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Alessandro Chiesi: «C’è la crisi? Investiamo 5 miliardi in stabilimenti e ricerca»


di
Alessandra Puato

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È il piano al 2030 del gruppo farmaceutico che festeggia i 90 anni e chiude il primo semestre 2025 con ricavi in aumento del 13% sopra 1,8 miliardi, con un margine del 30%

Dice Alessandro Chiesi a proposito dei dazi: «Noi dobbiamo lavorare dappertutto, è la nostra missione: portare i farmaci dovunque ci siano pazienti che ne hanno bisogno. Non andiamo in un’area geografica e poi cambiamo strategia soltanto perché qualcuno ha preso decisioni politiche». Perciò, «l’America resta il primo mercato estero, anche se i dazi rischiano di far salire i prezzi per gli americani. Ma l’Europa deve fare qualcosa. Bisogna tutelare l‘innovazione». A parlare con il presidente del gruppo biofarmaceutico emerge un divario: quello fra l’industria, ormai abituata a un mercato globale, e un mondo politico che adesso, invece, si muove a blocchi. Da un lato l’America dei dazi, dall’altro la Cina con India e Russia unite nella Sco, la Shanghai cooperation organization, che ha dato prova di forza a inizio settembre. A margine, l’Europa che cerca una strada propria. «Bisogna creare le condizioni perché investire sull’innovazione qui sia attrattivo», dice Chiesi.

I conti semestrali

La dichiarazione arriva da un gruppo che nell’innovazione continua a investire — circa cinque miliardi previsti entro il 2030 fra stabilimenti e ricerca — e cresce malgrado le incognite. Lo dicono gli ultimi dati che verranno comunicati domani, 16 settembre.
Chiesi Farmaceutici chiude il primo semestre 2025 con ricavi dichiarati in aumento del 13%, a tassi di cambio costanti, sopra 1,8 miliardi e un margine operativo lordo di circa il 30% (posizione finanziaria netta positiva per 535 milioni al dicembre 2024). Gli investimenti in ricerca sono costanti a circa il 20% del fatturato, per 3,06 miliardi nel 2020-2024; sommati a quelli in impianti, acquisizioni e alleanze si arriva a 6,2 miliardi.
Primo mercato è l’Europa con il 57,9% dei ricavi, secondo gli Stati Uniti con il 22,6%, terzo China & International con il 19,5%. Il mercato cinese («Vi stiamo investendo molto») nel primo semestre è aumentato del 23% dal gennaio-giugno 2024, a tassi di cambio costanti, a 67 milioni. «Per il resto dell’anno, rivedendo le stime al rialzo, prevediamo una crescita di gruppo a cifra singola medio-alta rispetto al 2024 — dice il presidente—, in un mercato che sconta sia la svalutazione del dollaro sia l’impatto dei dazi, benché ancora poco chiari per la farmaceutica. L’obiettivo restano i «sei miliardi di ricavi entro il 2030». Il doppio del 2023.




















































Le mosse dell’Europa

Per favorire la coesione nel settore, la Commissione Ue si sta muovendo. È in corso dal 2023 la revisione del Pacchetto farmaceutico 2023 e c’è la proposta di una legge sui medicinali critici, il Critical medicines act 2025, per rafforzare la produzione e l’approvvigionamento interno dell’Ue. Ma secondo Chiesi si può fare di più. «Si dovrebbe riuscire a non ridurre i tempi della proprietà intellettuale — dice il presidente del gruppo che ha 5.529 brevetti, di cui 33 registrati in Europa solo lo scorso anno, ed è la prima azienda farmaceutica italiana nel 2024 per investimenti in ricerca —. L’innovazione però è pagata troppo poco e impiega troppo tempo per arrivare ai pazienti. Serve una soluzione. Avere regole diverse su prezzi e rimborsi è un ostacolo per la competitività». Quanto all’Italia: «Con le aziende del settore, lavoriamo insieme con le istituzioni a un sistema sanitario sostenibile nel medio lungo periodo. Con il pay back non si va da nessuna parte. Ne va prevista la riduzione in Finanziaria».

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Le fabbriche, il rilancio di Nerviano

Azienda familiare che festeggia i 90 anni (grande celebrazione il 2 ottobre alle Fiere di Parma con oltre 2.500 dipendenti, dopo eventi nelle varie filiali del mondo), particolarmente impegnata sulla sostenibilità (è in corso la terza certificazione BCorp ed è dichiarato azzerato il divario di genere sulla retribuzione), Chiesi non ha (per ora) impianti produttivi negli States. Esporta in oltre 100 Paesi da quattro stabilimenti in Italia (Parma), Francia (Blois-La Chaussée Saint Victor, valle della Loira), Germania (Niefern, ai piedi della Foresta Nera) e Brasile (Santana de Parnaìba, nello Stato di San Paolo). Produce farmaci avanzati per le terapie respiratorie (50% dei ricavi semestrali) e le malattie rare (25%), oltre ai medicinali di specialità (25%). Prevede investimenti fino a cinque miliardi nel piano 2025-2030. Un miliardo circa è per gli stabilimenti: in Francia e in Italia, con 380 milioni per il nuovo polo biotech (il Biotech center of excellence di Parma, che compie un anno) e 430 milioni a Nerviano (Milano), dove sono previsti 300 nuovi posti di lavoro entro il 2029. Qui il gruppo ha rilevato in marzo l’attività che fu di Carlo Erba e negli anni è passata in più mani, da Pfizer a Teva, fino alla chiusura nel 2024. I restanti quattro miliardi sono su ricerca e sviluppo, circa 800 milioni all’anno.

Gli eco-inalatori e le alleanze

«Nerviano diventa centrale nella nostra strategia di sviluppo industriale — dice Chiesi —. Si affianca al sito in Francia per la produzione dei nuovi inalatori a impatto ambientale ridotto. Ne produrremo milioni di unità per milioni di pazienti in tutto il mondo, lanceremo nuovi prodotti. Il mercato è in crescita, a Nerviano c’è competenza». Il Biotech center di Parma è un’evoluzione europea: «È il fulcro di un impegno andato al di là delle aspettative». Anche con l’intelligenza artificiale: «Partendo da fotografie annotate dai medici, abbiamo ricostruito in modo virtuale i sistemi respiratori di pazienti reali per simulare l’effetto di una soluzione inalata. Questo consente di progettare inalatori più efficienti, calcolare dosi ottimali e ridurre i tempi di sperimentazione».

Le acquisizioni e il nuovo board

Nel piano di crescita sono previste nuove alleanze. «Abbiamo chiuso otto partnership significative negli ultimi tre anni, in tutte le aree terapeutiche — dice Chiesi —. Continueremo». Quanto alle acquisizioni, «non ne escludiamo una entro 12 mesi». «Siamo un’azienda familiare, abbiamo sempre ragionato sul lungo periodo, è un punto di forza — dice il presidente del gruppo aderente all’Aidaf —. Gli investimenti di lungo termine sono una necessità nel nostro settore, che ha tempi lenti e rischi significativi. Questo ci ha permesso di avviare programmi di lungo respiro che non devono soggiacere al giudizio dei mercati come per le aziende quotate». Perciò la Borsa non è, per ora, un obiettivo, anche se il gruppo si sta strutturando con una governance da quotata. Sono stati costituiti tre comitati di controllo e nel board in cui siede il ceo Giuseppe Accogli sono entrati tre consiglieri indipendenti, esterni alla famiglia: è la prima volta.
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