I sorprendenti avanzamenti nella ricerca biomedica sono ormai frutto di un lavoro di squadra, dove a scendere in campo sono discipline diverse, spinte a comunicare e cooperare con l’obiettivo comune di arrivare presto e bene al letto del paziente. La collaborazione tra sperimentazione in laboratorio, da un lato, e modellizzazione computazionale e intelligenza artificiale, dall’altro, è sempre più ampia e rilevante.
«Sapere che si sta contribuendo al bene del paziente e che molte sono le aspettative riposte in te alimenta una motivazione enorme che si aggiunge alla forte spinta interiore tipica di chi decide di dedicarsi alla ricerca scientifica» commenta Laura Cancedda, neurofisiologa responsabile Laboratorio Brain Development and Disease dell’Istituto Italiano di Tecnologia – IIT, dove si occupa dei meccanismi anomali che portano allo sviluppo di malattie del sistema nervoso. Neurofisiologa, un dottorato alla Normale di Pisa, un periodo di ricerca all’Università della California di Berkeley, Cancedda è una ricercatrice di base. L’approccio resta lo stesso, un interrogare con esperimenti la natura alla ricerca di risposte, così come la passione e la curiosità, ma «l’aspetto traslazionale spinge a prediligere certe indagini piuttosto di altre, al fine di arrivare a una risposta concreta per il paziente».
Come è nato questo nuovo sguardo in una ricercatrice di base? «È stato l’ufficio di Technology Transfer di IIT a spingere la collaborazione del mio gruppo con i chimici computazionali del team di Molecular Modeling and Drug Discovery guidato da Marco De Vivo», spiega Cancedda. «Loro individuano e disegnano i composti candidati e noi li testiamo in cellule in coltura e modelli in vivo; dopodiché, i dati che raccogliamo informano i loro sistemi algoritmici, in un circolo virtuoso».
La neurofisiologa interverrà al Festival Trieste Next, domenica 28 settembre, all’incontro “Cellule, dati, algoritmi: la nuova frontiera della ricerca biomedica” (alle 10 in piazza Unità d’Italia) insieme a Stefano Diciotti, docente di Ingegneria biomedica Università di Bologna, e Gennaro Gambardella, responsabile Laboratorio Biologia sintetica e sistemi Tigem-Istituto Telethon Genetica e Medicina. Fondazione Telethon, che propone l’evento, è content partner del Festival.
Cancedda, fin dal primo grant nell’ambito del programma Dulbecco-Telethon Institute, è una “ricercatrice Telethon”, al momento con due progetti in corso. Ricorda ancora la prima fase di selezione, e la reazione tra l’interessato e l’intenerito della commissione quando spiegò le sue intenzioni di «sviluppare un farmaco, una molecola tutta nuova per l’autismo e i disordini del neurosviluppo. Fondazione Telethon è stata per me fondamentale, mi ha sempre sostenuto». Scommessa vinta.
L’intelligenza artificiale, nella fase di scoperta e di progettazione dei farmaci, ha già contributo notevolmente alla riduzione dei tempi e dei costi di sviluppo, accelerando l’immissione in commercio di molecole efficaci. Il percorso dall’individuazione, alla validazione alla sperimentazione e l’immissione nel mercato dura mediamente dai 10 ai 15anni e svariati miliardi di euro.
Un esempio di successo è il composto chimico più promettente della pipeline della startup biofarmaceutica di cui Cancedda è co-fondatrice insieme a Marco De Vivo chiamata Iama Therapeutics e nata nel 2021, a pochi anni dalla prima pubblicazione di ricerca di base e che ha dato lavoro a 12 ricercatori in staff. La molecola si chiama IAMA-6. Questo candidato farmaco agisce bloccando in modo potente e selettivo la proteina NKCC1, un trasportatore di cloruro nel sistema nervoso centrale. Mediante questa inibizione, si modula l’eccitabilità neuronale, strategia che permette di intervenire sui sintomi di disturbi del neurosviluppo, in questo caso autismo ed epilessie farmaco-resistenti. Ma è considerato target per molte malattie del sistema nervoso centrale dai team di ricerca in tutto il mondo.
L’ individuazione nasce una decina di anni fa, nel 2015, quando Cancedda pubblica su Nature Medicine il meccanismo di azione di un farmaco già approvato, il diuretico bumetanide, sul sistema nervoso di un modello di autismo. Partendo da questi risultati, «il team di De Vivo ha quindi testato virtualmente 150mila composti. Di questi, noi ne abbiamo studiati in laboratorio “solo” 300» spiega Cancedda. «Qualcosa che non sarebbe stato fattibile in passato». Il passaggio dal modello in silico a quelli su linee cellulari e in vivo è necessario per «indagare alcuni aspetti, solo parzialmente già noti tramite analisi e simulazioni computazionali, come l’assorbimento e lo smaltimento del composto e il suo passaggio attraverso barriera emato-encefalica», tutti elementi causa del successo clinico di un potenziale farmaco.
Non solo la fase di scoperta, quindi, ma anche quella di progettazione e sviluppo vengono fortemente accelerata dai sistemi di intelligenza artificiale. Che consentono anche la produzione di composti di back up e di follow up, del tutto simili a quello potenzialmente più adatto, con l’obiettivo di non buttare all’aria un’impresa titanica dovesse andare male qualcosa con la molecola principale candidata.
«La molecola IAMA-6, nata dallo studio del bumetanide, opportunamente disegnata per non avere alcuna attività diuretica, ha mostrato in modelli preclinici di portare a una riduzione dei sintomi diagnostici di autismo e delle crisi epilettiche e in fase 1 – quella sui volontari sani – di essere sicura, non diuretica e in grado di modulare l’attività cerebrale» spiega Cancedda. «La fase 2 è in partenza», resa possibile da un nuovo investimento da 16 milioni di euro. L’ipotesi è quella di arrivare a un farmaco che, allargando la finestra temporale di plasticità cerebrale, continuando a stimolarla anche dopo il periodo critico del neurosviluppo, consenta di «intervenire modificando la traiettoria della malattiae consentendo di riportare verso il normosviluppo o comunque migliorando la qualità della vita della persona».
Foto Cancedda – Chem publication IIT
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