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IL COMMENTO La paura di essere genitori – Il Golfo 24


Di Giorgio Di Dio

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Di fronte al calo delle nascite, sentiamo ripetere sempre lo stesso ritornello: i giovani non mettono al mondo bambini perché non ci pensano, perché preferiscono viaggiare, perché inseguono l’autorealizzazione. Ma questa è una lettura superficiale, troppo comoda e lontana dalla realtà quotidiana. La verità è che i figli restano un desiderio vivo, autentico, presente nelle vite di moltissimi giovani, solo che mancano le condizioni per trasformarlo in realtà. Quel desiderio, che una volta sembrava scontato, oggi è sospeso in una lunga attesa. Un trentenne oggi si muove tra contratti precari, stipendi bassi, affitti inaccessibili e assenza di servizi di base. In queste circostanze, dire “aspetto” non significa egoismo, ma lucidità. È la consapevolezza che un figlio merita stabilità e che non basta l’istinto o il cuore se poi tutto il resto è ostile. È una forma di responsabilità, non di superficialità, prendere tempo in attesa di un contesto più solido, in cui l’idea di un figlio non sia vissuta come un rischio ma come un diritto. Nessuno sogna una genitorialità improvvisata o affidata al caso.

Nel nostro Paese si continua a parlare di natalità come di un fatto privato, quasi fosse un capriccio personale. Invece riguarda tutti: senza nuove generazioni, crollano pensioni, welfare e perfino la tenuta produttiva. Eppure, genitori e futuri genitori vengono lasciati soli: nidi insufficienti, congedi farraginosi, politiche della casa deboli. Le istituzioni, anziché intervenire in modo strutturale, si limitano spesso a misure spot, incapaci di costruire una prospettiva. È come se ci si aspettasse che la genitorialità si regga da sola, per inerzia o per abitudine. Non si tratta solo di soldi. È un nodo culturale: la genitorialità non può essere narrata come sacrificio o ostacolo alla carriera, ma come valore sociale. In Italia diventare madre o padre rimane ancora spesso percepito come un atto di coraggio individuale, quando invece dovrebbe essere una scelta naturale sostenuta dalla comunità. Non può essere una sfida solitaria: è un gesto che riguarda il presente e il futuro di tutti. È anche attraverso la genitorialità che si costruisce il legame tra le generazioni, il senso di appartenenza, la fiducia collettiva. Se davvero crediamo nel futuro, dovremmo smettere di chiedere ai giovani perché non fanno più figli e iniziare a chiederci che cosa facciamo, concretamente, per rendere possibile quella scelta. Altrimenti la risposta sarà sempre la stessa: non è mancanza di volontà, è mancanza di fiducia. E questa fiducia, una volta incrinata, è difficile da ricostruire. Serve tempo, impegno, coerenza nelle politiche e nei messaggi culturali. Continuare a puntare il dito contro chi rinvia la scelta di diventare genitore è solo un modo per eludere il vero problema.

Ogni volta che si parla di denatalità in Italia, la discussione scivola quasi sempre sui numeri. Quante nascite, quanti decessi, quanti figli per donna. Ma dietro le cifre c’è una realtà più profonda, che non si lascia spiegare dalle statistiche. Non è vero che i giovani non vogliono figli: semplicemente non vedono le condizioni per costruire, con serenità, un progetto familiare. A mancare non è il desiderio, ma le certezze. E senza certezze, anche l’amore più grande rischia di rimanere confinato al sogno. Certo, il lavoro flessibile, lo smart working, i congedi: tutte misure utili, ma ancora troppo legate alla buona volontà delle singole aziende. Non bastano politiche frammentarie o incentivi provvisori: serve un cambio di mentalità. In Italia il lavoro è ancora spesso misurato sulla quantità delle ore e non sulla qualità dei risultati. E la genitorialità viene trattata come un problema da gestire, non come un investimento sociale ed economico. Bisogna rovesciare la prospettiva: sostenere i genitori non è un costo, ma un guadagno per l’intera collettività. Eppure, si continua a distribuire responsabilità senza fornire strumenti concreti: come si può chiedere di mettere al mondo figli in un Paese che non garantisce asili accessibili, trasporti efficienti, politiche della casa, sostegno vero alle famiglie? È un corto circuito evidente, eppure tollerato

C’è anche un aspetto culturale che pesa. Troppo spesso la maternità è stata banalizzata come scelta individuale o addirittura sacrificio. È evidente che non si tornerà indietro a vecchi modelli di famiglia, ma occorre immaginare una narrazione nuova della genitorialità: non vincolo, ma opportunità; non freno, ma passo avanti collettivo. Solo così i giovani potranno smettere di viversi come individui sospesi e cominciare a sentirsi parte di una comunità che li accompagna. Una comunità che non si limita a osservare, ma che partecipa attivamente. Il futuro della natalità, quindi, non passa solo dai bonus o dai voucher: passa da un patto sociale che restituisca fiducia. Diventare genitori non deve sembrare un salto nel vuoto, ma un progetto possibile. È da qui che si misura la maturità di un Paese. E, al momento, l’Italia rischia di dimostrare che, più che ai figli, crede nella precarietà. Finché sarà così, continueremo a interrogarci su come mai i giovani non fanno più figli, senza avere il coraggio di guardare davvero in faccia le risposte. In questa attesa prolungata, la gente cerca anche modelli di riferimento concreti, non soli promesse astratte. Ci vuole una grammatica della fiducia: tempi certi di gestione familiare, accesso reale ai servizi, trasparenza nei percorsi di lavoro e welfare che si costruiscano attorno alle esigenze quotidiane delle persone comuni. Occorre interlocuzione con le imprese, che riconosca che la solidità di una famiglia ripaga la comunità: gente più stabile, cittadini che investono nel domani e partecipano attivamente alla società. Se non si costruisce questa rete di sostegni, la forbice tra desiderio di genitorialità e possibilità concreta resterà insormontabile, alimentando frammentazione e disillusione. Solo una visione integrata, condivisa tra pubblica amministrazione, mercato e società civile, può trasformare l’aspettativa in una scelta liberamente esercitata.

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