L’introduzione dei dazi americani al 15% rappresenta una sfida significativa per l’export italiano, che nel 2024 ha raggiunto i 65 miliardi di euro verso gli Stati Uniti.
Qualsiasi riflessione, di senso compiuto, sull’impatto dei dazi americani sull’economia italiana non può, tuttavia, prescindere dall’analisi dei dati inerenti alle dinamiche di import ed export declinate per settore e tenendo conto delle caratteristiche dei settori.
L’export italiano verso gli Stati Uniti: numeri e prospettive
Gli Stati Uniti sono il secondo mercato di destinazione dell’export italiano con circa 65 miliardi di euro di merci esportate nel 2024 e sono un mercato in crescita (CAGR +7,30% negli ultimi 5 anni), dove i settori che fanno la parte del leone sono il farmaceutico e i macchinari (macchine utensili soprattutto), per cui gli Stati Uniti sono il primo mercato di destinazione e sono anche i primi due settori di export per l’Italia.
La buona notizia è però che entrambi i settori riteniamo possano assorbire meglio di altri l’impatto dei dazi al 15%, per la combinazione tra la redditività del settore e la forza e unicità dell’offerta che le nostre imprese incarnano. Ricordiamoci infatti che, sulla base dell’attuale comprensione dei termini dell’accordo raggiunto al Golf Club di Turnberry, in Scozia, lo scorso 27 luglio, la dimensione generale del 15% è infatti quella di atterraggio dei dazi, partendo da una base media che sappiamo essere di circa il 4,8%. Si tratterebbe quindi di un 10% incrementale che, riteniamo, entrambi i settori potrebbero sopportare.
Nel caso dei macchinari, per effetto della relativa unicità della nostra offerta che caratterizza le imprese lombarde, emiliane, venete, piemontesi e toscane (ovvero quelle più esposte sul settore verso gli Stati Uniti): a nostro avviso, potrebbero subire senza particolari impatti sui volumi un incremento dei prezzi pari all’incremento delle tariffe doganali o qualcosa di meno se le imprese decidessero di ridurne l’impatto riducendo i prezzi, a fronte di una marginalità del settore (a livello di Ebitda) comunque superiore al 10%.
Nel caso invece del settore farmaceutico, la considerazione che possa sopportare senza troppi impatti i nuovi dazi addizionali, dipende dalla relativamente alta redditività del settore che, sfiorando il 20% (18,8% sui bilanci 2024), potrebbe da un lato ridurre i prezzi della dimensione necessaria per non aver impatti sul volume e dall’altra investire in quell’efficienza operativa che consentirebbe poi di recuperare la redditività precedente.
Alternative strategiche per i settori più esposti
In ogni caso, per entrambi i settori più esposti verso gli Stati Uniti esistono altri mercati di destinazione molti rilevanti che dovrebbero essere contemplati dalle imprese italiane. Per i macchinari facciamo riferimento alla Germania (circa 10 miliardi di euro di export sul settore) e alla Francia (circa 7,8 miliardi di euro di export sul settore) e alla Svizzera (circa 9,1 miliardi di euro di export sul settore) e al Belgio (circa 7,1 miliardi di euro di export sul settore) per il settore farmaceutico.
Il settore, tra i primi dieci più rilevanti per l’export italiano, che invece riteniamo possa soffrire di più la nuova politica tariffaria americana, è l’alimentare. Quest’ultimo, infatti, al di là di alcune vere unicità come i prodotti a marchio DOP e IGP o come alcuni prodotti viti-vinicoli, conta un numero rilevante di imprese che esportano (oltre 65 mila), anche in fasi intermedie della catena del valore e soprattutto sconta una bassa redditività media (7,8%) che non permette manovre sui prezzi tali da assorbire le nuove tariffe doganali.
Il comparto ICT: hardware tra opportunità e sfide
Passando al settore ICT, è fondamentale chiarire che ci soffermeremo soprattutto sulle componenti hardware essendo quelle ufficialmente mappate nei dati ISTAT Coeweb, mentre una considerazione a latere la faremo sul mondo software e dei servizi.
Analizzeremo i settori Ateco 26 (Computer e prodotti di elettronica e ottica; apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi) e 27 (Apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche) e lo faremo guardando alla bilancia commerciale complessiva verso i principali Paesi di destinazione e provenienza.
Gli Stati Uniti, sulla base dei dati 2024, sono il secondo mercato di esportazione per l’Ateco 26 dopo la Spagna e il quinto per provenienza dell’import, Cina, i Paesi Bassi, la Germania e la Francia. Il saldo della bilancia commerciale per il settore è complessivamente negativo per 14,1 miliardi di euro, riflettendo la progressiva deindustrializzazione in quest’ambito dell’Italia, dopo i fasti dell’Olivetti. Tuttavia, nei confronti degli Stati Uniti, abbiamo un saldo positivo, per quanto piccolo, di circa 293 milioni di euro.
Il nostro disavanzo commerciale in questo settore dipende in larghissima misura dalla Cina e dai Paesi Bassi, che spiegano 13 miliardi di euro dei 14,1 miliardi totali: sono parte dello stesso fenomeno di importazione massiva dal Far East, in quanto l’import dai Paesi Bassi ha molto a che fare con il porto di Rotterdam e con il relativo sdoganamento in Europa delle componenti elettroniche provenienti dai mercati asiatici (soprattutto Cina, Corea del Sud, Taiwan e Giappone).
Gli Stati Uniti, nell’import di questo settore in Italia, pesano poco, solo 1,471 miliardi di euro nel 2024 ed è quindi razionalmente piuttosto comprensibile che una delle richieste più forti avanzate da Trump, nella trattativa commerciale con l’UE, abbia a che vedere con il riposizionamento della supply chain di questo comparto, soprattutto per quanto riguarda i semiconduttori, dall’Asia agli Stati Uniti. E questo sia per una mera questione mercantilistica che per una finalità di sicurezza del mondo occidentale, che, su questi temi, all’attuale Presidenza degli Stati Uniti sta molto a cuore.
Elettrodomestici e domotica: il punto di forza italiano
Per quanto riguarda invece il settore degli elettrodomestici e della domotica (Ateco 27), la nostra bilancia commerciale evidenzia un consistente surplus, pari a 5,2 miliardi di euro, che risulta estremamente comprensibile alla luce del nostro forte posizionamento, sia dal punto di vista del design che dal punto di vista tecnologico in quest’ambito. Gli Stati Uniti in questo settore sono un importante mercato di sbocco, costituendo, con 2,9 miliardi di euro di merci esportate, il terzo Paese di destinazione, dopo Germania e Francia ma con il tasso di crescita del nostro export più sostenuto (+13,3% vs il -1,2% e -2,2% di Germania e Francia nel 2024). In questo settore la nostra bilancia commerciale con gli Stati Uniti è marcatamente positiva (+2,2 miliardi di euro, a fronte di un import irrisorio pari a 0,65 miliardi di euro) ma non pare che tra le misure di riequilibrio discusse in Scozia, questo settore sia stato toccato, in quanto l’industria americana non pare così forte.
Redditività e resilienza dei settori tecnologici
Entrambi i settori ICT sopra considerati hanno una discreta redditività, oscillante tra l’11% e il 12% e per ragioni diverse non dovrebbero essere troppo impattati dai nuovi dazi americani perché l’uno, l’Ateco 26 (Computer e altre apparecchiature elettroniche), potrebbe essere risparmiato dai dazi incrementali, a fronte del forte impegno dell’UE ad “acquistare americano” in tali ambiti e l’altro, l’Ateco 27 (Elettrodomestici e domotica), presenta una forte value proposition italiana che dovrebbe preservarci da impatti di mercato, anche a fronte di un aumento dei prezzi per i consumatori americani.
Software e servizi: l’area grigia dei dati commerciali
Quanto al software, ci sono pochi dati da commentare perché, come noto, da un lato l’Italia e l’Europa in genere sono infinitamente più deboli dei colossi Big Tech americani ma, soprattutto, le dinamiche di transfer prices e di riconoscimento delle royalties cross-border non sono fenomeni ufficialmente mappati e sono spesso coperti da grande riservatezza delle corporation USA. Risulta tuttavia evidente che tali flussi di pagamenti siano verosimilmente almeno tali da compensare il deficit commerciale attuale tra Ue e Stati Uniti ma che, non essendo appunto ufficialmente misurati, non siano stati adeguatamente pesati nella trattativa commerciale da parte dell’UE nei confronti dell’Amministrazione americana.
Strategie data-driven per affrontare il cambiamento
In conclusione, la preoccupazione delle istituzioni e delle associazioni imprenditoriali e sindacali italiane per i nuovi dazi americani va declinata caso per caso perché ogni settore ha le sue peculiarità, che vanno capite e indirizzate analizzando i dati e trovando le soluzioni data-driven più opportune. Ci saranno settori più impattati, come l’alimentare ma, in generale, un livello medio del 15%, che vuol dire dazi incrementali del 10% rispetto alla situazione attuale, è generalmente sostenibile e i due settori hardware dell’ICT italiano potrebbero avere limitati impatti.
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