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Moneta e finanza nella confusione geopolitica 


Le tensioni geopolitiche che travagliano il mondo non lasciano senza conseguenze i mercati finanziari, le monete e le banche centrali. Li coinvolgono direttamente e indirettamente. Direttamente, possono creare panico o comunque gravi turbative agli investitori e agli intermediari, fino a generare vere e proprie crisi finanziarie. Indirettamente, rendono più difficile o impossibile affrontare i problemi strutturali ed evolutivi della moneta e della finanza, causandone un indebolimento che le rende più soggette a crisi non direttamente originate dalla geopolitica.  

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La via diretta può a volte retroagire positivamente, se lo spavento di una crisi finanziaria imminente corregge le politiche che causano tensioni. Se, ad esempio, i comportamenti aggressivi e disorientanti dell’amministrazione Trump arrivassero a indurre violente fughe dal dollaro e forti uscite di capitali dagli USA, l’amministrazione potrebbe essere indotta a correggersi. Il potere disciplinante dei mercati finanziari agirebbe come una sorta di costoso soft power sulla politica. Basta ricordare le crisi dell’Eurozona degli anni 2010-13, in Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia, Cipro: i grandi, improvvisi aumenti dei tassi di interesse sui titoli pubblici hanno indotto comportamenti e riforme stabilizzanti per i singoli Paesi e per l’Eurozona. Purtroppo, questa funzione disciplinante dei mercati è spesso in ritardo o troppo in anticipo, esagerata o troppo lieve, sicché può sembrare che, al contrario, siano i mercati a destabilizzare per primi la politica e non viceversa.  

Se però guardiamo al più lungo periodo, ciò che conta sono gli effetti indiretti. Il sistema monetario e finanziario internazionale ha dei problemi strutturali che, se non affrontati adeguatamente e con cooperazione internazionale, tendono gradualmente a infragilire la finanza. Ciò la rende più esposta a shock anche locali che la finanza globalizzata tende poi a diffondere ad altri segmenti del sistema finanziario e ad altri Paesi, trasformando così micro-crisi in macro-crisi internazionali, come avvenne nel caso Lehman del 2008. Ma la cooperazione necessaria per riforme strutturali del mondo monetario e finanziario globale è praticamente impossibile da ottenere in un clima geopolitico quale quello attuale, che sta erodendo ogni regola, ogni forma di multilateralismo e tutte le istituzioni internazionali.  

Quali sono dunque i problemi della finanza globale che sarebbe necessario affrontare? 

Globalizzazione finanziaria 

La lista può essere più o meno dettagliata, ma è comunque abbastanza lunga. Il problema più generale è l’effetto secondario indesiderabile di un dato molto positivo, cioè la forza e la resilienza della globalizzazione finanziaria, il forte e crescente collegamento fra i mercati e gli intermediari di tutto il mondo. Dopo essere cresciuta insieme alla globalizzazione del commercio, quella finanziaria non l’ha seguita nell’arresto e nella lieve tendenziale inversione avvenuta dalla crisi del 2008-9, una crisi di origini finanziarie divenuta molto commerciale e “reale” ma che non ha avuto conseguenze rilevanti e durature per la globalizzazione finanziaria. Nella Figura 1 si possono confrontare gli andamenti, sia quelli delle globalizzazioni di fatto che quelli de jure, cioè della facoltà di globalizzarsi indicata dall’evoluzione delle regole poste nelle varie giurisdizioni commerciali e finanziarie. Si nota anche che, dal punto di vista finanziario, la globalizzazione di fatto è proseguita più rapidamente di quella delle regole che la permettono, mentre sul fronte commerciale è avvenuto il contrario.   

La globalizzazione finanziaria può accrescere le opportunità di finanziamento e migliorare l’allocazione globale delle risorse, rendendo più produttiva l’economia mondiale. Ma se non è regolata in modo adeguato e globalmente concertato rischia di creare disordine e speculazione, che destabilizza e peggiora allocazione delle risorse e produttività, nonché di trasmettere dappertutto e amplificare shock economici negativi ma isolati e localmente contrastabili. Dopo il 2008 fu la finanza a trasformare una crisi immobiliare localizzata in alcune parti degli USA in un tremendo shock economico-finanziario mondiale. Le carenze di regolamentazione e vigilanza finanziarie che furono allora individuate fra le cause di quella repentina diffusione sono state affrontate e rimediate in modo insufficiente: è questo il primo problema che un mondo meno conflittuale di quello attuale dovrebbe permettere di affrontare.   

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Figura 1

Digitalizzazione e regolamentazione 

L’urgenza di adeguare la regolamentazione dipende anche dal rapido diffondersi della digitalizzazione della finanza e dei metodi di pagamento e circolazione di denaro e titoli. Anche in Paesi poco sviluppati economicamente e finanziariamente la digitalizzazione procede rapidamente. L’indice ONU di implementazione delle misure e delle infrastrutture necessarie per la digitalizzazione dei pagamenti ha superato il 70% globalmente (era al 58% nel 2019) ed è prossimo al 50% per i Paesi meno sviluppati (dov’era al 35% nel 2021). Tutto ciò accelera molto la velocità di circolazione internazionale degli strumenti monetari e finanziari che, per essere benefica, richiede norme e convenzioni ben coordinate globalmente. Purtroppo, il mondo è distratto da queste urgenze e le sottovaluta, impegnato com’è a litigare con i dazi e a evitare una guerra mondiale.  

Non è solo la digitalizzazione a richiedere maggior impegno nel miglioramento e nell’armonizzazione globale delle regole finanziarie. È urgente l’armonizzazione delle regolamentazioni e degli stili di vigilanza delle banche, degli intermediari non bancari, delle borse, che rimangono troppo differenti anche fra Paesi e regioni fra i quali i servizi finanziari sono scambiati molto intensamente, come fra gli USA, il Regno Unito e l’Unione europea, per non parlare delle ingiustificabili differenze che rimangono fra gli Stati membri UE che impediscono la formazione di un’area euro davvero integrata. L’attenzione quasi morbosa dei media, degli operatori economici e dei politici per la politica dei tassi di interesse delle banche centrali appare mal riposta e poco rilevante rispetto a quella che andrebbe messa sull’evoluzione delle normative che devono garantire la solidità, la correttezza, la trasparenza e l’efficienza delle banche, dei fondi di investimento e dei mercati dei titoli. Ma, di nuovo, la cooperazione globale, ancora ricca formalmente di comitati e collaborazioni dedicate a coordinare e migliorare le regole finanziarie, è oggi distratta dalle preoccupazioni geopolitiche.  

L’aggiornamento profondo e globalmente coordinato della regolazione delle banche e della digitalizzazione è davvero urgente. La diffusione degli asset digitali trasferibili con distributed ledger e l’impegno delle stesse banche centrali a creare monete virtuali, che permettono anche pagamenti indipendenti dai circuiti bancari, tendono a spiazzare il ruolo tradizionale delle banche di deposito. Esse si vedono disintermediate e cercano di ampliare forme di raccolta che le rendono sempre più simili a intermediari non bancari, i quali sono regolati meno e diversamente. Se non si provvede con urgenza e internazionalmente a fare ordine in un mondo bancario che cerca di capire e disegnare il suo futuro, si rischia di vederlo o tremare in processi disordinati di concorrenza e innovazione sregolata oppure soffocare per interventi regolatori nazionali che tolgono all’innovazione il respiro internazionale o la reprimono nell’insulso tentativo di evitarne ogni rischio. Ovviamente, ne soffrirebbero le imprese e gli individui che utilizzano servizi finanziari, nonché la produttività e la crescita.  

Il ruolo del dollaro 

Le tensioni geopolitiche e le intemperanze dell’amministrazione statunitense hanno un impatto diretto su un altro aspetto del quale la cooperazione mondiale dovrebbe prendere atto, facendo seguire decisioni e provvedimenti opportuni: l’indebolimento del ruolo del dollaro e della fiducia nel mercato dei capitali USA, finora indispensabili per la fluidità del commercio e della finanza internazionali.  Si tratta di fenomeni probabilmente inevitabili nel lungo periodo, dovuti all’evoluzione naturale dello sviluppo economico e finanziario mondiale. La ricetta per farvi fronte è teoricamente chiara: far progredire e diffondere gli strumenti di pagamento internazionale, di misurazione dei prezzi e denominazione dei titoli, che non facciano riferimento a un solo Paese ma siano sotto la diretta guida e responsabilità di istituzioni multilaterali come il Fondo monetario internazionale.  

Nei decenni seguiti all’ultima guerra mondiale si sono fatti passi concettualmente importanti su questa strada, come la creazione dei diritti speciali di prelievo e di reti di accordi bilaterali fra banche centrali. Anche la creazione dell’euro è stata di aiuto, esonerando il dollaro dall’essere il supporto di ciascuna moneta europea. Occorrerebbe ora affrettarsi ad accelerare la cooperazione monetaria. Il tema non va visto in modo divisivo, come una sconfitta del dollaro o della finanza USA, ma come la necessità impellente di un mondo sempre più economicamente multipolare nonché commercialmente e finanziariamente integrato.  

Se si lascia indebolire il ruolo monetario e finanziario degli USA senza sostituirlo con strumenti e mercati creati e guidati in modo multilaterale, l’inceppamento della credibilità statunitense (in Figura 2 si vede che il deterioramento dura da anni, anche se si è molto accelerato con Trump) rischia di diventare un ostacolo pericoloso per lo sviluppo economico mondiale nonché un possibile fiammifero di crisi finanziaria davvero globale. Ma come parlare di moneta quando circolano missili e droni e i dazi vengono usati come fossero bombe? 

Figura 2

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L’FMI e il G20 

L’elenco dei problemi potrebbe continuare e dettagliarsi. Basti pensare ai debiti pubblici e privati che nel mondo hanno raggiunto livelli prossimi all’insostenibilità, se confrontati con l’entità di ciò che le economie producono. L’FMI stima che il totale mondiale dei debiti pubblici e privati sta superando il 240% (di cui 95% dei debiti pubblici) del PIL (dal 180% medio dell’ultimo decennio del secolo scorso e dal 145% degli anni ’80). Inoltre, osserva che il debito della parte più povera del mondo tende a crescere con le tensioni geopolitiche e raccomanda alle politiche economiche di dare priorità alla riduzione degli indebitamenti. Oltretutto, la necessità di finanziare i deficit pubblici e di aiutare i debitori privati esercita pressioni sulle banche centrali perché siano lasche nel creare moneta. 

Ma sono gli stessi poteri dell’FMI che andrebbero rafforzati e resi più indipendenti dalle influenze nazionali per consentirgli di coordinare in modo giusto ed efficace i rimedi al problema dei debiti e a tutti quelli prima elencati. Le organizzazioni bancarie e imprenditoriali, i governi, i media e le opinioni pubbliche potrebbero far pressioni perché il G20 – anche vincendo le probabili resistenze degli USA che l’anno prossimo lo presiederanno – affidi a un FMI rafforzato e più indipendente il coordinamento di una fase di urgente e profonda ri-regolamentazione finanziaria internazionale.  



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