Dal 24 al 26 settembre 2025, a Porto Alegre, in Brasile, si è tenuta la ventiseiesima edizione della conferenza mondiale sulla tassazione ambientale (Global Conference on Environmental Taxation GCET26). L’appuntamento, dal 2000, riunisce accademici, rappresentanti dei governi e di istituzioni multilaterali per un confronto di alto livello sul ruolo delle politiche fiscali per la transizione ecologica ed energetica.
La conferenza si è svolta nella regione del Rio Grande do Sul, recentemente colpita da violente inondazioni. Una malaugurata coincidenza, che ha però messo in evidenza la vulnerabilità agli impatti della crisi climatica e la necessità di politiche capaci di rafforzare la resilienza delle comunità locali.
ECCO ha partecipato alla GCET26, portando un’analisi sulla tassazione energetica e sui sussidi ambientalmente dannosi (SAD) in Italia, dalla quale emerge come – in Italia –l’attuale struttura fiscale e parafiscale dei vettori energetici sia incoerente con gli obiettivi di decarbonizzazione. Questo, primariamente a causa del trattamento più favorevole concesso ai combustibili fossili rispetto all’elettricità. Il tema è stato riconosciuto come una criticità comune anche in altri Paesi, europei ed extraeuropei, tra cui Germania, Brasile e Sudafrica.
Strumenti fiscali innovativi per la transizione
Un posto centrale nel dibattito è stato riservato alla necessità di allineare le politiche fiscali e di tassazione nazionali agli obiettivi di decarbonizzazione. Accanto a strumenti più tradizionali quali accise e strumenti di carbon pricing, sono stati presentati una serie di proposte fiscali che potrebbero essere utilizzate a supporto della transizione.
In particolare, si è sottolineato il ruolo che le imposte sul reddito delle persone fisiche e delle società possono occupare nella transizione, tramite deduzioni e tassazione agevolata dei redditi provenienti da investimenti in asset cleantech, e ammortamenti accelerati per asset green. Dalla Cina, è stato portato l’esempio delle “super deduzioni” fiscali per le spese sostenute da aziende in ricerca e sviluppo per le tecnologie pulite.
Una recente raccomandazione della Commissione europea va nella stessa direzione, suggerendo di inserire incentivi fiscali simili per supportare il Clean Industrial Deal. Per l’Italia, una riflessione andrebbe avviata su come il PNIEC, in quanto Piano di transizione nazionale, possa includere in maniera più strutturata strumenti fiscali che accompagnino la decarbonizzazione.
Lo sguardo del mondo sul CBAM europeo
Una parte rilevante della conferenza è stata dedicata al meccanismo europeo di adeguamento del carbonio alle frontiere, il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM). Se da un lato è stato riconosciuto come il CBAM si stia dimostrando un incentivo efficace a introdurre sistemi di tariffazione delle emissioni di carbonio in Paesi extra-UE (in Brasile, ad esempio, è stato istituito a fine 2024 un sistema nazionale di scambio di quote di emissioni, il Sistema Brasileiro de Comércio de Emissões de Gases de Efeito Estufa (SBCE)), dall’altro sono state sottolineate alcune delle difficoltà presentate dal CBAM.
È stata rimarcata l’incertezza normativa che ancora rimane attorno al CBAM e ostacola la pianificazione delle imprese. Infatti, a qualche mese dall’entrata in vigore della fase definitiva del meccanismo, prevista per il 1° gennaio 2026, manca ancora parte dei regolamenti di attuazione attesi dalla Commissione europea. È emersa inoltre la complessità delle procedure di rendicontazione. È stata avanzata la proposta di utilizzare tecnologie come la blockchain per garantire la tracciabilità delle emissioni e del carbonio già prezzato lungo tutto la catena del valore.
Dal punto di vista dei Paesi del Sud globale, è stato fatto presente come il CBAM, che nasce come misura interna gravante sugli importatori europei, venga invece percepita come dazio contrario alle regole del WTO. Tra le ipotesi emerse, quella che una parte dei proventi del CBAM, in nome di una maggiore giustizia climatica, venga destinata ad un meccanismo redistributivo a favore dei Paesi in via di sviluppo.
Costo sociale del carbonio e finanza climatica
Il tema dell’attribuzione di un costo sociale al carbonio è stato un altro tema trasversale. In particolare, si è sottolineato come il calcolo del costo sociale delle emissioni di CO2 e altri gas serra, per non essere parziale, debba tener conto non solo dei danni domestici, ma anche degli impatti globali del cambiamento climatico.
In questo contesto, Cass Sunstein (Harvard Law School) ha proposto di interpretare la finanza climatica internazionale non come una forma di aiuto allo sviluppo, foreign development aid, ma come espressione della massima no foreign harm. Vale a dire, un contributo finanziario legato a un danno transfrontaliero, più vicino a un concetto di responsabilità per danni e giustizia correttiva che a quello di solidarietà morale. Queste discussioni appaiono tempestive in un periodo in cui si assiste allo smantellamento dell’agenzia di cooperazione statunitense USAID e ad annunci di nuovi tagli agli aiuti allo sviluppo.
Questa prospettiva si collega anche al dibattito su come finanziare la risposta agli eventi climatici estremi. Le alluvioni che hanno colpito Porto Alegre e la regione del Rio Grande do Sul nel maggio 2024 sono state al centro di una riflessione sulle responsabilità di governi e cittadini nel ricostruire dopo i disastri. È stato sollevato anche il tema del possibile coinvolgimento diretto delle compagnie oil & gas, seguendo l’esempio dei Climate Superfunds già introdotti in alcuni stati americani e oggi oggetto di discussione anche in Brasile.
Diritti umani e tassazione ambientale
Infine, la conferenza ha posto attenzione al legame tra tassazione ambientale e diritti umani. Dopo il riconoscimento nel 2022 da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU del diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile, la Corte Internazionale di Giustizia ha quest’anno confermato come tale diritto sia intrinseco e necessario per il godimento di tutti gli altri diritti.
In questa cornice, la tassazione può diventare uno strumento diretto per dare sostanza a tale diritto e agli obblighi che vi corrispondono. Tra le proposte discusse, quella di una tassa globale “verde” sugli individui ultra-ricchi orientata alla giustizia climatica, in grado di coinvolgere non solo governi e imprese, ma anche i grandi patrimoni privati.
Verso una tassazione energetica che contribuisce alla transizione
La GCET26 ha confermato il ruolo centrale della fiscalità nella transizione ecologica, non solo come strumento per incentivare comportamenti virtuosi, ma anche come leva di equità e giustizia climatica. Per l’Italia, il confronto internazionale rafforza la necessità di riformare la tassazione energetica, superare i sussidi ambientalmente dannosi impliciti a favore di combustibili fossili e integrare strumenti fiscali coerenti con il percorso di decarbonizzazione.
Foto di Samuel Costa Melo
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