Quando pensiamo all’economia circolare, e quindi al riutilizzo del prodotto al termine del suo ciclo di vita, spesso ci riferiamo al semplice riciclo del materiale: il rottame metallico diventa materia prima per produrre acciaio, il legno dei mobili vecchi o gli scarti di falegnameria consentono di produrre pannelli di design, dalla plastica riciclata si creano fibre sintetiche. «Ma l’economia circolare non si limita al recupero dei materiali, si estende anche alle funzioni del prodotto. E questo rappresenta un nuovo modello produttivo vincente rispetto al semplice recupero dei materiali». Le potenzialità di processi strategici dell’economia circolare, come demanufacturing e remanufacturing, sono sottolineate da Tullio Tolio, docente di manufacturing and production systems al Politecnico di Milano, oltre che presidente del comitato tecnico scientifico di Afil, associazione fabbrica intelligente Lombardia, e delegato nazionale per i temi legati alla ricerca in Horizon Europe.
Il quale prosegue con il ragionamento: «l’economia circolare si può applicare anche ai beni strumentali, ovvero ai macchinari industriali. Sono prodotti con una vita lunga, possono essere rigenerati anche quando sono ancora in funzione, con upgrade costanti». Questo consente di fidelizzare il rapporto con il cliente, con un’ottica simile a quella della servitizzazione. Riduce lo spreco recuperando forti margini sui costi di produzione. E può far leva sull’importante base di installato dell’Europa, un vantaggio rispetto alla Cina che invece compete sul prezzo di nuovi macchinari sempre più evoluti tecnologicamente.
Di tutto questo si è parlato nel corso di un aperitivo tecnologico al competence center Made 4.0 dedicato alla “Digital Transformation: la chiave per il successo delle aziende italiane”, con i rappresentanti di cinque aziende innovatrici: Christian Colombo, ceo di Ficep (impianti per la lavorazione dell’acciaio), Valentina Bolis, presidente Esg ed head of communications del Gruppo Saviola (pannelli truciolari da legno riciclato), Massimo Parini, production manager Marca Group (stampaggio plastica), Glauco Longoni, ceo di Rimsa (illuminazione industriale), e Paola Centonze, chief communication & sustainability officer Industria Termoplastica Pavese (pellicole per imballaggi alimentari).
Sono le imprese protagoniste di un percorso di formazione proposto dal competence center, e si articola in cinque moduli ciascuno dei quali prevede una lezione teorica di un docente del Politenico di Milano e la visita in un’azienda.
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Il ruolo della manifattura nell’economia circolare: non solo riuso dei materiali, ma delle funzioni del prodotto o del macchinario industriale. L’Europa può sfruttare la base di installato in chiave di concorrenza alla Cina
Il primo di questi cinque moduli comprende una lezione proprio di Tullio Tolio dedicata ai nuovi scenari del manifatturiero in chiave Industria 5.0, concentrato su circular economy, beni strumentali, e sistemi produttivi, e sul modo in cui questi tre pillar possono abilitare nuovi modelli di business.
L’economia circolare da una parte è una necessità, perché il più tradizionale modello lineare basato su approvvigionamento di materie prime, produzione, e smaltimento, non è più sostenibile. Le risorse del pianeta non sono infinite, e vanno preservate. Spesso l’industria manifatturiera viene vista come parte del problema, in quanto fonte di inquinamento. «In realtà, invece, proprio dalla manifattura possono arrivare soluzioni, anche se il ragionamento non è immediato».
Per esempio, l’industria realizza gli impianti che servono per produrre energia pulita. Pale eoliche, pannelli fotovoltaici, e via dicendo. In considerazione del fatto che la transizione energetica è centrale nella Trasformazione 5.0, e che le rinnovabili ne sono una parte fondamentale, il rafforzamento di una filiera produttiva italiana ed europea di questi dispositivi contribuisce alla crescita economica e all’indipendenza energetica e produttiva.
La circular economy ha poi un importante potenziale di sviluppo nel riuso. «Spesso con questo termine ci riferiamo al riutilizzo dei materiali di cui è composto il prodotto, che rappresentano il 30% del suo valore. Invece, si possono riciclare anche intere componenti, oppure funzioni, con un beneficio economico per il cliente, che risparmia, e per il costruttore, che ha più margine sul prodotto rigenerato che non sul nuovo». Ci sono multinazionali che puntano su questo settore di business, come Borg Automotive Group, attiva nel remanufacturing, rigenerazione di componenti, per il settore automotive.
Il punto è che la stessa operazione si può fare sui beni strumentali, come le macchine utensili. Sono prodotti che hanno una vita lunga: l’80 per cento dei macchinari industriali è ancora in servizio dopo dieci anni, il 65% anche dopo 20 anni. Chi li realizza può puntare sul riuso per fidelizzare il cliente, come succede con la servitizzazione. «Per l’Europa questo è fondamentale: ha una base di installato enorme, e questo rappresenta un vantaggio sulla Cina», sottolinea il professore del Politecnico, che prosegue: «i produttori di beni strumentali possono entrare in un mercato che è ancora in fase embrionale, ma è già presidiato anche da grandi realtà come Dmg Mori, Heller, inVia Robotics. Si tratta di un modello di business che ad esempio rende le tecnologie industriali accessibili alle Pmi».
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Le piattaforme di componentistica si inseriscono nella supply chain industriale, sono ancora indietro su cybersercurity, tracciabilità, assemblaggio, ma il settore è in evoluzione e ci sono spazi per la nascita di nuovi player
Ci sono piattaforme focalizzate invece sulle singole componenti degli impianti industriali. Lavorano sul disegno del pezzo, e lo vendono al cliente. Gestiscono direttamente i fornitori, per cui uno degli svantaggi è che non c’è la tracciabilità, chi acquista non sa chi sia il produttore. Però ottiene il pezzo in pochissimi giorni. «Queste piattaforme sfruttano la capacità produttiva inutilizzata dei produttori originali.
Sono destinate anche a cambiare la supply chain industriale». Come detto, potrebbero avere un impatto paragonabile a quello che ha avuto Amazon sulla distribuzione. Attenzione: questo mercato è solo all’inizio. «Produrre pezzi per l’industria è molto più difficile che fare semplice logistica. Ci sono poi problemi legati alla cybersecurity, queste aziende hanno dati di produzione che possono essere sensibili. Altro limite: non hanno l’assemblaggio, non applicano modelli di circular economy. Al momento non sono pronte tecnicamente a entrare nella supply chain industriale».
L’evoluzione però è già in atto, con modelli basati su fornitori qualificati, che garantiscono la tracciabilità, e sistemi relativamente precisi di introduzione delle specifiche tecniche. In definitiva, conclude Tolio, «la circular economy è una sfida per la manifattura anche perché le imprese devono entrare in questi nuovi mercati, combattendo il rischio che i nuovi modelli di business tolgano loro fette di mercato».
La Amazon della produzione incontra resistenza fra le aziende: i casi Ficep e Rimsa
Al momento, comunque, sono numerosi i casi di imprese che preferiscono la progettazione interna. Ad esempio Ficep, azienda familiare con quasi cento anni di storia, ha iniziato fabbricando cesoie e punzonatrici e oggi è una multinazionale che produce impianti automatici per la lavorazione dell’acciaio e macchinari industriali per la forgiatura e lo stampaggio, e propone alle aziende anche impianti usati ricondizionati.
«Negli anni ‘80, facevamo i controlli numerici in casa – racconta il ceo Christian Colombo -. Avevamo prodotti da due a decine di assi, e non esistevamo sul mercato controlli numerici adeguati. Oggi le piattaforme Windows-based rendono inutile questa attività, e quindi la società interna che faceva i nostri controlli numerici ora fa IoT, internet delle cose, al servizio di manutenzione predittiva e servitizzazione». Questo risolve un’esigenza concreta: «i componenti intelligenti prodotti in Europa spesso sono troppo cari, i cinesi vendono a prezzi fino a otto volte più bassi. Realizzare internamente la sensoristica è quindi vantaggioso». La progettazione interna fornisce più sicurezza sul fronte cybersecurity, anche in vista dell’entrata in vigore nel 2027 del Regolamento macchine
Neanche a Glauco Longoni, ceo di Rimsa, piace l’idea della Amazon della produzione: «abbiamo sempre internalizzato tutti i processi. Ci produciamo da soli anche gli imballaggi. Io devo garantire la tracciabilità di ogni singolo pezzo. Riceviamo i programmi con i pacchetti dati dai fornitori, la sfida per il futuro è integrarli nel nostro gestionale. Un passaggio che richiede intelligenza artificiale». In generale, in materia di digitalizzazione, essere eccessivamente dipendenti da aziende che Longoni definisce spersonalizzate come i colossi del web, viene vissuto come un limite.
Il numero uno di Ficep propone analoga considerazione per gli investimenti in intelligenza artificiale: «legarsi a un unico grosso fornitore è molto rischioso, ad esempio sul fronte dei costi. Punterei sulla creazione di strutture interne e modelli open source».
Digitalizzazione vuol dire nuovi modelli di business ma non solo: innovazione tecnologica, processi e organizzazione del lavoro, formazione di nuove competenze. Le aziende protagoniste del percorso di Made 4.0 sulla digital transformation ne sono un esempio.
La digitalizzazione al servizio dell’economia circolare e della sostenibilità: Gruppo Saviola, dal legno in discarica ai pannelli di design
Il Gruppo Saviola, che produce pannelli per l’industria del mobile partendo al 100% da legno riciclato, sarà protagonista di un modulo dedicato alla sostenibilità. «Abbiamo puntato sull’economia circolare fin dagli anni ’90», dichiara la presidente del comitato Esg, Valentina Bolis. L’azienda guidata da Alessandro Saviola, figlio del fondatore Mauro, oggi ha 15 stabilimenti nel mondo, fattura 830 milioni di euro (dato 2023) ha un’unita di business (Savionet) con oltre 30 centri in Italia, Germania e Francia, dedicati principalmente alla raccolta e selezione del legno.
«Per noi la digitalizzazione è sempre stata al servizio della sostenibilità. Il processo produttivo parte dalle isole ecologiche, da cui prendiamo il legno. Ricicliamo anche le altre componenti di questi rifiuti: ferro, alluminio, rame, vetro, carta. Parliamo di una rigenerazione dei materiali che arriva al 98-99%». La logistica è gestita internamente, sia nella fase di raccolta della materia prima sia per la distribuzione.
Attualmente l’azienda lavora molto sulla catena di fornitura, all’insegna della tracciabilità abilitata dalle tecnologie. «Stiamo introducendo l’intelligenza artificiale in diversi reparti, come HR, commerciale, operation, e per fare formazione. Il concetto di base è che nel nostro processo produttivo è determinante il fattore umano». Esempio: il controllo del prodotto finito. «Serve a verificare che nel pannello non ci siano scheggiature, e che la bordatura sia precisa. Abbiamo macchinari che fanno questa operazione, ma c’è sempre una componente umana che effettua il controllo utilizzando la macchina».
Rimsa, un anno di settimana corta in produzione grazie alla digital transformation
Un altro modulo del corso è dedicato all’analisi di costi e benefici del processo di digitalizzazione. E qui protagonista è Rimsa, che realizza macchine industriali, mediche e chirurgiche e ha sperimentato per un anno la settimana corta in produzione. In realtà proprio in questo inizio di settembre è aumentato il lavoro ed è quindi stato ripristinato anche il turno del venerdì. L’anno di sperimentazione comunque è andato bene: «abbiamo mantenuto gli stessi risultati economici e finanziari, che anzi sono aumentati rispetto all’anno precedente – segnala il ceo -. E questo è stato possibile grazie alla digitalizzazione, che ha eliminato sprechi e inefficienze». Un esempio: «prima determinati problemi in produzione facevano partire un arresto macchina, e un responsabile doveva controllare e intervenire. Ora invece posso mandare un allarme ma continuare a lavorare perché un responsabile riceve un’informazione più precisa e può decidere di non fermare la produzione».
Comunicare il cambiamento motiva le persone e abilita la trasformazione 5.0 in azienda: ITP punta su centralità del lavoro umano e innovation manager
Itp, Industria Termoplastica Pavese, è a sua volta un’azienda familiare con 53 anni di storia attiva nella produzione di pellicole per il confezionamento di prodotti alimentari ma anche industriali. La vision sulla digitalizzazione, che è stata messa in pratica, presta particolare attenzione al coinvolgimento delle persone.
«Un anno fa abbiamo inserito un innovation manager – sottolinea Paola Centonze, chief communication & sustainability officer -. Ora pensiamo anche di inserire nuove figure aziendali, per seguire tutte le evoluzioni normative che riguardano il packaging». Il processo di innovazione tecnologica spesso comporta la necessità di svolgere compiti nuovi, e non sempre i carichi di lavoro aggiuntivi vengono percepiti come un investimento sulla propria professionalità. Conseguente l’importanza di curare questo aspetto. Esempio: «lo scorso anno, in occasione dello switch su Sap S/4Hana, abbiamo organizzato tavole rotonde con i reparti coinvolti per fare formazione e recepire difficoltà e motivazioni delle resistenza culturali». Centonze insiste sul concetto in base al quale «la sfida principale della digitalizzazione non sono le tecnologie, ma il coinvolgimento del personale, dagli operatori ai manager. Le aziende familiari non sempre hanno la lungimiranza di capirlo».
Il consiglio fondamentale per le imprese: «non calare dall’alto il percorso, comunicare bene la leadership e promuovere poi la partecipazione estesa a tutti i livelli aziendali. Con massima trasparenza sulla direzione intrapresa. Se la direzione è la sostenibilità, la digitalizzazione sarà un mezzo per raggiungerla».
Il ceo di Ficep, Christian Colombo, inserisce un’ulteriore considerazione: «quando si intraprende un processo di digitalizzazione non bisogna partire dal presupposto che gli investimenti siano inferiori a quelli necessari per macchinari e asset. Possono anche essere più ingenti, e implicano riorganizzazione, nomina di figure nuove. Se dovessi rifare il percorso, cercherei competenze olistiche sul processo e sul prodotto».
Marca Group, dalla Wikipedia della conoscenza aziendale ai bot di IA: la digitalizzazione parte sempre dal dato
Infine, Marca Group, attiva nello stampaggio di materie plastiche soprattutto per l’automotive e il settore elettrico ed elettronico, viene proposta come azienda data driven. «Il processo di digitalizzazione, è partito dall’acquisizione di dati dalle macchine. Con Industria 4.0 abbiamo sostituito tutti i macchinari che non avevano protocolli di comunicazione», racconta Massimo Parini, production manager. «Abbiamo costruito una nostra piattaforma di raccolta dati. Avevamo già un erp proprietario, con dati di qualità, inseriti una volta sola e mai ripetuti. Abbiamo utilizzato lo stesso database anche quando abbiamo digitalizzato le macchine. Oggi abbiamo algoritmi che ci danno le condizioni statistiche sulla produzione, e servono ad anticipare il problema. Poi abbiamo costruito altri sinottici, a diversi livelli: allarmi fermanti, avvertimenti via Whatsapp, mail di sintesi. Chi lavora sulla macchina ha sinottici diretti, chi fa un lavoro di sintesi lavora su strumenti di più alto livello».
Come detto i software sono per lo più open source. Anche per quanto riguarda i programmi per la formazione: comprendono video e altri materiali che raccolgono la conoscenza dell’azienda, molto spesso data dall’esperienza. Il tutto, in un ambiente collaborativo. Una sorta di Wikipedia interna aziendale all’interno della quale si inseriscono dati. Questa conoscenza è stata utilizzata per addestrare dei bot, con i quali si dialoga attraverso interfaccia con Whatsapp., e viene costantemente alimentata anche utilizzando nuovi tool di IA. L’idea è quella di valorizzare sempre più i dati che arrivano dai processi, cercando correlazioni che abilitano analisi in ottica di manutenzione predittiva. E di mettere a sistema le competenze delle persone.
Il percorso sulla digital transformation di Made 4.0 parte il 30 settembre con una lezione sui nuovi modelli di business nel manufacturing
Le aziende e i professionisti che parteciperanno al percorso Digital Transformation di Made 4.0 come detto seguiranno lezioni teoriche, da remoto, tenute da esperti del Politecnico di Milano e visiteranno poi gli impianti produttivi delle cinque aziende sopra citate. Il primo appuntamento è il 30 settembre con una lezione tenuta da Tullio Tolio dedicata alle tecnologie emergenti del manufacturing e agli scenari dell’Industria 5.0, il 13 ottobre Anna De Carolis proporrà strumenti di analisi costi benefici che derivano dalle nuove tecnologie, anche attraverso il modello Dreamy per analizzare la maturità digitale, terzo modulo sull’open innovation, con lezione di Antonio Ghezzi il 28 ottobre, il 10 novembre Giovanni Miragliotta parlerà di aziende data driven, e infine, il 25 novembre Davide Chiaroni proporrà modelli di business di economia circolare. Tutte le lezioni come detto sono seguite, a distanza di qualche giorno, da una visita in azienda. Il percorso, organizzato nell’ambito di M.I.A. Lombardia, è finanziato con fondi del Pnrr e prevede uno sconto in fattura del 100% per le piccole imprese, dell’80% per aziende di medie dimensioni e del 50% per le grandi imprese.
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