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Invisibili ma potenti: così i nanomateriali ridisegnano il futuro


Le nanotecnologie stanno rapidamente evolvendo da ambito di ricerca specialistica a leva abilitante per la trasformazione digitale in settori chiave come l’elettronica, l’energia, la sanità e la cybersecurity. I materiali su scala nanometrica – come i nanocompositi, i nanotransistor e i sensori intelligenti – stanno di fatto già potenziando lo sviluppo di dispositivi più efficienti, sostenibili e performanti.

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Esaminiamo allora le applicazioni più promettenti, il ruolo delle infrastrutture europee di ricerca, le implicazioni etiche e regolatorie, e le opportunità per l’ecosistema industriale e della pubblica amministrazione italiana.

Un cambio di paradigma materiale

Per un approccio e una comprensione del valore delle nanotecnologie è necessario partire da una semplice constatazione: la scala nanometrica, impercettibile all’occhio umano, modifica profondamente le proprietà dei materiali. Un elemento noto e stabile a dimensioni macroscopiche può acquisire straordinarie capacità reattive, conduttive o resistenti se ridotto a pochi nanometri. È proprio su queste trasformazioni, infatti, che si basa la rivoluzione dei materiali definiti “intelligenti”.

Per fare un esempio, si può pensare ai nanocompositi impiegati nel settore aerospaziale, che combinano leggerezza e resistenza in modo superiore rispetto ai metalli tradizionali. Oppure, ai nanomateriali a base di grafene, che conducono elettricità cento volte meglio del rame, già utilizzati per migliorare le prestazioni delle batterie nei veicoli elettrici.

In Italia, l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova ha sviluppato dei film sottilissimi a base di nanotubi di carbonio per elettrodi flessibili destinati alla medicina e all’elettronica indossabile. Non si tratta più di prototipi, questi materiali stanno entrando concretamente nei processi produttivi.

La frontiera dei dispositivi: sensori intelligenti e nanotransistor

Uno degli ambiti in continua evoluzione è quello dei sensori intelligenti. Il loro funzionamento è reso possibile da nanosistemi capaci di rilevare parametri come temperatura, pressione o presenza di sostanze chimiche. Questi sensori intelligenti trovano applicazione in settori apparentemente distanti: dai sistemi per la smart agriculture che monitorano l’umidità del suolo in tempo reale, ai dispositivi indossabili per il monitoraggio continuo di parametri vitali.

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Nel 2024, l’azienda tedesca Bosch ha annunciato il lancio di sensori ambientali miniaturizzati per dispositivi mobili in grado di misurare la qualità dell’aria con una precisione mai vista prima.

Nel settore biomedicale possiamo prendere l’esempio della startup italiana WISE S.r.l., che sta sperimentando elettrodi a base di polimeri nanostrutturati per la stimolazione neurale, con applicazioni per pazienti affetti da malattie neurodegenerative.

Altro fronte chiave è quello dei nanotransistor, che risultano fondamentali per il superamento dei limiti fisici imposti dalla miniaturizzazione del silicio nei microprocessori. Il laboratorio IBM di Zurigo ha sviluppato transistor a effetto di campo su scala nanometrica, in grado di abbattere il consumo energetico dei chip fino al 75%. Una tecnologia che potrebbe ridefinire completamente l’architettura dei futuri data center.

Energia e sostenibilità: le promesse delle nanostrutture

Il rapporto tra le nanotecnologie e la sostenibilità è meno ovvio ma indubbiamente profondo. Le nanostrutture fotocatalitiche, per esempio, sono utilizzate nella purificazione dell’aria e dell’acqua. Le nanoparticelle di ossido di titanio attivate dalla luce solare decompongono sostanze tossiche senza bisogno di agenti chimici.

Nel campo dell’energia, i materiali nanoporosi stanno rivoluzionando i sistemi di stoccaggio, grazie alla loro capacità di contenere grandi quantità di idrogeno o metano in volumi ridotti. Una ricerca del Politecnico di Milano ha recentemente dimostrato che i sistemi a base di grafene poroso possono aumentare del 30% l’efficienza degli accumulatori termici per impianti solari.

Non da ultimo, le celle solari di terza generazione, realizzate con perovskiti nanostrutturate, offrono un’alternativa a basso costo rispetto al silicio tradizionale, con rese superiori al 25% e tempi di produzione più rapidi. Nel contesto europeo, il consorzio NanoPV sta testando questi materiali per l’integrazione architettonica in edifici pubblici.

Infrastrutture di ricerca: l’Europa scommette sul nanotech

L’Europa ha individuato nelle nanotecnologie un pilastro della propria strategia digitale e industriale. Nel programma Horizon Europe (2021–2027), oltre 1 miliardo di euro è stato destinato a progetti legati ai materiali avanzati e alle nanotecnologie. Nello specifico, la piattaforma EMIRI (Energy Materials Industrial Research Initiative) coordina investimenti tra centri di ricerca e aziende per sviluppare materiali innovativi destinati alla transizione energetica.

L’iniziativa italiana NanoFoundries and Fine Analysis (NFFA-Europe), coordinata dal CNR e sostenuta da fondi europei, offre accesso a infrastrutture avanzate per la fabbricazione di nanodispositivi. È uno strumento fondamentale per startup e PMI che non possono permettersi autonomamente ambienti di clean room o sistemi di litografia elettronica.

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In Europa, con approvazione nel 2013, abbiamo visto la nascita di un altro tassello fondamentale, lo European Chips Act. Quest’ultimo punta a riportare in Europa la produzione di semiconduttori avanzati. Anche qui, le nanotecnologie giocano un ruolo decisivo nel design di circuiti sempre più miniaturizzati e performanti.

Regolazione, etica e cybersicurezza: le sfide da affrontare

L’espansione delle nanotecnologie pone però interrogativi cruciali. La regolazione dei nanomateriali, infatti, è ancora frammentaria. L’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA) ha stabilito criteri per la classificazione dei nanomateriali nei prodotti di consumo, ma molti dispositivi – specie quelli medicali – sfuggono a un monitoraggio sistematico.

Vi è inoltre una questione etica legata alla trasparenza nell’uso dei nanomateriali: i cittadini hanno il diritto di sapere se indossano o assumono dispositivi contenenti particelle su scala molecolare, con tutte le implicazioni in termini di biointerazione.

Non da sottovalutare, infine, il fattore inerente alla cybersicurezza dei dispositivi intelligenti alimentati da sensori nanostrutturati. I suddetti device possono essere vulnerabili ad attacchi esterni a causa della scarsità di risorse computazionali per la crittografia, come ha evidenziato l’ENISA (Agenzia dell’Unione Europea per la Cybersecurity) in un rapporto del 2023 dedicato all’Internet of Nano Things.

Italia e pubblica amministrazione: dove investire?

Nel contesto italiano, la sfida è duplice. Da un lato, potenziare il trasferimento tecnologico tra università e imprese; dall’altro, favorire l’adozione dei materiali intelligenti nella pubblica amministrazione e nei settori strategici.

Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) dedica risorse alla digitalizzazione dei servizi pubblici, ma il potenziale delle nanotecnologie è ancora scarsamente valorizzato. Eppure, soluzioni come vernici fotocatalitiche per ridurre l’inquinamento urbano, sensori di monitoraggio strutturale in edifici pubblici e dispositivi di telemedicina basati su materiali nanometrici potrebbero migliorare l’efficienza e la sostenibilità dei servizi pubblici.

La visione politica che serve all’Italia

Le nanotecnologie non sono più confinate nei laboratori di ricerca. Sono ovunque: nei telefoni, nelle auto elettriche, nelle corsie degli ospedali. Ciò che fino a pochi anni fa sembrava futuristico – materiali autoriparanti, sensori invisibili, chip grandi quanto un batterio – sta lentamente diventando parte integrante della nostra quotidianità.

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L’Italia ha tutte le carte in regola per giocare un ruolo di primo piano, ma servono visione politica, investimenti mirati e un ecosistema capace di accogliere l’innovazione senza temerla. Se sapremo integrare le nanotecnologie nei processi industriali e pubblici, non come una moda ma come uno strumento concreto, allora potremo davvero parlare di transizione digitale compiuta.

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