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Adolfo Urso. “Il Made in Italy sta reggendo l’urto dei dazi, il pericolo può arrivare dalla Cina”


“È presto per dire come va la guerra dei dazi, ma per ora il Made in Italy ha retto l’urto: ha una forza straordinaria. Il vero pericolo può arrivare dalla sovra produzione cinese che si riverserà sul mercato europeo”. Adolfo Urso traccia un primo bilancio a cinquanta giorni dall’entrata in vigore dei dazi americani al 15%. Il ministro al Made in Italy e alle Imprese chiede all’Ue di proseguire “le trattative sulle esenzioni, per ottenere progressi anche per i prodotti che contengono elementi di acciaio e alluminio, per i quali la confusione su quale tariffe praticare scoraggia l’esportazione”. L’obiettivo: “Un’interpretazione restrittiva dei dazi settoriali, da non estendere ai prodotti derivati”. Ma partiamo dal primo bilancio.

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Ministro, da un mese e mezzo sono entrati in vigore i dazi di Trump. Quanto male hanno fatto al Made in Italy?

Al momento i dati sull’export verso gli Usa sono positivi, ma ovviamente è presto per dare un giudizio sulla capacità di resilienza delle nostre imprese, perché in alcuni casi, come nella farmaceutica, penso si tratti di un aumento dovuto proprio alla minaccia dei dazi che ha portato le imprese ad anticipare l’export per evitare di pagare di più alle dogane. Aspettiamo cosa accadrà in questo trimestre prima di trarre un bilancio.

E come mai la stretta americana per ora non avrebbe scoraggiato i nostri prodotti? Si temevano e si temono forti ripercussioni…

In alcuni casi, come detto, le imprese hanno scelto di anticipare le spedizioni e mettere in magazzino i prodotti. In altri, si può ritenere che molti prodotti italiani, in particolare quelli agroalimentari, abbiano un posizionamento di mercato difficilmente sostituibile e che i consumatori non intendano rinunciarvi. La forza del Made in Italy è straordinaria e anche questa situazione lo dimostra.

C’è ancora margine per trattare sull’esenzione di alcuni settori, come quello del vino e di altri prodotti alimentari? Ci sono progressi in materia di acciaio?

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Le trattative sulle esenzioni proseguono, e un risultato importante è già stato ottenuto nel settore automotive, in particolare per la componentistica. Ci auguriamo che progressi possano arrivare anche per i prodotti che contengono elementi di acciaio e alluminio, per i quali la confusione su quali tariffe praticare scoraggia l’esportazione. Serve certezza per le imprese: puntiamo a un’interpretazione restrittiva dei dazi settoriali, da non estendere ai prodotti derivati e a un sistema di quote più equilibrato, come già avviene tra Usa e Regno Unito. Questo peraltro a tutela di un comparto che deve fronteggiare un eccesso di capacità produttiva globale senza precedenti. In questo senso, è incoraggiante l’impegno del commissario Sefcovic a presentare, nella prima metà di ottobre, una misura commerciale capace di tutelare la capacità produttiva e gli investimenti dell’Unione europea: la siderurgia è un settore strategico per l’autonomia geoeconomica dell’Europa.

Ci saranno compensazioni per i settori in difficoltà?

È necessario prima attendere le conclusioni delle trattative con gli altri attori per capire quali settori risulteranno effettivamente colpiti. Per esempio, le nostre calzature hanno subito un dazio del 15 per cento, che non influisce in modo significativo sull’alta gamma, mentre le calzature cinesi e vietnamite, nostre concorrenti sui prodotti di massa, hanno subito un dazio ben superiore. Insomma paradossalmente potremmo avvantaggiarci. Dipende da quale sia lo svantaggio competitivo rispetto ai nostri concorrenti sul mercato Usa. Solo al termine di queste trattative sarà possibile individuare quali siano i settori penalizzati e intervenire in maniera mirata innanzitutto con misure europee.

La premier Meloni a luglio ha annunciato un piano da 25 miliardi per aiutare le imprese esportatrici attingendo dai fondi del Pnrr e di Coesione. Verrà attuato?

In ogni caso, a prescindere dalle conseguenze sull’export verso gli Stati Uniti – che, come abbiamo riscontrato, non ha ancora subito effetti rilevanti – stiamo sostenendo le nostre imprese con piani promozionali mirati ai nuovi mercati in crescita, così da cogliere per primi le opportunità emergenti. Parallelamente, abbiamo sollecitato la Commissione a finalizzare alcuni accordi di libero scambio, come quelli recentemente conclusi con Mercosur e Messico. Mi riferisco in particolare ai Paesi del Golfo, all’India, a Indonesia, Malesia, Filippine e ad altri Paesi del Sud-Est asiatico, così come ad alcune economie africane emergenti.

L’aumento dei dazi americani contro la Cina sta avendo riflessi sui mercati europei?

Questo è il vero fronte da presidiare. I dazi degli Usa non freneranno il Made in Italy negli States ma potrebbero ingenerare ben più gravi effetti indiretti sul mercato europeo verso il quale si dirigerebbe la sovrapproduzione asiatica che non riuscisse più a penetrare il mercato americano. Abbiamo chiesto alla Commissione di predisporre misure efficaci di salvaguardia secondo le norme del WTO e anche di rivedere alcune normative come il CBAM che appare inefficace a fermare l’ondata di prodotti asiatici sul mercato interno. Confidiamo che i colloqui tra Cina e Usa possano evolversi verso un dialogo costruttivo come sembra dimostrare l’ultima telefonata tra il presidente Xi Jinping e Trump.

Lei ha detto che le regole del New Green Deal sono una sorta di “dazio” interno. Perché? E come dovrebbero cambiare?

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Rappresentano il vero dazio interno perché non tengono in alcun conto l’impatto sulle imprese. Lo dimostra il settore automotive, ormai al collasso, con la chiusura di interi stabilimenti in Europa e il licenziamento di decine di migliaia di lavoratori. È necessario coniugare con pragmatismo e flessibilità la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale; in caso contrario, l’industria europea rischia di trasformarsi in un museo a cielo aperto.

Sembra essere di fronte a una scelta comunque perdente: rinunciare alla lotta contro il riscaldamento climatico per non far morire il settore dell’automotive…

Nessuna rinuncia all’obiettivo climatico, che condividiamo, ma è necessario cambiare subito strategia, per evitare di limitarci a guidare soltanto auto cinesi, acquistate grazie ai sussidi della cassa integrazione.

Trump, per sostenerla contro Mosca, ha chiesto all’Europa di colpire il gas russo e di mettere i dazi alla Cina. Cederete a questo ricatto? Sarà alzata una barriera contro i prodotti cinesi?

Ove fossero accertate condizioni di dumping o concorrenza sleale. Nessuna preclusione di principio verso un grande attore globale come la Cina che resta per noi un mercato a cui non possiamo rinunciare. Peraltro, anche il presidente Trump ne ha preso atto, sviluppando una serie di accordi con Pechino, a cominciare dalle materie prime critiche. Diverso è il caso della Russia che ha scatenato una guerra sanguinosa in Europa, diretta minaccia al nostro Continente. Le sanzioni sono necessarie, uno degli strumenti per convincere Mosca a fermare l’invasione.

Draghi ha detto che l’Europa deve togliere le barriere interne. Condivide?

Ha parlato di “inazione europea”. Condivido. È ora di passare dalle parole ai fatti, dalle discussioni alle decisioni. Dal confronto sulle strategie ad una azione strategica. Non si può più aspettare. Basta con la Torre di Babele di Bruxelles.

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