di Paolo Longobardi, Presidente di Unimpresa
La decisione della Banca centrale europea di mantenere i tassi invariati si colloca in un momento cruciale per l’economia del continente. La fase di rallentamento della crescita, le tensioni sui conti pubblici di alcuni Paesi e il progressivo allineamento delle politiche fiscali e monetarie in Europa rendono il messaggio di stabilità particolarmente rilevante. Per l’Italia, in particolare, l’indicazione che Francoforte non intende forzare ulteriori tagli rappresenta un segnale di cautela ma anche di equilibrio: una politica monetaria meno accomodante costringe i governi a intervenire sul lato strutturale, spingendo su produttività, investimenti e riforme. In questo quadro, la BCE non appare più come un attore chiamato a correggere gli squilibri con la leva dei tassi, bensì come garante di un percorso ordinato che richiede ora scelte politiche nazionali coraggiose.
La Banca centrale europea, dunque, ha confermato la linea della prudenza. I tassi restano fermi, con il tasso sui depositi al 2%, e il Consiglio direttivo ribadisce un approccio “data dependent”, con decisioni da prendere riunione per riunione. Una scelta che riflette un contesto di sostanziale stabilità: le nuove proiezioni macroeconomiche, riviste solo marginalmente rispetto a giugno, delineano un 2026 leggermente più debole sul fronte della crescita, ma non tale da alterare il quadro complessivo.
Il bilancio dei rischi appare ora più equilibrato. Se nei mesi scorsi i timori erano concentrati su una frenata più marcata, oggi la BCE segnala che lo scenario si è normalizzato, con una trasmissione della politica monetaria ancora in corso. La presidente Christine Lagarde ha insistito su questo punto, ricordando che le misure già adottate non hanno ancora esaurito i loro effetti: la politica monetaria, infatti, agisce con ritardi di dodici-diciotto mesi e il pieno impatto dei tagli decisi nel biennio 2024-2025 si manifesterà soltanto nel corso del 2026, soprattutto sulla domanda interna e sul costo del credito per famiglie e imprese.
Sul fronte macroeconomico, la revisione al ribasso delle stime di crescita per il 2026 – nell’ordine di uno o due decimi di punto rispetto a giugno – riflette il rallentamento degli investimenti privati e una domanda estera meno dinamica. Tuttavia, il contributo della spesa pubblica e, in particolare, dei fondi europei resta determinante per garantire un ritmo di espansione sufficiente a scongiurare rischi recessivi.
Quanto all’inflazione, la proiezione inferiore al 2% nel biennio 2026-2027, con un 1,8% nel 2026 e un 1,9% nel 2027, non viene considerata un segnale strutturale ma l’effetto transitorio di dinamiche energetiche e alimentari. Non si tratta quindi di un rischio deflattivo. Solo un ritorno più marcato e persistente verso livelli vicini all’1,5% riaprirebbe una discussione interna sull’opportunità di rilanciare l’allentamento monetario.
I mercati hanno recepito con chiarezza il messaggio: le attese di un taglio di 25 punti base entro l’estate 2026 si sono ridotte e restano poco al di sotto del 50%. La curva dei future ESTR, che solo poche settimane fa prezzava probabilità superiori al 60%, segnala ora una maggiore convinzione sulla stabilità della politica monetaria.
In questo contesto, la scelta della BCE di mantenere i tassi stabili viene letta anche come una misura di salvaguardia della stabilità finanziaria. Un ritmo troppo rapido di allentamento rischierebbe di alimentare nuove tensioni sul debito sovrano europeo, con effetti immediati sullo spread tra i titoli periferici e il Bund tedesco. Il differenziale BTP-Bund, in particolare, resta estremamente sensibile alle percezioni del mercato circa il futuro orientamento della politica monetaria, ed è anche per questa ragione che Francoforte non intende alimentare aspettative premature.
Il quadro che emerge è dunque quello di una lunga fase di tassi stabili intorno al 2%, destinata a proseguire almeno fino a quando non si manifesteranno sorprese significative e negative sul fronte dei dati reali. La politica monetaria europea entra così in una fase di attesa, in cui la priorità è garantire la piena trasmissione delle misure già adottate, evitando di compromettere la fragile stabilità che i mercati stanno lentamente riconoscendo.
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