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solo il 2% dei progetti è concluso


L’acqua è una risorsa sempre più preziosa e limitata. In Italia, a criticità strutturali storiche – come perdite di rete che superano il 40% – si aggiungono gli effetti del cambiamento climatico, che rendono urgente un servizio idrico integrato (SII) efficiente e sostenibile. Garantire approvvigionamento, depurazione e gestione razionale delle risorse idriche non è solo una questione tecnica, ma una priorità sociale ed economica.

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Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) rappresenta un’occasione irripetibile per superare fragilità di governance e divari infrastrutturali che da decenni frenano il settore. Le risorse messe a disposizione – oltre 5,3 miliardi di euro di fondi diretti, che con cofinanziamenti pubblici e privati arrivano a circa 8 miliardi – hanno obiettivi ambiziosi: ridurre le perdite idriche, ammodernare le infrastrutture, digitalizzare i sistemi di gestione, migliorare depurazione e collettamento, rafforzare la sicurezza idrica.

A oggi, però, la disponibilità di risorse non è bastata a garantire un’attuazione lineare. Le riforme hanno registrato buoni progressi, ma gli interventi infrastrutturali restano in ritardo: soltanto il 2% dei progetti risulta concluso e oltre la metà è ancora in fase di collaudo.

Le riforme: governance più solida e meno frammentazione

Il PNRR ha previsto per il settore due interventi riformatori e quattro principali linee di investimento. La prima riforma, sotto la responsabilità del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT), ha reso il Piano Nazionale di Interventi Infrastrutturali e per la Sicurezza del Settore Idrico (PNIISSI) lo strumento cardine per la programmazione. Grazie a questo accorpamento, strumenti prima separati – come le sezioni “Acquedotti” e “Invasi” del “Piano Nazionale degli Interventi nel Settore Idrico” – sono stati integrati in un unico strumento, semplificando la pianificazione e rendendo più coerente l’allocazione delle risorse tra Regioni ed Enti di Governo d’Ambito (EGA). L’obiettivo è ridurre la complessità burocratica e accelerare l’attuazione degli investimenti.

La seconda riforma, affidata al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), mira a ridurre la frammentazione gestionale, particolarmente critica in Campania, Calabria, Molise e Sicilia, dove sono stati firmati protocolli d’intesa per favorire aggregazioni e la nascita di operatori più strutturati. L’introduzione di strumenti economici – come tariffe basate sul principio “chi inquina paga” e sanzioni per i prelievi non autorizzati – punta, inoltre, a responsabilizzare gli utenti, soprattutto in agricoltura, settore che consuma la quota maggiore di acqua dolce disponibile.

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Complessivamente, le riforme presentano un buon avanzamento, poiché hanno gettato le basi per una governance più solida e per una gestione meno frammentata, in particolare al Sud, rafforzando il processo di industrializzazione del servizio idrico e riducendo progressivamente il “Water Service Divide”.

Gli investimenti: progetti numerosi ma attuazione lenta

Il Piano prevede 729 progetti, di cui 568 direttamente collegati al settore idrico, con risorse programmate per quasi 8 miliardi di euro. Di questi, 5,3 miliardi sono risorse PNRR. Le aree di intervento sono quattro:

  • sicurezza nell’approvvigionamento idrico, soprattutto nel Mezzogiorno;
  • riduzione delle perdite di rete tramite digitalizzazione e monitoraggio di almeno 45mila km di condotte;
  • ammodernamento dei sistemi irrigui, per esempio con contatori e controlli da remoto;
  • depurazione e riuso delle acque reflue, con l’obiettivo di ridurre le infrazioni comunitarie.

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La distribuzione territoriale vede 3,2 miliardi di risorse al Sud (40%), 2,9 miliardi al Nord e 1,9 al Centro. La Campania è la regione più finanziata (1,1 miliardi), seguita da Lazio (914 milioni) e Lombardia (736 milioni). In termini pro-capite, spiccano regioni meno popolate come Molise (367 euro/abitante), Basilicata (266 euro/abitante) e Umbria (261 euro/abitante).

Dal lato dei soggetti attuatori, la maggioranza dei progetti è gestita dagli EGA, spesso di piccola dimensione. Tuttavia, i gestori industriali del servizio idrico controllano quasi metà delle risorse complessive (3,8 miliardi), confermandosi attori centrali per la modernizzazione del settore. Le Regioni, invece, hanno in carico pochi progetti, ma di dimensioni medie elevate (oltre 70 milioni ciascuno), e mostrano performance di attuazione molto più lente.

Gare e spesa effettiva: un percorso a due velocità

Il monitoraggio delle procedure di gara mostra che il 98% dei progetti è stato formalmente avviato. Su 568, 509 hanno almeno una gara bandita e 505 una gara aggiudicata. Complessivamente, le gare bandite valgono 8 miliardi di euro e le aggiudicazioni ammontano al 79% degli importi a gara.

La vera criticità riguarda i pagamenti: a metà 2025, ammontano a 2,4 miliardi, pari al 30% del totale finanziato, che sale al 34,5% considerando solo le risorse PNRR. Le differenze tra soggetti attuatori sono rilevanti: i consorzi di bonifica hanno raggiunto il 44% di spesa, i gestori idrici il 32%, gli EGA il 26%. Le Regioni restano molto indietro con appena il 5%, seguite dagli Enti locali al 10%.

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Anche territorialmente, emergono squilibri: Nord e Centro hanno superato il 40% di spesa, il Mezzogiorno si ferma al 23,5%. Le differenze regionali sono marcate: il Friuli-Venezia Giulia guida con oltre il 52% dei pagamenti effettuati, mentre la Campania si ferma al 9,2%.

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In sintesi, se le gare bandite e aggiudicate confermano che la macchina è avviata, la fase della spesa effettiva rivela un cammino ancora parziale e disomogeneo.

Tempi di realizzazione e indicatori di avanzamento

La durata media per completare un’opera idrica finanziata dal PNRR è di circa 4 anni e mezzo. Le fasi preliminari – progettazione e autorizzazioni – richiedono in media 1 anno e 5 mesi, segnalando il peso ancora rilevante della burocrazia, mentre l’esecuzione occupa quasi 2 anni.

In termini di avanzamento rispetto agli “Indicatori Target”, la media si attesta al 30,6%, con differenze però significative. Sono più avanti la distrettualizzazione delle reti, l’ammodernamento dei sistemi irrigui e l’installazione di contatori. Restano indietro gli interventi per la riduzione delle perdite, nodo storico del settore.

A livello di soggetti attuatori, consorzi di bonifica e gestori industriali mostrano performance migliori, mentre Regioni ed Enti locali restano indietro. Sul piano territoriale, Nord e Centro hanno un avanzamento medio superiore al Mezzogiorno, ma senza squilibri estremi.

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Nonostante i progressi, quindi, i divari territoriali restano marcati. Nel Mezzogiorno le perdite di rete sfiorano il 50% e le interruzioni di servizio raggiungono le 226 ore annue per utente, contro meno di 1 al Nord. Sul fronte depurativo, a marzo 2025 risultano ancora in infrazione comunitaria 855 agglomerati, pari a 26,8 milioni di abitanti equivalenti, seppur in calo rispetto ai 914 agglomerati di fine 2023.

Il rischio principale riguarda la concentrazione delle conclusioni nell’ultimo anno del Piano: con il 51% dei progetti ancora in collaudo e il 37% in esecuzione, il rispetto delle scadenze richiede un’accelerazione significativa, soprattutto per le Regioni del Sud. Inoltre, le fasi preliminari – spesso caratterizzate da ritardi medi di circa 50 giorni – restano l’anello debole del processo.

Conclusioni

L’attuazione del PNRR nel settore idrico evidenzia un quadro a due velocità: riforme quasi completate e opere infrastrutturali in forte ritardo. Le prime hanno creato condizioni favorevoli, ma senza un’accelerazione sugli investimenti e un pieno finanziamento degli stralci del PNIISSI, il rischio è di non colmare i divari strutturali e territoriali.

La chiave per il successo resta il rafforzamento dei soggetti più capaci – gestori industriali e consorzi di bonifica – e il superamento della frammentazione che ancora caratterizza ampie aree del Sud. Solo così sarà possibile ridurre il “Water Service Divide”, migliorare la qualità del servizio e garantire la sostenibilità idrica del Paese.

Ad un anno dalla scadenza del Piano, l’Italia si gioca credibilità e risorse. Non cogliere questa occasione significherebbe non solo perdere fondi europei, ma anche lasciare irrisolte criticità che incidono quotidianamente sulla qualità della vita di cittadini e imprese.

 a cura di Andrea Ballabio, Donato Berardi, Francesca Casarico, Lorenzo Di Matteo, Valentina Ferraris, Cosimo Zecchi

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