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Decarbonizzazione, dalla teoria alla pratica: quali sono le tecnologie e strategie adottate dalle imprese


L’industria è al centro delle politiche di decarbonizzazione europea, visto l’impatto delle attività di trasformazione sul riscaldamento climatico. Nell’UE, infatti, l’industria si posiziona come terzo settore per le emissioni di CO2, dopo energia e trasporti interni, contribuendo alle emissioni totali per il 20,3%.

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L’Unione Europea ha tracciato una rotta ambiziosa verso la neutralità climatica entro il 2050, fissando un obiettivo intermedio vincolante di riduzione delle emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.

La transizione non è solo una questione ambientale, ma anche di competitività, sicurezza energetica e sviluppo di nuove filiere produttive.

La corsa dell’Europa verso la neutralità climatica: i progressi nell’industria

L’Unione Europa si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e ha reso legalmente vincolante, attraverso la Legge sul Clima, l’obiettivo intermedio di ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.

Se, da un lato, ci si chiede spesso se questo obiettivo possa essere realisticamente raggiungibile, occorre sottolineare che le emissioni dell’UE hanno mostrato una diminuzione costante dal 1990 al 2023.

Si stima che nel 2023 siano state inferiori del 37% rispetto al 1990, a seguito di un significativo calo dell’8% rispetto al 2022. Quella registrata nel 2022 è stata la maggiore riduzione annuale delle emissioni degli ultimi decenni, escludendo il calo indotto dalla pandemia di Covid nel 2020. Tale progresso è stato sostenuto dalla minore dipendenza dal carbone, dalla crescita delle fonti di energia rinnovabile e da un generale calo del consumo energetico.

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Anche nei settori coperti dal sistema di scambio di quote di emissione dell’UE (ETS) – che copre le emissioni di gas serra provenienti da impianti di grandi dimensioni nei settori dell’energia, dell’industria e dell’aviazione -, è stata registrata una notevole diminuzione.

Questi settori rappresentano circa il 40% delle emissioni totali in Europa. Tra il 2005 e il 2023, le emissioni delle centrali elettriche e delle fabbriche soggette all’ETS sono diminuite del 47%, ponendo le basi per il nuovo target: ridurre le emissioni nell’ambito dell’ETS del 62% entro il 2030 rispetto al livello del 2005.

Nonostante i risultati ottenuti, l’obiettivo del 55% al 2030 richiede un’ulteriore accelerazione. Proprio per questo, la Commissione Europea ha presentato nel 2025 una proposta di regolamento che fisserebbe l’obiettivo intermedio di riduzione delle emissioni del 90% al 2040.

L’Italia arranca: la decarbonizzazione sempre più costosa e gli investimenti rendono meno

A fronte dell’accelerazione europea, il percorso di decarbonizzazione in Italia sta manifestando segnali di rallentamento e disomogeneità, con l’efficacia degli investimenti in calo e i costi in aumento.

L’analisi dell’Osservatorio Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano evidenzia che il ritmo di riduzione delle emissioni in Italia è più lento rispetto al resto dell’UE, rendendo gli ambiziosi target fissati per il 2030 semplicemente irraggiungibili in assenza di ulteriori interventi.

Se è vero che le emissioni nazionali sono diminuite del 28,7% rispetto al 1990 e del 37,6% rispetto al 2005, tale risultato è imputabile più alla bassa crescita del PIL nominale rispetto alla media europea e alla crisi di alcuni settori industriali ad alta intensità energetica, che a una spinta efficace sull’efficienza energetica e produttiva.

L’investimento complessivo, che si aggira intorno ai 101 miliardi di euro, ha visto la sua efficacia diminuire significativamente: l’indicatore di “efficienza degli investimenti”, che mette in relazione gli euro spesi alle tonnellate di CO2 risparmiate, evidenzia infatti un calo di efficacia del 25%.

Il rallentamento, evidente soprattutto in settori chiave come l’economia circolare e la mobilità elettrica, rischia di far perdere all’Italia i benefici economici, industriali e sociali della transizione.

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Le opportunità strategiche: competitività e sicurezza

La decarbonizzazione, pur comportando ingenti impegni finanziari, non rappresenta un mero costo o un vincolo ambientale, ma una leva strategica fondamentale per il rilancio del sistema Paese.

Il mancato rispetto dei target europei espone l’Italia non solo al rischio di sanzioni e costi diretti, ma soprattutto alla rinuncia a opportunità cruciali per l’economia nazionale in termini di competitività e sicurezza energetica.

La transizione, infatti, è un catalizzatore per lo sviluppo di filiere industriali locali ad alto valore aggiunto, come quelle legate alle rinnovabili, all’idrogeno verde, alle batterie e allo stoccaggio energetico.

Sviluppare know-how e capacità produttiva in questi ambiti riduce strutturalmente la dipendenza da catene di fornitura internazionali, mitigando in modo permanente la volatilità dei prezzi dei combustibili fossili e rafforzando l’indipendenza energetica nazionale.

Questo si traduce in una maggiore stabilità dei costi per le imprese e in un incremento della competitività sistemica sul lungo periodo, stimolando al contempo la creazione di nuova occupazione qualificata nel settore green-tech e dell’innovazione.

Decarbonizzazione, strategie e tecnologie per le imprese: il pilastro energia

La prima e più immediata direttrice di azione per le imprese dell’industria risiede nella decarbonizzazione della fornitura e del consumo di energia.

Una strategia che si articola in due assi fondamentali: la riduzione della domanda e la conversione delle fonti.

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Sul fronte della domanda, l’adozione di misure di efficienza energetica avanzate, come i sistemi di monitoraggio in tempo reale, i contatori intelligenti (smart metering) e l’implementazione di algoritmi di ottimizzazione basati su intelligenza artificiale, consente di minimizzare gli sprechi e rendere i processi produttivi meno energivori.

Accanto a queste strategie si sta intensificando la diffusione di sistemi di autoproduzione di energia da fonti rinnovabili. Le imprese investono in impianti fotovoltaici su larga scala e, dove possibile, in soluzioni eoliche per soddisfare una quota crescente del proprio fabbisogno in loco, spesso in configurazioni di comunità energetiche rinnovabili.

Un elemento importante in questa trasformazione è l’elettrificazione dei processi termici, con la sostituzione di caldaie e forni a combustibili fossili con pompe di calore ad alta efficienza e riscaldamento elettrico diretto.

Anche l’integrazione di sistemi di accumulo elettrochimico (batterie) è indispensabile per gestire l’intermittenza delle fonti rinnovabili e garantire la stabilità operativa, massimizzando il tasso di autoconsumo.

I vettori energetici alternativi: dall’idrogeno al biometano

Per le industrie non facilmente elettrificabili, in particolare quelle ad alta intensità termica (hard-to-abate) come la cementeria, la ceramica e la siderurgia, la decarbonizzazione non può prescindere dall’adozione di vettori energetici a zero o basse emissioni che possano sostituire i combustibili fossili.

In questo contesto l’idrogeno verde e il biometano emergono come le soluzioni tecnologicamente più mature. L’idrogeno, prodotto tramite elettrolisi utilizzando energia rinnovabile (Power-to-Gas), offre la possibilità di sostituire completamente il gas naturale in processi che richiedono temperature molto elevate, garantendo l’assenza di emissioni di CO2​ nel punto di utilizzo.

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Accanto all’idrogeno, il biometano, ottenuto dalla raffinazione del biogas derivante da scarti agricoli, reflui zootecnici e rifiuti organici, rappresenta una soluzione strategicamente importante perché immediatamente disponibile e scalabile. Questo biocarburante non solo è carbon neutral in un’ottica di economia circolare, ma permette di sfruttare l’infrastruttura di trasporto e distribuzione del gas esistente.

La sfida è duplice: per il biometano consiste nella massimizzazione della produzione sostenibile e nel superamento dei vincoli logistici, mentre per l’idrogeno il focus rimane sulla riduzione dei costi di produzione e sull’urgente costruzione di una rete di trasporto e stoccaggio dedicata.

Le tecnologie a supporto della decarbonizzazione nell’industria: cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio

Nei settori industriali in cui l’azzeramento delle emissioni di processo risulta particolarmente complesso, come la produzione di cemento, la calce o l’acciaio primario, le strategie di mitigazione si spostano sulla gestione della CO2​ emessa anziché sulla sua eliminazione alla fonte.

Le tecnologie di Cattura e Stoccaggio del Carbonio (CCS) e di Cattura e Utilizzo del Carbonio (CCU) rappresentano, in questo senso, una frontiera cruciale. La CCS prevede la separazione dell’anidride carbonica direttamente dagli effluenti gassosi industriali, la sua successiva compressione e il confinamento geologico permanente in siti sotterranei sicuri, come giacimenti esauriti o formazioni saline profonde.

La CCU, invece, interpreta la CO2​ non come un rifiuto, ma come una materia prima da reintrodurre nel ciclo produttivo. L’anidride carbonica catturata può essere impiegata, ad esempio, per la sintesi di carburanti sintetici (e-fuels), o per la produzione di metanolo e materiali da costruzione.

Sebbene la CCS offra il potenziale di mitigazione su larga scala più rapido per le grandi fonti puntuali, l’implementazione efficace di queste tecnologie in Europa richiede ingenti investimenti infrastrutturali per lo sviluppo dei cluster industriali, delle condotte di trasporto e dei siti di stoccaggio.

La loro diffusione è vista come uno strumento complementare ma indispensabile per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica.

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Il ruolo dell’efficienza e dell’economia circolare per la decarbonizzazione dell’industria

Oltre alla riconfigurazione energetica e all’adozione delle complesse soluzioni di cattura del carbonio, la decarbonizzazione dei settori industriali richiede un ripensamento profondo del modello produttivo che trova nell’economia circolare un paradigma essenziale.

L’efficienza non è più solo una questione energetica, ma deve estendersi all’uso delle materie prime, riducendo alla fonte la domanda di risorse vergini e, di conseguenza, le emissioni intrinseche al loro processo di estrazione e lavorazione.

Nell’ottica della circolarità, sono già emerse diverse opportunità di ottimizzazione delle risorse, che portano con sé anche nuove opportunità di business per le imprese, dalla riduzione dei costi di produzione all’offerta di servizi basati proprio sull’economia circolare.

Tra queste possiamo citare:

  • la progettazione dei prodotti in ottica circolare (circolarità by design), che permette di accelerare lo sviluppo di nuovi prodotti, riducendo le materie prime necessarie ai processi di produzione
  • servizi di riparazione e di remanufacturing, che permettono ai fornitori di riportare un componente o un macchinario giunto alle condizioni di un prodotto nuovo. Ciò permette ai fornitori di offrire nuovi servizi ai clienti e alle imprese di usufruire di prodotti come nuovi, a prezzi inferiori
  • Il riutilizzo delle componenti di prodotti non più utili come base per nuove produzioni, sia all’interno della stessa filiera che in filiere differenti

Tali pratiche contribuiscono a una significativa riduzione dell’impronta carbonica dell’intera filiera industriale e aprono a nuovi mercati per le imprese.

Alla base di queste e altre strategie di decarbonizzazione vi sono tecnologie abilitanti come l’Internet delle Cose (IoT), i Digital Twin dei sistemi produttivi e dei prodotti e l’intelligenza artificiale (AI).

Queste tecnologie permettono di ottimizzare i flussi operativi, gestire in maniera predittiva l’efficienza degli impianti e tracciare con precisione la provenienza e la destinazione dei materiali nei circuiti di riciclo.

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L’intersezione tra la circolarità del modello economico e la precisione del dato digitale si configura quindi come l’abilitatore finale per raggiungere l’obiettivo di net zero con la massima efficacia operativa e finanziaria.



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