento sviluppati negli anni ‘80 che hanno aperto la strada al machine learning moderno di oggi”.

Il docente ha sottolineato come, nel corso di questa evoluzione, “sia stato trascurato il tema dell’efficienza energetica dei sistemi biologici”. “Un data center necessita di almeno un megawatt di potenza, mentre, per esempio, gli insetti operano con il consumo di un solo microwatt, pur garantendo capacità come memoria, calcolo e persino forme di comunicazione – ha detto -. Un esempio è quello delle zanzare, dotate di riflessi rapidissimi che rendono difficile catturarle, frutto di un’efficienza neuro-motoria quasi perfetta”. 

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Proprio per questo, secondo Arena, bisognerebbe tornare agli “archetipi” dell’AI per poter aprire la strada a sistemi artificiali molto meno energivori rispetto gli attuali data center. “Negli insetti la maggior parte dei calcoli avviene direttamente nel corpo, ad esempio tramite antenne, e al cervello arrivano solo segnali ridotti”, ha detto in chiusura di intervento.  

L’acqua di scarico come risorsa

Sulla trasformazione delle cosiddette “acque sporche” in risorsa utile è intervenuta Alessia Marzo, ricercatrice in Idraulica agraria e sistemazioni idraulico-forestali al Dipartimento di Agricoltura Alimentazione e Ambiente. Si tratta delle acque reflue – provenienti dal wc, bagni e docce – che, attraverso tecniche naturali, possono essere trattate e riutilizzate in agricoltura, un settore particolarmente idro-esigente e oggi messo a dura prova dalla carenza idrica, soprattutto in Sicilia.

La ricercatrice ha spiegato che “i sistemi impiegati si basano su soluzioni naturali in cui si combinano elementi come suolo, piante e microrganismi con l’obiettivo di massimizzare i processi depurativi che avvengono spontaneamente in ambiente naturale, così da ottenere un effluente sicuro, riutilizzabile a scopo irriguo”.

Tra i progetti più recenti, la ricercatrice ha citato una sperimentazione in collaborazione con il Dipartimento di Scienze biologiche geologiche e ambientali che ha previsto “l’impiego delle ceneri vulcaniche dell’Etna all’interno dei sistemi di fitodepurazione”.

“Un materiale spesso considerato un rifiuto o addirittura una calamità per i cittadini, in occasione delle eruzioni, che diventa così una risorsa preziosa, capace di migliorare le prestazioni dei sistemi di trattamento”, ha aggiunto la docente Alessia Marzo.

“Gli studi sono stati condotti inizialmente in un laboratorio del Di3A, per poi passare a impianti di scala maggiore, come quello realizzato all’interno dell’Ikea, dove viene testata la durabilità e l’efficacia di questi sistemi. “Un percorso che – secondo la ricercatrice – dimostra come anche scarti naturali percepiti come problematici possono essere reinseriti in una filiera circolare e contribuire alla gestione sostenibile dell’acqua”.

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I relatori della tavola rotonda moderati da Sara Zambotti

I relatori della tavola rotonda moderati da Sara Zambotti

Le ceneri dell’Etna e il restauro

Rimanendo sul tema di riutilizzo della cenere vulcanica è intervenuta Roberta Occhipinti, ricercatrice in Georisorse minerarie e Applicazioni mineralogico-petrografiche per l’ambiente ed i beni culturali.

“Nonostante l’eruzione dell’Etna sia uno spettacolo naturalistico magnifico – ha detto -, non possiamo però ignorare le ripercussioni che le sue ceneri scatenano non solo sull’ambiente, ma anche sulla salute umana in sé stessa. Proprio per questo, la ricerca è orientata a trasformare quello che era considerato un rifiuto in una risorsa: la Regione Siciliana ha recentemente regolamentato l’utilizzo delle ceneri, che possono essere smaltite reinserendole nei cicli produttivi, a patto che non comportino danni ambientali o sanitari”.

“Non vengono usate semplicemente come additivi – ha precisato -, ma vengono trasformate in materiali dalle prestazioni meccaniche paragonabili a cementi e ceramiche tradizionali. L’uso delle ceneri riduce l’importazione delle materie prime, abbassando costi e impatti legati al trasporto”.

In chiusura di intervento ha sottolineato che “le cenere vulcaniche sono già state impiegate per interventi di restauro in due siti Unesco: il Duomo di Palermo e quello di Cefalù, in cui tutt’ora vi sono costanti fasi di monitoraggio, studiando come questi materiali interagiscono con il substrato”.  



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