Bisognerebbe costruire un organo centrale (un’Agenzia o direttamente il ministero) che presidi in ambito internazionale le politiche marittime, segua le trattative sul futuro Wto, attui la convenzione di Montego Bay e negozi le alleanze con i traffici tenendo conto dell’interesse nazionale
1. La crisi della comunità internazionale ed il suo effetto sugli stati europei
Il rischio di ogni società, tanto più se “di fine impero”, è di restare ancorata all’esistente: a prassi, procedure e figure giuridico/ organizzative, che magari affondano nella tradizione, ma cambiare le quali è troppo difficile (poi in Italia ed in Europa la voglia delle riforme si è ormai esaurita da almeno vent’anni mentre prevale quella ….dei bonus e dei sussidi! ). Quindi succede che, con il venir meno delle regole del Wto (che presidiano le libertà economiche) e dell’Unclos (che presidiano la libertà di navigazione), superato il modello “sociale di mercato” degli anni 50, le opulente società europee non riescono a cambiare e rimuovere privilegi e rendite.
La comunità internazionale, ormai sempre meno impostata su assetti neoliberisti e semmai influenzata da presupposti imperialisti, non riesce ad essere accettata dai vecchi Paesi europei, ormai marginali nei tavoli negoziali. Per fortuna, le poche grandi multinazionali europee rivendicano autonomia.
2. Il divenire dell’ordine internazionale nel comparto dei traffici
La stessa considerazione vale anche se si considera la politica marittima del nostro Paese, forse la più tipica e logica: e quindi il ruolo del Mediterraneo che dovrebbe unificare le politiche di molti Paesi europei e non. Tutto sembra, insomma, indurre ad una riflessione (politica in senso alto) evoluta (che evidentemente non ci sarà). Da una parte si profila il ruolo “difficile” del Mar Rosso, non solo per il rischio che deriva dai conflitti nell’area, che evidenziano il crescere di movimenti di tipo terroristico, ma anche per i disegni strategici di Stati Uniti, Cina e Russia – incompatibili con la libertà dei mari specie in acque territoriali – che riguardano il sostegno dell’Africa da est (Mar rosso) come da ovest (dall’Atlantico).
Dall’altra parte il tavolo internazionale che proverà a ricostruire alcune regole minime nel commercio internazionale (governato da Stati Uniti, Russia e Cina, con India, Turchia e paesi arabi) , riguarda anche l’influenza dei grandi sulle aree mondiali. Questo tavolo, focalizzando il Far East (Taiwan in particolare), l’Africa e l’Europa (di fatto “colonie”), conferma anche il crescere di un corridoio artico che consentirebbe di ridurre il transito di ben 18 giorni fra Cina e Europa. Un corridoio che, evidentemente, sarà molto influenzato da Russia e Cina, che già si stanno attrezzando da tempo, e dove gli Stati Uniti cercano di affacciarsi attraverso la Groenlandia. Il servizio avviato alcuni giorni fa pare attestarsi su Rotterdam: ma è evidente che per il futuro i traffici verso l’Europa avranno luogo attraverso alcuni porti russi che dall’inizio degli anni 2000 si stanno strutturando (ad esempio Arcangelo nel mar bianco, Kaliningrad, Ust Luga, San Pietroburgo nel bar baltico ecc.).
Ovvio che i porti russi del nord Europa, per essere davvero efficienti, dovranno, tuttavia, garantire reti e servizi intermodali e logistici su infrastrutture efficienti. In questo senso, forse, i porti che confinano con le reti europee, quelli cioè del baltico, sono più competitivi potendo veicolare i loro traffici attraverso il corridoio Scandinavo Mediterraneo; ma è anche vero che sono diretti concorrenti di Amburgo e Rotterdam, che sono già ben serviti dal corridoio Reno Alpi (settore Karlsruhe – Amburgo/Rotterdam).
Resta il tema del Mediterraneo tutto da ripensare. Quanto agli ambiti, se guardiamo ai numeri del traffico contenitori, uno spazio resta per i porti del nord Adriatico, dove però Luka Koper è molto cresciuto grazie alle politiche marittime della Slovenia ponendosi come il porto del Semmering e del Coralm di prossima apertura. Mentre Trieste privilegia una politica pubblica impostata sull’Intermodalità che costituisce un fiore all’occhiello e meriterebbe di essere replicata. Il sistema Genova – Gioia Tauro, nel Tirreno, grazie al ruolo della pianura padana, resta centrale: ma forse, in prospettiva, si indebolisce nella prospettiva del corridoio Reno Alpi guardando ai traffici da/verso l’estero. Mentre è logico pensare ad uno sviluppo dello short sea shipping e magari del traffico generale, oltre ovviamente delle crociere e specialmente della nautica da diporto che sta crescendo .
3. Quali misure e riforme alla luce della congiuntura internazionale
Anzitutto una riforma dei porti italiani sarebbe bene andasse oltre i principi della tradizione e quindi prendesse in considerazione figure organizzative meno espressione dei principi neoliberisti oggi in crisi. Che senso ha strutturare delle “autorità” per piccoli porti dirette dal centro (una contraddizione in termini un’autorità che non sia indipendente) tanto più in un sistema nazionale connotato da aiuti di Stato, regole, diritti esclusivi, servizi di interesse economico generale e alleanze con imprese, in evidente conflitto con le regole europee?
Forse ha senso dare luogo a tre-quattro porti affidati ad altrettante società pubbliche che rispondono alle scelte strategiche del governo azionista affidando ai terminalisti veri e propri obblighi di servizio pubblico. Una riforma, però, dovrebbe andare oltre i porti e riguardare le politiche internazionali marittime: costruendo, ad esempio, un organo centrale ( piuttosto che una società un’Agenzia o direttamente il ministero) che presidi in ambito internazionale le politiche marittime, che segua le trattative sul futuro Wto, che attui la convenzione di Montego Bay, che negozi le alleanze internazionali con i traffici tenendo conto dell’interesse nazionale, che stabilisca le infrastrutture necessarie nel contesto delle medesime alleanze.
Questi sono alcuni temi generali, che partono dalla crisi del diritto internazionale dell’economia e conseguentemente dell’ordinamento europeo (del quale vengono meno le fondamenta), che l’Italia, se possibile d’intesa con gli altri paesi rivieraschi, deve affrontare.
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