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un nuovo tassello nel futuro “ecosistema dati”. Quali opportunità per la PA?


Dal 12 settembre è applicabile il “Data Act”, il Regolamento (UE) 2023/2854, adottato il 13 dicembre 2023, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 22 dicembre 2023 ed entrato in vigore l’11 gennaio 2024. Si tratta di un pilastro della “European Data Strategy”. L’obiettivo del Regolamento è dare un forte impulso all’economia dei dati, aumentarne la disponibilità e incoraggiare l’innovazione che può nascere dalla loro condivisione e dal loro utilizzo.

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La premessa sta nel valore strategico dei dati, elemento con un potenziale di innovazione altissimo e ormai universalmente riconosciuto. Il Data Act mira proprio a “rimuovere gli ostacoli allo sviluppo dell’economia dei dati europea” e a creare una maggiore equità nella distribuzione del valore, con ricadute positive sull’economia dei diversi Paesi.

Sui contenuti del Data Act avevamo pubblicato un focus nel febbraio 2024, poco dopo l’entrata in vigore del Regolamento. Nell’articolo a cui rimandiamo, gli autori, Morena Ragone e Vincenzo Patruno, esaminano in dettaglio il contenuto del testo, soffermandosi sull’impatto che la nuova disciplina ha sull’accesso, condivisione, archiviazione ed elaborazione dei dati industriali, sulla generazione di valore per il sistema economico, i consumatori, i servizi pubblici e la società in generale. Certo è che, nel frattempo, il tema dei dati è diventato ancora più strategico, intrecciandosi con l’avvento e la diffusione massiccia dell’Intelligenza Artificiale e con le conseguenti azioni di regolamentazione in materia avviate in Europa e nei singoli Paesi, con tutte le riflessioni che questo comporta a livello sociale, economico, etico. I diversi tasselli – GDPR, AI Act – si affiancano per bilanciare diritti fondamentali, equità economica e innovazione tecnologica. Ed è di appena due giorni fa la notizia dell’approvazione in via definitiva da parte del Senato della legge italiana sull’IA, il primo documento legislativo organico nazionale in materia, in coordinamento con la regolamentazione europea. Torneremo a parlarne.

In questo contesto in evoluzione, il Data Act disciplina l’accesso, la condivisione e l’uso dei dati generati da prodotti connessi (IoT) e servizi digitali. Ormai siamo consapevoli che ogni nostra azione quotidiana genera quantità immense di dati, prodotti sia consapevolmente che, sempre più spesso, automaticamente. E che questi dati possono essere utilizzati anche per addestrare modelli di IA. Il Data Act lavora secondo un principio di equità: i dati “grezzi” prodotti e raccolti da diversi soggetti privati devono essere resi disponibili in formati interoperabili e chi ne ha interesse legittimo (utenti, imprese, enti pubblici). Il tutto senza abusi di posizione dominante. In pratica, il Data Act interviene sui dati, potremo dire sulla materia prima, il GDPR interviene in materia di privacy, mentre l’AI Act regola l’utilizzo di questi dati all’interno dei modelli di intelligenza artificiale.

Il Data Act vuole compiere un passo ulteriore nella creazione di un “ecosistema di dati”, per superare l’utilizzo confinato all’interno della singola organizzazione. La parola chiave è interoperabilità, la stessa che è al centro del processo avviato dalla nostra pubblica amministrazione affinché il dato prodotto da un ente pubblico possa diventare fruibile anche da un altro ente. Principio che trova la sua declinazione nell’ecosistema italiano dell’interoperabilità, formato in primis dalla Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND) del Dipartimento per la trasformazione digitale e dal Catalogo Nazionale Dati www.schema.gov.it, elemento chiave per armonizzare e valorizzare il potenziale dei dati pubblici italiani. Un’infrastruttura che consente agli enti di pubblicare modelli condivisi di dati e di riutilizzarli, abilitando così l’ecosistema interoperabilità per servizi più efficienti, decisioni più informate e una maggiore trasparenza per i cittadini. Ne abbiamo parlato ieri in occasione di un Digital Talk che abbiamo organizzato in collaborazione con Istat (a breve sarà disponibile la registrazione).

In quell’occasione Claudia Pollina, Service Designer del Dipartimento per la Trasformazione Digitale e Referente tecnico di schema.gov.it, ha commentato: “Il Catalogo Nazionale Dati schema.gov.it si inserisce in un sistema più grande, l’ecosistema interoperabilità, dove la PDND coordina e autorizza lo scambio di dati tra pubbliche amministrazioni. In questo modo, se una cittadina compila un modulo online, i dati possono essere recuperati e condivisi automaticamente tra gli enti che stanno gestendo il suo servizio, migliorando tempi e qualità dei servizi che riceve. Quando i dati sono standardizzati e parlano una lingua condivisa, si creano ambienti in cui le informazioni vengono scambiate e soprattutto interpretate in maniera corretta, riducendo errori, duplicazioni e ritardi. Il futuro dei servizi pubblici per cittadini e imprese lo immagino semplice e integrato, grazie a un ecosistema basato su dati interoperabili, per una PA proattiva”.

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Sempre in occasione di questo appuntamento, abbiamo incontrato Antonio Romano, Dirigente responsabile Area Gestione servizi infrastrutturali di AgID, e gli abbiamo chiestoche effetto avrà il Data Act sulle pubbliche amministrazioni e sul loro rapporto con il mondo privato.

Come detto, il Data Act non è una norma isolata, ma un tassello che si inserisce nella più ampia “European Data Strategy”, integrando in particolare il Data Governance Act (Regolamento (UE) 2022/868), divenuto applicabile dal 23 settembre 2023, che si concentra sui processi e sulle strutture per facilitare la disponibilità e la portabilità dei dati, promuovendo il riuso e la condivisione attraverso servizi di intermediazione, cooperative di dati e altruismo dei dati, e sostenendo la creazione di spazi comuni europei di dati. “Con la successione di Regolamenti europei e direttive in materia di gestione dei dati si sta definendo un modello chiaramente disegnato per promuovere il mercato unico del dato – sottolinea Romano –. Viene in pratica normato lo scambio di dati a tre attori: imprese, cittadini e pubblica amministrazione. Con il Data Act si va a costituire quel framework generale che permette l’implementazione e la declinazione operativa di questo modello concettuale. I benefici saranno inevitabili, perché si supera in maniera definitiva la visione a silos e si impone una visione del dato come bene comune, che può essere riutilizzato ma con le necessarie regole di utilizzo e di licenza. In questa visione, la PA può progettare servizi più efficienti, il cittadino accedere a un patrimonio informativo più trasparente e godere dei miglioramenti della digitalizzazione dei processi, le imprese possono potenziare l’attività di ricerca, possono nascere nuove start-up che offrono servizi costruiti grazie ai dati a disposizione. Si parte dal dato inteso come entità atomica, per poi andarlo via via ad arricchire di informazioni che lo portano a trasformarsi in dato ad alto valore aggiunto per i tre attori di cui parlavamo prima”.

In pratica, per la Pubblica Amministrazione il Data Act rappresenta una significativa opportunità per accelerare il percorso di trasformazione digitale e per potenziare la capacità di prendere decisioni “data driven”. La possibilità di accedere ai dati del settore privato in situazioni di emergenza o per compiti di interesse pubblico può migliorare l’efficienza dei servizi, la pianificazione strategica e la capacità di risposta a crisi improvvise. L’interoperabilità dei dati, un concetto chiave che il Regolamento intende rafforzare anche attraverso standard per gli “smart contract”, sarà fondamentale per connettere la PA a livello nazionale ed europeo.

Ma in Italia, siamo pronti a sfruttare le potenzialità che si stanno aprendo? “A livello europeo – prosegue Romano – l’Open Data Maturity Report ci posiziona nella fascia alta della graduatoria, con una particolare menzione per quanto riguarda la disponibilità di dati ad alto valore aggiunto. Il prossimo passo che dobbiamo fare è potenziare la capacità di riutilizzare al meglio i dati, non solo metterli in condivisione. Un dato, se arricchito di più metadati, può essere utilizzabile sia dalla pubblica amministrazione, che da cittadini e imprese e quindi avere impatti immediati sulle situazioni che viviamo ogni giorno, su settori come welfare e sanità, e diventare uno strumento a supporto delle decisioni per il mondo politico e anche di contrasto alla disinformazione.  È chiaro che serve un modello di governance che consenta di poter utilizzare questi dati tutelando i cittadini, regole che consentano di massimizzare i benefici che si possono ottenere da questo nuovo framework. Ci muoviamo in un contesto in rapida evoluzione, anche in relazione a quello che inevitabilmente sarà l’impatto dell’intelligenza artificiale”.

A tal proposito, come detto è stata appena approvata in via definitiva la prima legge quadro sull’Intelligenza artificiale, che designa due Autorità nazionali: l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) incaricata di vigilare con poteri ispettivi sulla sicurezza e sull’adeguatezza dei sistemi di IA e, appunto, l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), chiamata a gestire le notifiche e a promuovere casi d’uso sicuri per cittadini e imprese. Entro un anno il governo dovrà adottare uno o più decreti legislativi per adeguare la normativa italiana all’AI Act europeo e per definire una disciplina organica relativa all’utilizzo di dati, algoritmi per l’addestramento dei sistemi di IA.

“È evidente che ogni sistema dovrà essere alimentato dai dati pubblici e privati; quindi, bisogna definire un complesso istituto normativo che consenta di gestire al meglio questa situazione – conclude Romano -. Cambia la prospettiva: se prima parlavamo del dato come di un’entità che poteva essere condivisa secondo specifiche regole, pensiamo al GDPR, adesso accanto al dato c’è il sistema di intelligenza artificiale, con la sua componente fondamentale che è il modello di addestramento. L’IA utilizza i dati per poter migliorare la propria capacità predittiva e la componente relativa al modello di addestramento sarà il vero nodo centrale per i prossimi anni”.



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