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Aziende in corsa verso la CO2 zero con acquisti, energia e digitale


Le imprese si trovano di fronte a una sfida che non ammette rinvii: raggiungere la neutralità climatica trasformando processi, energia e comunicazione. Alla vigilia della Giornata mondiale delle Emissioni Zero, la voce di chi produce, innova e consuma energia in Italia traccia la rotta di un cambiamento che deve iniziare subito.

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Un impegno che inizia dagli acquisti

La sostenibilità non passa più soltanto dalle scelte strategiche di lungo periodo, ma dal gesto quotidiano di chi acquista materie prime, servizi e tecnologie. Daniele Civini, responsabile vendite di Jaggaer Italia, sottolinea come il procurement sia divenuto il diretto “regista” della decarbonizzazione aziendale: ogni ordine può ridurre o, al contrario, amplificare l’impronta di carbonio. Grazie a piattaforme digitali avanzate, l’ufficio acquisti ha oggi la possibilità di incrociare dati su costi, emissioni e performance dei fornitori, ottimizzando la catena logistica e tagliando inefficienze che finora apparivano inevitabili.

Non si tratta solo di chiedere preventivi più convenienti, ma di incorporare criteri ambientali misurabili in ogni capitolato. Secondo Civini, la tecnologia consente di parametrare consumi energetici, chilometri percorsi dagli automezzi, packaging e smaltimento, traducendo il linguaggio della sostenibilità in numeri facilmente leggibili dal management. L’impresa che allinea i propri acquisti a obiettivi climatici scopre inoltre di poter migliorare la reputazione con clienti e investitori, evitando al contempo i rischi di futuri irrigidimenti normativi. L’effetto combinato è duplice: contenimento delle spese operative e contributo tangibile alla neutralità climatica.

Trasparenza lungo tutta la catena

Se l’azienda capofila alza l’asticella, tutta la filiera deve tenerle il passo. Azzurra Gullotta, sales manager di Achilles per l’Italia e la Spagna, rammenta che la sfida vera è la cosiddetta “long tail”, vale a dire quella costellazione di piccoli e micro fornitori spesso privi di risorse dedicate al climate reporting. Coinvolgerli fin dall’inizio, offrendo strumenti di monitoraggio condivisi e assistenza specialistica, è la sola strada per assicurare coerenza e credibilità alle promesse di riduzione delle emissioni. Un ecosistema aperto alla trasparenza permette inoltre di individuare rapidamente criticità diffuse che, isolate, risulterebbero invisibili.

Molte piccole realtà dimostrano entusiasmo nel ridurre la propria impronta, ma senza una guida restano impantanate tra fogli di calcolo e normative complesse. Per questo Gullotta sostiene l’adozione di piani d’azione modulari, aggiornati periodicamente, capaci di adattarsi alla maturità di ciascun fornitore. Gli audit digitali condivisi con la capofila abbattono i tempi di rendicontazione e creano un flusso di dati in tempo reale, utile anche alle decisioni di business. Alla fine, la trasparenza non è un obbligo calato dall’alto: diventa il collante di una rete che compete sul mercato grazie a performance ambientali verificate.

Energia rinnovabile e comunità locali

Il secondo pilastro è la produzione di energia da fonti pulite. Moreno Scarchini, amministratore di EnergRed, ricorda che la sesta ondata di innovazione ruota proprio attorno all’accesso a elettricità rinnovabile, diffusa e affidabile. L’obiettivo non è più limitarsi a comprare certificati verdi, ma costruire infrastrutture distribuite che alimentino stabilimenti, uffici e quartieri in modalità autoconsumo. Progetti come i Seu – sistemi efficienti di utenza – riducono il fabbisogno dalla rete nazionale, mentre le Cer trasformano l’energia in un bene condiviso, incrementando coesione sociale oltre che sostenibilità ambientale.

Microcredito

per le aziende

 

La sfida, spiega Scarchini, riguarda soprattutto la rapidità di implementazione. Oggi le tecnologie sono mature e i costi in calo; ciò che serve è un’accelerazione normativa e un sostegno finanziario che renda competitive anche le imprese medio-piccole. Ogni chilowatt installato sul tetto di un capannone o di un condominio alleggerisce immediatamente la bolletta, attenua la dipendenza dalle fonti fossili e libera risorse da reinvestire in innovazione. In un contesto globale di volatilità dei prezzi dell’energia, passare a rinnovabili distribuite rappresenta non solo un atto ambientale, ma un’assicurazione economica sul futuro.

Compensazione sul territorio

Nessuna transizione, tuttavia, può azzerare all’istante tutti i gas climalteranti. Quando la riduzione incontra limiti tecnici o temporali, entra in gioco la compensazione locale. Mauro Lajo, consigliere di Cisambiente e alla guida di Forever Bambù, descrive gli impianti di bambù gigante avviati in diverse regioni italiane: colture capaci di catturare grandi quantità di CO2 e di generare crediti certificati. Il meccanismo è semplice: le aziende investono in questi progetti, ottengono titoli di carbonio spendibili nei propri bilanci di sostenibilità e, al tempo stesso, sostengono l’economia rurale.

A differenza di programmi di offsetting in aree lontane, la piantagione locale crea un legame diretto tra impresa e comunità. I terreni abbandonati vengono recuperati, si generano posti di lavoro e la biodiversità ne beneficia. La compensazione diventa così un gesto tangibile e visibile, che rafforza la credibilità delle strategie ESG. Lajo sottolinea che i crediti sono tracciati e verificati da enti terzi, perciò ogni tonnellata di CO2 sequestrata è contabilizzata con rigore. Il risultato è un percorso misurabile e replicabile, complementare agli sforzi di riduzione in fabbrica e negli uffici.

Il contributo del digitale

I componenti invisibili di un sito web o di una campagna pubblicitaria possono pesare sull’ambiente quasi quanto un viaggio in aereo. Nel panorama della comunicazione online, la misurazione delle emissioni si sta affermando come nuovo parametro di qualità. Secondo analisi recenti, la pubblicità digitale ha già oltrepassato il traffico aereo globale in termini di anidride carbonica generata: un dato che impone di ripensare creatività, pianificazione e infrastrutture con cui vengono veicolati i messaggi. Ogni click e ogni secondo di scroll contribuiscono alla bolletta energetica dei data center.

Elisa Lupo, country manager di Integral Ad Science per Italia, Spagna e Portogallo, osserva che brand e agenzie stanno inserendo l’impatto carbonico a fianco di metriche consolidate quali viewability e brand safety. Grazie a strumenti di analisi in tempo reale, ogni banner o video può essere valutato in base al peso dei dati trasferiti, al consumo energetico dei server e alla durata delle interazioni. La trasparenza non è più opzionale: chi promette sostenibilità deve dimostrare coerenza anche nelle campagne di marketing, ottimizzando formati, frequenza e segmentazione per ridurre i grammi di CO2 per impressione.

Roadmap 2035 e mobilità

La riduzione passa inevitabilmente anche per il settore dei trasporti, responsabile di una quota rilevante di emissioni. Il traguardo europeo del 2035, che prevede la vendita esclusiva di veicoli a zero emissioni, viene considerato da Alberto Stecca, amministratore di Silla Industries, un pilastro non negoziabile. In assenza di certezze normative, le filiere industriali rischiano di rallentare investimenti in ricerca e produzione, con ricadute sulla competitività continentale. Regole stabili, invece, orientano capitali e talento verso soluzioni elettriche avanzate e infrastrutture di ricarica diffuse.

Stecca evidenzia che l’intero comparto, dai costruttori di componentistica agli operatori di rete, si dichiarano pronti ad accelerare se supportati da una strategia coerente. Gli incentivi devono accompagnare la domanda, mentre la standardizzazione delle tecnologie di ricarica faciliterà l’adozione di massa. La mobilità a zero emissioni non è un sogno lontano: può diventare il motore di una nuova stagione industriale, capace di generare posti di lavoro qualificati, abbattere le importazioni di combustibili fossili e restituire aria più pulita alle città europee.

Manifattura collaborativa

Ridurre l’impatto ambientale significa anche ripensare i rapporti tra aziende manifatturiere. Michela Pancaldi, amministratrice di Tecnocupole Pancaldi, racconta come le tecnologie dell’Industria 4.0 abbiano incrementato la capacità produttiva degli stabilimenti oltre il fabbisogno interno. Mettere a disposizione linee automatizzate ad altre imprese italiane consente di tagliare l’import di componenti lontani, riducendo al minimo viaggi e imballaggi. L’integrazione fra imprese diventa, in questo modo, un vantaggio competitivo che si traduce in minor CO2 e in una catena di fornitura più resiliente.

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La collaborazione orizzontale, spiega Pancaldi, non è semplice generosità: è la presa di coscienza che nessuno può affrontare la transizione da solo. Condividere know-how, macchinari e risorse umane permette di ridurre i tempi di sviluppo, aumentare la flessibilità e rendere l’intero sistema produttivo più agile di fronte a shock esterni. Quando l’innovazione circola senza barriere, l’Italia può valorizzare distretti industriali già forti di tradizione e creatività. Il risultato sono prodotti competitivi sul mercato globale, generati con un’impronta ecologica sensibilmente più bassa.



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