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Perché sui Fondi Ue all’agricoltura l’Italia rischia l’ennesima figuraccia


Se entro il 31 dicembre non avremo speso i 52,9 milioni stanziati da Bruxelles per far fronte alle calamità naturali, dovremo restituirli. Con un triplo danno: ai bilanci delle imprese, alle casse dello Stato e alla credibilità del nostro Paese in Europa.

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Perché sui Fondi Ue all’agricoltura l’Italia rischia l’ennesima figuraccia

Entro il 31 dicembre 2025 l’Italia rischia di fare un regalo indesiderato a Bruxelles: 52,9 milioni di euro destinati alla gestione del rischio agricolo potrebbero dover tornare indietro perché mai spesi. Sono le risorse del Programma di sviluppo rurale nazionale 2014-2022 (PSRN) dedicate ai fondi mutualistici e allo strumento di stabilizzazione del reddito (IST), due misure pensate dal 2019 per indennizzare gli agricoltori colpiti da calamità. Un meccanismo innovativo, tra i pochi della Politica agricola comune (PAC), capace di offrire una rete contro la crescente incertezza climatica, che rischia però di evaporare tra ritardi amministrativi e inerzia politica.

Gli impegni non bastano: senza bonifici certificati la partita è chiusa

La Commissione europea è chiara: i fondi valgono solo se pagati effettivamente dagli organismi pagatori, cioè dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) o dagli organismi pagatori regionali (OPR), entro il 31 dicembre 2025. Non bastano gli impegni, non bastano le pratiche avviate. Se non ci sono bonifici certificati, la partita è chiusa e i soldi rientrano a Bruxelles. Un rischio già segnalato da Fedagripesca Confcooperative, che denuncia come i fondi mutualistici abbiano anticipato rimborsi negli anni scorsi senza che la quota pubblica (il 70 per cento del totale, a fronte di un 30 per cento messo dagli agricoltori stessi) sia mai stata erogata per intero. Una falla che potrebbe trasformarsi in un disimpegno automatico da decine di milioni. Il problema si complica per ragioni di calendario: dal 31 luglio 2025 non è più possibile presentare domande intermedie di pagamento. Restano soltanto i mesi finali per istruire e certificare le pratiche già presentate, sperando che la macchina amministrativa riesca a correre più veloce di quanto abbia fatto negli ultimi anni.

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Palazzo Berlaymont (foto di Christian Lue via Unsplash).

Oggi gli agricoltori sostengono tra il 70 e l’80 percento dei danni da eventi estremi

Tutto questo avviene mentre l’agricoltura italiana paga caro la vulnerabilità climatica. Le compagnie assicurative hanno progressivamente ridotto le coperture, lasciando scoperte intere tipologie di rischi. Il Fondo AgriCat – creato dalla legge di bilancio 2022 e operativo dal 2023 – garantisce una copertura di base solo per tre eventi catastrofali: alluvioni, gelo e siccità. Lo fa però con tetti e franchigie che riducono sensibilmente gli indennizzi. Il risultato è che, secondo l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS) e vari studi europei, gli agricoltori finiscono per sostenere direttamente tra il 70 e l’80 per cento delle perdite causate dagli eventi estremi. In questo scenario, i fondi mutualistici finanziati dal PSRN non sono un dettaglio, ma uno strumento indispensabile. Soprattutto per i comparti più esposti – dall’ortofrutta al riso, dalla viticoltura alla zootecnia – che negli ultimi anni hanno visto crescere danni e sinistrosità a fronte di rimborsi sempre più parziali.

Perché sui Fondi Ue all'agricoltura l’Italia rischia l’ennesima figuraccia
Campi allagati in Maremma (Ansa).

Il ministero dell’Agricoltura accelera ma il rischio figuraccia è dietro l’angolo

Consapevole del rischio, il ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste (MASAF) ha provato a muoversi in extremis. Ad agosto e settembre sono comparsi in Gazzetta ufficiale una serie di decreti per semplificare le procedure: modifiche agli avvisi 2019-2023, integrazioni delle quote di adesione, aggiornamento dei valori-indice per il calcolo delle perdite. Interventi che hanno il sapore della corsa dell’ultimo minuto. La sostanza però non cambia: i fondi devono arrivare sui conti correnti degli agricoltori, e devono arrivarci entro fine anno. Non servono promesse, né bandi “a futura memoria”. Servono pagamenti reali. E qui si misura la capacità (o incapacità) del sistema italiano di utilizzare le risorse europee. Se i 52,9 milioni torneranno a Bruxelles, il danno sarà doppio. Per gli agricoltori significherà minori indennizzi, in un momento in cui la crisi climatica rende sempre più incerti i raccolti e sempre più costoso il credito. Per il Paese sarà una figuraccia politica: perdere fondi comunitari proprio sulla voce che dovrebbe rafforzare la resilienza del settore.

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Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura (Ansa).

In gioco c’è la credibilità delle istituzioni italiane

Secondo l’ultimo rapporto Ismea, il valore assicurato delle polizze agevolate ha raggiunto nel 2024 circa 10,3 miliardi di euro, ma restano forti squilibri territoriali e settoriali. I fondi mutualistici dovevano servire a colmare questo divario. Se non si riuscirà a spenderli, si dimostrerà che l’Italia non solo non riesce a proteggere i suoi agricoltori, ma neppure a utilizzare gli strumenti messi a disposizione dall’Unione europea. A tre mesi dalla scadenza, il quadro è chiaro: o la burocrazia italiana riesce a completare le liquidazioni e a certificare la spesa, oppure Bruxelles si riprenderà i 52,9 milioni. Non sarà un dettaglio contabile, ma un messaggio politico: l’Italia perde una delle poche leve innovative della PAC in materia di gestione del rischio, proprio mentre gli agricoltori pagano di tasca propria fino all’80 per cento delle perdite da eventi estremi. La protezione che manca non è più un concetto astratto: è fatta di vigneti distrutti dalla grandine, frutteti bruciati dalla siccità, stalle allagate. Dietro ogni pratica ancora ferma sui tavoli di AGEA c’è un’azienda che attende ristoro. Se i soldi non arriveranno, i danni non saranno solo dei bilanci agricoli. Saranno anche i conti pubblici italiani e la credibilità delle istituzioni a portare la cicatrice. E Bruxelles, a quel punto, non avrà colpe: avrà soltanto incassato l’ennesima prova dell’incapacità italiana di trasformare i fondi in strumenti reali.



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