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Architettura Zero Trust per ambienti industriali moderni


L’industria 4.0 ha portato in fabbrica connettività estesa e integrazione IT-OT: sensori IIoT, macchinari smart e sistemi embedded scambiano dati in tempo reale con reti aziendali e cloud. Questo rende gli impianti produttivi “smart” più efficienti e flessibili, ma anche esposti a minacce cyber sempre più sofisticate. Basti pensare: un malware che superi il firewall di stabilimento potrebbe propagarsi liberamente all’interno di una rete OT (Operational Technology) piatta, compromettendo sensori, PLC e sistemi di controllo critici. In un ambiente industriale moderno, è ancora prudente fidarsi ciecamente di tutto ciò che sta all’interno del perimetro di rete? Probabilmente no.

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 La sfida della sicurezza industriale moderna

In passato, molti impianti industriali facevano affidamento su air-gap o rigide separazioni tra rete di fabbrica e rete IT aziendale. Oggi queste barriere si sono assottigliate: manutenzione remota, telemetria IIoT verso il cloud e convergenza IT/OT significano che la rete di produzione non è più un’isola. Non sorprende che crescano attacchi informatici a sistemi industriali, dal ransomware che colpisce linee produttive, all’exploit di vulnerabilità in dispositivi IoT di fabbrica.

Per mitigare questi rischi serve un cambio di paradigma nella sicurezza industriale. Ed ecco emergere il modello Zero Trust, un approccio che presuppone la violazione e “non si fida mai, verifica sempre”. Ma cosa comporta esattamente l’adozione di Zero Trust in una fabbrica intelligente, e in cosa differisce dalle vecchie strategie? Scopriamolo passo passo.

I principi fondamentali del modello Zero Trust

Il modello Zero Trust si basa su alcuni principi cardine che ne guidano l’implementazione. A livello concettuale, è bene specificare che Zero Trust non è un prodotto ma un insieme di idee e best practice di cybersicurezza.
Ecco i principi fondamentali spiegati in modo chiaro:

  1. Mai fidarsi. Verificare sempre. Ogni richiesta di accesso o comunicazione deve essere autenticata e autorizzata esplicitamente, indipendentemente da dove proviene (interna o esterna alla rete). Non esistono più “zone fidate” di rete. Invece, ogni segmento è potenzialmente ostile e richiede verifica continua. In pratica, un sensore o un computer all’interno della fabbrica non ottiene accesso privilegiato solo perché “è nella rete OT”. Invece, dovrà provare la propria identità e autorizzazione per ogni operazione che viene richiesta.
  2. Privilegio minimo. Utenti, applicazioni e dispositivi ottengono solo i privilegi strettamente necessari al loro ruolo o funzione. Questo principio limita l’accesso alle risorse in base al need-to-know e need-to-use, riducendo l’impatto potenziale di eventuali compromissioni. Ad esempio, se un terminale HMI deve solo visualizzare dati da un PLC, con Zero Trust non avrà credenziali di amministrazione sul PLC stesso. Ogni entità opera con il minimo livello di accesso necessario.
  3. Microsegmentazione della rete: la rete viene suddivisa in zone molto granulari, fino all’unità del singolo dispositivo o processo. Mentre la segmentazione tradizionale separava macro-zone (ad es. IT vs OT, o aree di stabilimento) con firewall, la microsegmentazione crea barriere interne che limitano il movimento “laterale” delle minacce all’interno della rete. Questo significa che anche all’interno di una stessa cella produttiva, i diversi componenti comunicano soltanto attraverso dei canali strettamente controllati e filtrati.
  4. Autenticazione continua e contestuale: Zero Trust richiede verifiche dinamiche delle identità e dello stato di sicurezza per ogni interazione. Non basta autenticarsi una volta al mattino: ogni accesso a una risorsa critica viene rivalutato tenendo conto del contesto (identità, posizione, ora, integrità del dispositivo, comportamento anomalo, etc.).
  5. Presunzione di compromissione (assume breach): nel modello Zero Trust si opera come se la rete fosse già violata. Invece di chiedersi “se” un attaccante entrerà, si assume che potrebbe già essere dentro; di conseguenza, l’architettura deve minimizzare l’impatto di un intruso interno. Qui l’obiettivo è quello di rendere difficile per un attaccante muoversi e ottenere privilegi elevati, anche qualora riuscisse a entrare in una parte della rete.
  6. Monitoraggio e risposta continua: un ambiente Zero Trust si caratterizza per visibilità totale e reattività. Log dettagliati di autenticazioni, accessi e flussi di rete vengono raccolti e analizzati costantemente (spesso con AI o regole comportamentali) per individuare anomalie o tentativi di violazione. In caso di evento sospetto, il sistema reagisce rapidament minimizzando i danni.

Questi principi lavorano in sinergia per ridurre drasticamente la superficie d’attacco e contenere le minacce. Zero Trust, in sintesi, sposta la logica di sicurezza dal mero perimetro all’intero ecosistema.

Ma come si traduce tutto ciò quando passiamo dal mondo IT tradizionale a quello OT delle fabbriche e infrastrutture industriali? Per capirlo, vediamo prima le differenze con l’approccio di sicurezza perimetrale classico.

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Dal perimetro tradizionale al modello Zero Trust

Il modello di sicurezza tradizionale nelle aziende (incluso l’ambito industriale) si può riassumere nella metafora del “castello e fossato”: costruire un forte perimetro esterno (firewall, DMZ, controlli agli accessi fisici) per tenere fuori i malintenzionati, mentre all’interno della rete aziendale si tendeva a fidarsi dei dispositivi e utenti autenticati.

In un impianto industriale tipico, questo approccio significava spesso isolare la rete di controllo (ICS/SCADA) dietro firewall e gateway, con poche vie di ingresso dall’esterno e un’ampia libertà di comunicazione interna tra sistemi di automazione. Chi superava il “fossato” perimetrale poteva muoversi quasi indisturbato all’interno.

Approccio Perimetrale Approccio Zero Trust
Filosofia di fiducia Concetto di una rete interna fidata e una esterna non fidata (“trust but verify” al confine). Elimina la fiducia implicita ovunque: interno ed esterno sono trattati allo stesso modo, ogni richiesta deve essere verificata (“never trust, always verify”).
Granularità del controllo Implementa pochi punti di controllo (es. firewall all’ingresso della fabbrica). Moltiplica i punti di verifica all’interno: tramite microsegmentazione e policy granulari, si controlla il traffico est-ovest all’interno della rete oltre a quello nord-sud verso l’esterno. Si passa da segmentazioni grossolane (tutta la rete OT dietro un firewall unico) a segmentazioni fini (ogni cella produttiva o dispositivo critico ha barriere dedicate).  
Accesso e autenticazione Un dispositivo/utente una volta autenticato sulla rete interna ottiene generalmente accesso illimitato alle risorse interne consentite dal suo profilo di rete. Ogni accesso a risorse specifiche richiede un’autenticazione e autorizzazione contestuale aggiuntiva.
L’accesso diventa “per sessione” o per singola risorsa, non permanente.
Reazione alle minacce Spesso il focus è sul prevenire intrusioni dall’esterno, con meccanismi di risposta agli incidenti attivati solo dopo che si scopre una violazione interna (a volte tardi). Assume la violazione come punto di partenza: monitora attivamente comportamenti anomali interni e isola immediatamente le componenti compromesse.
Tabella 1: Differenze chiave tra approccio perimetrale e approccio Zero Trust.

Nel contesto OT, queste differenze significano che con Zero Trust si segmenta la fabbrica al suo interno e si controllano rigorosamente anche gli accessi tra macchine, sensori e controller.

Nel prossimo paragrafo esamineremo come Zero Trust si integra nel mondo OT, tra opportunità e ostacoli, e vedremo esempi concreti.

Zero Trust e sicurezza OT: impatto e differenze

Implementare Zero Trust in un ambiente OT (Operational Technology) non è banale, ma i benefici sono enormi. Innanzitutto, è importante riconoscere che molte reti industriali esistenti presentano architetture legacy pensate con presupposti diversi: protocolli OT tradizionali (es. Modbus, PROFINET, EtherCAT) spesso non includono autenticazione o cifratura, dando per scontato che girino su reti “fidate” e isolate. Inoltre, i dispositivi embedded industriali possono avere risorse limitate e cicli di vita lunghissimi (10-20 anni), il che rende difficile aggiornarli con funzionalità di sicurezza moderne. Come conciliare dunque i principi Zero Trust con queste realtà?

Riconoscere le analogie

Un primo passo è riconoscere le analogie. Il mondo OT da tempo adotta concetti di difesa in profondità e segmentazione a zone. Lo standard IEC 62443, ad esempio, promuove la suddivisione dell’impianto in zone di sicurezza e “conduit” (canali controllati di comunicazione) per limitare l’impatto di intrusioni. In altri termini, l’IEC 62443 fornisce raccomandazioni solide su cosa implementare per mettere in sicurezza un sistema di controllo industriale, mentre Zero Trust aggiunge enfasi su come operare: mai fidarsi di alcuna comunicazione senza verificarla e minimizzare continuamente i privilegi concessi.

Schema esemplificativo di architettura OT suddivisa in zone di sicurezza collegate da conduits. Zone con requisiti simili (es. controllori PLC, HMI, server di automazione) sono isolate mediante firewall o switch gestiti.
Schema esemplificativo di architettura OT suddivisa in zone di sicurezza collegate da conduits. Zone con requisiti simili (es. controllori PLC, HMI, server di automazione) sono isolate mediante firewall o switch gestiti.

Tuttavia, ci sono differenze culturali e operative da superare. I team IT hanno abbracciato Zero Trust più rapidamente, mentre gli operatori OT spesso lavorano con un principio pregresso di fiducia implicita nelle reti di controllo. Integrare Zero Trust in OT, richiede quindi formazione e cambio di mentalità: far capire agli operatori che aumentare i controlli non serve a “complicare le cose”, ma a proteggere la continuità operativa.

Un esempio concreto: molte reti industriali oggi sono flat (piatte) all’interno, con tutti i dispositivi connessi a uno stesso switch dietro un firewall di stabilimento. Ciò significa che un attacco a un PLC in una linea A può propagarsi a una linea B e C senza grossi ostacoli, causando impatti a catena su più processi. Zero Trust affronta questo problema segmentando ulteriormente la rete.

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Naturalmente, implementare questa microsegmentazione nell’OT non è privo di costi e complessità. Quindi, la chiave è trovare un equilibrio e strumenti adatti all’OT

Esempio di segmentazione avanzata di una rete ICS tramite appliance di sicurezza dedicati (indicati in figura in ciascuna area di processo), senza necessità di modificare gli indirizzi IP esistenti. In questo schema, ogni processo industriale (A, B, C) viene protetto singolarmente: solo il traffico esplicitamente autorizzato tra l’HMI locale e i dispositivi del processo è consentito, mentre ogni altra comunicazione è bloccata. Un firewall generale resta a protezione del perimetro di stabilimento, ma internamente più livelli di dispositivi di sicurezza limitano i movimenti laterali e gli accessi non autorizzati. In pratica la rete ICS viene “blindata” logicamente: ogni cosa è consentita solo se esplicitamente approvata, e anche l’accesso remoto di terze parti (es. fornitori per manutenzione) può essere confinato al solo sotto-sistema necessario e solo per la durata strettamente necessaria.

 Gestione identità e credenziali

Un altro aspetto fondamentale nell’applicare Zero Trust in OT è la gestione delle identità e delle credenziali, in ambienti dove spesso non esisteva un concetto di “utente” per ogni dispositivo (PLC, sensore, workstation, etc…).

Tecnologie come certificati digitali, chiavi crittografiche, TPM (Trusted Platform Module) possono essere utilizzate per dotare anche dispositivi embedded di un’identità sicura a livello hardware. Ad esempio, si può implementare un sistema in cui un sensore IIoT si autentica tramite certificato al gateway industriale prima di inviare i dati; il gateway verifica l’attestato di identità e lo stato del firmware del sensore (magari tramite remote attestation) e solo allora accetta i dati e li inoltra al sistema centrale. Così facendo, un eventuale sensore manomesso (o contraffatto) non verrà riconosciuto come valido e le sue comunicazioni verranno rigettate.

 Monitoraggio OT

Infine, Zero Trust in ambienti industriali richiede di potenziare il monitoraggio OT, indispensabile con l’aumento delle minacce. Oggi si introducono sistemi di OT security monitoring che funzionano in modo continuo, analoghi ai SOC (Security Operations Center) IT. Questi sistemi raccolgono telemetria dalle reti OT e sfruttano anche l’analisi comportamentale per rilevare anomalie (es. un PLC che invia comandi insoliti, un aumento di traffico su una porta non standard, etc.). Ciò si sposa con l’approccio Zero Trust che prioritizza il monitoraggio continuo e la capacità di rapida risposta.

Allineamento con standard e normative

Un aspetto da considerare è come Zero Trust si integri con gli standard e le normative vigenti in materia di sicurezza informatica industriale. Molte organizzazioni, soprattutto in settori critici, devono rispettare framework specifici (es. IEC 62443 per l’OT, oppure standard nazionali) e normative di legge (come il regolamento europeo NIS2 sulla cybersecurity delle infrastrutture critiche). Adottare Zero Trust può aiutarle non solo a migliorare la sicurezza, ma anche a soddisfare requisiti normativi sempre più orientati verso approcci proattivi.

Dal lato degli standard industriali, la serie IEC 62443 (sviluppata da ISA/IEC) rimane il riferimento centrale per la sicurezza OT. Come accennato, sebbene IEC 62443 non menzioni esplicitamente la parola “Zero Trust” (il concetto è emerso dopo la stesura di molti dei suoi documenti), abbracciarne le raccomandazioni facilita enormemente l’adozione di un approccio Zero Trust.

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Sul piano normativo, in Europa il Direttivo NIS2 e il nascente Cyber Resilience Act stanno spingendo le organizzazioni industriali ad adottare misure più stringenti di cybersecurity, e riferimenti al modello Zero Trust iniziano ad apparire in documenti strategici. Ad esempio, NIS2 richiede un approccio di sicurezza “basato sul rischio” e misure di protezione per accessi remoti e gestione delle identità. Non sarà sorprendente vedere, nei prossimi anni, linee guida europee che incoraggiano esplicitamente architetture Zero Trust almeno per le infrastrutture più critiche. Nel frattempo, standard internazionali come la ISO/IEC 27001 (sistemi di gestione della sicurezza delle informazioni) già possono includere controlli affini al Zero Trust, se un’azienda li adotta nelle sue politiche interne.

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Strategie di adozione di Zero Trust negli ambienti industriali

Passare a un’architettura Zero Trust in un ambiente industriale è un percorso articolato che va pianificato con cura. Non si può fare dall’oggi al domani, né esiste un unico prodotto da installare per “avere Zero Trust”. Si tratta piuttosto di implementare una combinazione di tecnologie, policy e processi. Di seguito, presentiamo alcune strategie e considerazioni pratiche per adottare gradualmente il modello Zero Trust in contesti OT.

  1. Mappatura di asset e flussi di rete: Il primo passo è ottenere visibilità completa su cosa c’è in campo. Quindi, inventario di tutti i dispositivi OT (PLC e SCADA, sensori, workstation tecniche, etc.) e le applicazioni, e identificazione dei flussi di comunicazione esistenti tra di essi. Questo asset inventory e traffic mapping sarà la base per definire segmenti e policy Zero Trust sensate.
  2. Identificazione e autenticazione robusta per utenti e dispositivi: Valuta lo stato attuale di gestione identità in OT. Se al momento molti dispositivi condividono account di default o non hanno meccanismi di autenticazione, occorre pianificare miglioramenti. Introduci account univoci per ogni operatore OT (niente più utenti generici tipo “Admin” condivisi), integra l’autenticazione multi-fattore per gli accessi più critici (es. VPN, jump server, HMI), e soprattutto implementa un sistema di gestione credenziali/certificati per dispositivi.
  3. Segmentazione della rete in zone di sicurezza: Sfrutta le informazioni raccolte per definire delle “zone” o segmenti logici che isolino gruppi omogenei di dispositivi. Ad esempio, separa la rete di supervisione (livello SCADA/HMI) dalla rete di controllo di campo (PLC e I/O); oppure isola ogni cella di produzione critica in una VLAN dedicata. Dove possibile, implementa firewall interni o appliance di microsegmentazione per filtrare il traffico tra queste zone.
  4. Definizione di policy di accesso granulari (Least Privilege): Per ogni zona definita, stabilisci chi (o cosa) può parlare con chi, e con quali modalità. Questo implica creare regole del tipo: “L’HMI X può inviare comandi Modbus al PLC Y sulla porta 502, ma nient’altro”. Documenta queste policy e, se possibile, implementale in modo enforced tramite firewall, sistemi di intrusion prevention o whitelist su dispositivi.
  5. Implementazione di tecnologie abilitanti Zero Trust: Esistono varie soluzioni che possono facilitare l’adozione di Zero Trust in OT. Alcuni esempi: gateway di sicurezza industriale (come quelli descritti prima) che fanno da intermediari controllati nelle comunicazioni, piattaforme di Software Defined Perimeter (SDP) che creano canali di accesso sicuri on-demand per utenti remoti (nascondendo completamente l’infrastruttura OT dietro di essi), sistemi NAC specializzati per identificare dispositivi OT e applicare politiche di rete dinamiche. Anche le tradizionali VPN possono essere sostituite o integrate con soluzioni ZTNA (Zero Trust Network Access) più flessibili e granulari.
  6. Approccio incrementale e continuo miglioramento: Infine, abbraccia il fatto che adottare Zero Trust è un percorso continuo. È utile partire dai segmenti più critici o vulnerabili (ad es. quelli esposti a fornitori esterni o con maggiore impatto in caso di incidente) e implementare lì i controlli Zero Trust. Misura i risultati (riduzione di incidenti, audit di sicurezza migliorati, maggiore visibilità). Successivamente, estendi le pratiche ad altre parti dell’impianto. Ricorda: Zero Trust non ha un traguardo finale statico, perché anche le minacce evolvono.

Seguendo queste strategie, l’adozione di Zero Trust in ambito industriale diventa più gestibile. Spesso, un progetto Zero Trust OT riesce meglio se è trasversale: coinvolge IT, OT, produzione e anche la sicurezza delle informazioni, così che tutti gli stakeholder comprendano obiettivi e restrizioni.

Conclusioni

L’architettura Zero Trust rappresenta un cambiamento radicale ma necessario per la cybersecurity industriale nell’era moderna. Abbiamo visto come i suoi principi, dalla verifica costante all’isolamento granulare, possano essere applicati a sistemi embedded, reti IIoT, impianti di automazione e fabbriche smart, rafforzando la postura di sicurezza senza impedire l’innovazione tecnologica. Certo, implementare Zero Trust richiede investimenti, pianificazione e uno sforzo culturale: significa ripensare prassi consolidate, formare il personale e adottare nuove tecnologie. Ma di fronte alle minacce crescenti (ransomware, sabotaggi, furto di proprietà intellettuale, etc..) che insidiano gli ambienti OT, continuare con il solo vecchio approccio perimetrale non è più sostenibile. Zero Trust offre un modello più resiliente, in cui si presume l’attacco e ci si attrezza per contenerlo prima che provochi danni seri.
La domanda da porsi non è più “Dovremmo adottare Zero Trust?”, ma piuttosto “Come e quando possiamo iniziare ad adottarlo con successo?”.

Ivan Scordato
progettista elettrico e appassionato di nuove tecnologie.
Scrive articoli di approfondimento tecnico e conosce anche tecniche SEO per la scrittura su web.



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