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Telecamere ovunque: ormai è il fantasma della libertà


La videosorveglianza è diventata uno degli strumenti più diffusi per garantire sicurezza pubblica e privata, ma il suo impatto sui diritti fondamentali solleva interrogativi crescenti. Dal quadro costituzionale all’uso delle bodycam, fino all’invasività del riconoscimento biometrico, emerge l’urgenza di un bilanciamento rigoroso.

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Presupposti e limiti costituzionali della videosorveglianza

La videosorveglianza[2], generalmente intesa quale tecnica di osservazione e registrazione sistematica di spazi, persone o comportamenti, si basa oggi sull’applicazione di una serie di tecnologie avanzate che divengono emblematiche del rapporto tra individuo ed esercizio di poteri di controllo da parte di soggetti pubblici e privati.

Videosorveglianza e principi costituzionali

Essa, inoltre, può rappresentare, congiuntamente, uno strumento di adeguata prevenzione e uno strumento arbitrario di oppressione: il cosiddetto occhio elettronico – che si caratterizza per una protrazione a oltranza dell’atto di osservare (cui si aggiunge la capacità di archiviazione di quanto captato) – sottrae quest’ultima attività dai limiti fisiologici della condotta umana ed espone al rischio che autorità pubbliche o soggetti privati impieghino i sistemi di videosorveglianza per finalità illecite o comunque ultronee rispetto a quelle prefissate e ritenute legittime per via normativa.

Anzitutto per tale ragione, se da un lato la videosorveglianza può contribuire in misura significativa alla tutela della sicurezza pubblica e privata[3], dall’altro si configura quale fatto che incide direttamente su diritti e libertà fondamentali, riconosciuti e protetti a livello costituzionale – ben oltre il diritto alla riservatezza[4] – il che implica un’analisi giuridica rigorosa del fenomeno sotto un altro tipo di occhio, quello ‘vigile’ del costituzionalista.

Tanto premesso, se si tiene conto della crescente proliferazione degli impianti di videosorveglianza, della capacità di dispiegare attività di controllo su ampia scala e dell’integrazione con le più disparate tecnologie (id est, ad esempio, quella di riconoscimento biometrico) non si può prescindere dal considerare la videosorveglianza come un fatto rilevante in misura sempre crescente sotto il profilo giuridico-costituzionale poiché, oggi, all’evoluzione delle tecnologie dovrebbe (ma, spesso e volentieri, non è così) corrispondere la capacità del sistema giuridico di rispondere al ‘nuovo’ con presidi giuridici adeguati.

L’impressione di chi scrive è, difatti, quella che l’attuale normativa in materia di videosorveglianza[5] rischi di non riuscire più a prevenire e contenere lesioni di diritti e libertà fondamentali che si stanno facendo lentamente strada, man mano che sul mercato vengono resi disponibili, a prezzi accessibili ed estremamente concorrenziali, strumenti avanzati di controllo e captazione audio-video; precisamente, la normativa sulla privacy applicabile a tali attività, così come i correlati controlli, rischiano di non essere sufficientemente adeguati a proteggere dalle situazioni di fatto che oggigiorno vengono delineandosi in misura crescente.

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In quest’ottica, il presente contributo si propone di esplorare da un lato i limiti e le garanzie costituzionali della videosorveglianza – con l’intento di abbozzare un possibile ‘statuto giuridico’ della videosorveglianza costituzionalmente compatibile – e dall’altro di offrire qualche spunto di riflessione su questioni aperte e criticità che restano sullo sfondo e che, tuttavia, meritano di essere urgentemente affrontate per approntare nuovi presidi e nuove forme di tutela e/o, quantomeno, rafforzare gli strumenti di garanzia esistenti rendendoli efficaci ed effettivi.

I fondamenti costituzionali della videosorveglianza

Entrando nel merito, seppur in sintesi, dei presupposti costituzionali della videosorveglianza, se è vero che non esiste una norma costituzionale che menziona espressamente tale attività, essa può trovare legittimazione in diverse previsioni costituzionali, fra le quali spiccano quelle concernenti la tutela della sicurezza, della proprietà privata, dell’iniziativa economica e dei suoi corollari (ivi compresa la tutela del c.d. patrimonio aziendale) nonché dell’amministrazione della giustizia.

In primo luogo, infatti, occorre richiamare – come diretta espressione di una delle modalità di estrinsecazione della dignità e della libertà personale (artt. 2 e 13 Cost.) – l’articolo 16 della Costituzione italiana, il quale, riconoscendo la libertà di circolazione e di soggiorno a ciascun cittadino ne ammette una limitazione, sorretta da una riserva rinforzata di legge, per i soli motivi di sanità e di sicurezza. Anche se non espressamente richiamati dalla Costituzione e anche se non direttamente collegati a previsioni attuative della riserva di legge appena richiamata, è innegabile che la videosorveglianza si pone comunque in diretta correlazione con la libertà del cittadino di circolare e soggiornare liberamente su tutto il territorio nazionale poiché la pienezza di tale libertà subisce un ineluttabile contemperamento con l’esigenza di sicurezza. La ‘libera’ circolazione e il ‘libero’ soggiorno, da questo punto di vista, subiscono, difatti, non tanto una limitazione in senso proprio – perché il cittadino, in presenza di sistemi di videosorveglianza, non viene privato o limitato rispetto al diritto di soggiornare e circolare sul territorio –, ma una rimodulazione in quanto, in presenza di sistemi di videosorveglianza, il cittadino è comunque indotto ad agire in un determinato modo, ad esempio prestando maggiore attenzione a quel che fa e a come lo fa. Si tratta, osservando il fenomeno dal punto di vista giuridico, dell’attuazione di meccanismi che dovrebbero indurre ad un rafforzamento della capacità della persona di autodisciplinarsi nel rispetto delle regole, ma che – senza tema di smentita – finiscono in ogni caso per far assumere una diversa forma alle modalità di esercizio delle libertà di cui all’articolo 16 della Costituzione (e di altre libertà collegate, di cui si dirà).

In secondo luogo, l’installazione di sistemi videosorveglianza – specie quelli nel diretto controllo dei soggetti privati – trovano una copertura costituzionale negli articoli 41 e 42 della Costituzione e ciò in quanto, rispettivamente, «La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti» (art. 42, c. 2, Cost.) e la libera iniziativa economica privata se pur «libera» (art. 41, c. 1, Cost.), «Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» (art. 41, c. 2, Cost.). Leggendo unitariamente i testi citati, è possibile affermare, in senso generale, che la videosorveglianza non solo non si pone in contrasto con suddette disposizioni, ma – a ben vedere, concretamente osservando – può concorrere a rafforzare l’esigenza di garantire sicurezza ogni qual volta essa è predisposta a tutelare la proprietà privata o, ad esempio, il patrimonio aziendale[6].

Tutto ciò trova un rafforzamento, a monte, nell’articolo 14 della Costituzione, al cui primo comma è sancita l’inviolabilità del domicilio, il che giustifica modalità di controllo e vigilanza che mirino al rispetto di tale diritto fondamentale.

Ulteriormente, la videosorveglianza può assumere un’importante funzione preventiva nell’ambito della giustizia, trovando così un ulteriore fondamento negli articoli 24, 101, 111 e 112 della Costituzione, che garantiscono il diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), stabiliscono la soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101, c. 2, Cost.), lo svolgimento di un giusto processo (art. 111 Cost.) nonché l’obbligo di esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero (art. 112 Cost.). In tale prospettiva, prendendo tali principi quale espressione ‘emblematica’ del sistema giustizia (ma altre norme costituzionali ben potrebbero concorrere ad ampliare il novero), occorre tenere conto del fatto che le immagini raccolte tramite sistemi legittimi di videosorveglianza possono essere determinati sia in fase di indagine – ben potendo costituire elemento probatorio sia a carico che a discarico del soggetto sottoposto alle indagini – sia in fase decisoria, divenendo elemento di prova oggetto di valutazione del giudice ai fini della decisione.

Ed è doveroso notare, infine, che la videosorveglianza si pone in termini di compatibilità/incompatibilità anche a livello sovranazionale[7], onde assumono particolare rilievo gli articoli 5 e 8 della CEDU, i quali sanciscono, rispettivamente, il diritto alla libertà e alla sicurezza (art. 5 CEDU) e il diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU)[8].

Il necessario bilanciamento tra sicurezza e libertà

Anche se richiamate per brevitas, le suddette disposizioni costituzionali e sovranazionali si pongono, dunque, quali principi e/o diritti e/o doveri di rango costituzionale che, se non rendono l’attività di videosorveglianza incompatibile con la Costituzione latamente intesa, dall’altro lato ne indicano più o meno esplicitamente i limiti.

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Ecco, pertanto, perché è indispensabile procedere con un delicato bilanciamento delle disposizioni costituzionali: l’attività di videosorveglianza, se pur legittima e coperta sotto il profilo costituzionale, deve sempre esplicarsi nel rispetto pedissequo di una molteplicità di altri diritti e libertà, tra cui certamente la dignità umana (art. 2 Cost.), la libertà personale (art. 13 Cost.), la libertà e inviolabilità del domicilio (art. 14 Cost.), la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (art. 15), la libertà di circolazione e di soggiorno (art. 16 Cost.), la libertà di riunione (art. 17 Cost.), la libera manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), ma anche la tutela della dignità sui luoghi di lavoro (artt. 4 e 35 Cost.).

La raccolta d’immagini e suoni, a fini di sicurezza, non è dunque mai un atto che si può considerare ‘neutro’ o ‘asettico’ nei contesti di democrazia costituzionale, poiché implica tanto l’esercizio di un potere di osservazione a tutela di alcune prerogative costituzionalmente protette, quanto la necessità che del suo esercizio sia fatto un uso compatibile con altrettanti importanti diritti e libertà, al fine specifico che essa non si traduca mai in una forma, più o meno latente, di ‘controllo sociale’ da parte dell’autorità pubblica e/o da parte dei privati cittadini.

Ecco perché, oltre al bilanciamento tra disposizioni costituzionali, è indispensabile che l’uso della videosorveglianza rispetti – con una verifica caso per caso[9] – anche il principio di proporzionalità, al fine di assicurare al cittadino non solo la tutela della propria privacy, ma anche il pedissequo rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, che non devono subire eccessive compressioni o anomale limitazioni. In definitiva, sul punto, è tanto vero che la libertà non è assoluta e illimitata quanto è vero che essa non deve subire contrazioni ingiustificate o, analogamente, giustificate in nome di una concezione di sicurezza e tutela della sfera privata individuale che esorbita dall’alveo costituzionale.

La funzione della videosorveglianza pubblica: l’introduzione delle bodycam nelle Forze di polizia

È bene spendere qualche parola più generale rispetto all’attività di videosorveglianza a seconda che essa sia svolta da autorità pubbliche o da soggetti privati, poiché cambiano non soltanto gli adempimenti, ma anche le forme di responsabilità e gli scopi correlati alla natura del soggetto che dispone dell’apparato di videosorveglianza.

I principi che governano la videosorveglianza pubblica

Nel caso in cui la videosorveglianza sia esercitata da autorità pubbliche, infatti, essa diviene immediata espressione dell’esercizio del potere statale, con la necessità che siano rispettati i principi di legalità, necessità e proporzionalità. Tali attività, dunque, essendo svolte dallo Stato per la tutela di preminenti interessi pubblici, devono poggiarsi su esplicite previsioni legali, essere svolte nel rispetto del bilanciamento tra i diritti costituzionalmente protetti (fra tutti, la tutela della sicurezza pubblica e il contrasto alla criminalità), limitarsi allo stretto necessario, essere proporzionate rispetto alle finalità che concretamente perseguono, senza che si giunga ad un contesto di vero e proprio ‘panoptismo’, in cui ciò il cittadino, nella consapevolezza di poter essere costantemente osservato, non è mai in grado di distinguere tempi, modi e spazi in cui la videosorveglianza diviene funzionale alla tutela di specifici e dichiarati pubblici interessi.

Ecco perché gli impianti di videosorveglianza predisposti dalle autorità pubbliche non dovrebbero mai risolversi in tecnologie in grado di controllare a tappeto gli spazi pubblici[10] perché, inevitabilmente, questo tipo di controlli fuoriesce – a parere di chi scrive – da un ambito di tollerabilità costituzionale. Quando la sorveglianza viene esercitata da autorità pubbliche, il ‘test’ di compatibilità costituzionale deve diventare stringente: in gioco non vi è solo la libertà della persona, ma il rapporto genetico tra individuo e potere.

In questa prospettiva, risulta centrale l’applicazione del principio di stretta legalità, tale per cui le attività di videosorveglianza pubblica, impattando in misura significativa sulla libertà della persona, secondo me dovrebbero: a) essere stabilite da previsioni legislative di diretta promanazione degli organi parlamentari; b) delimitate, sempre da previsioni legislative di promanazione parlamentare, rispetto ai tempi, alle modalità e alle finalità; c) soggette a verifiche periodiche e sistematiche da parte di organismi e autorità indipendenti.

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Le bodycam del decreto sicurezza: una misura controversa

Per le ragioni sopra esposte, esprimo la mia preoccupazione per l’introduzione nel nostro ordinamento, peraltro proprio attraverso lo strumento della decretazione d’urgenza (sic!), di recenti misure volte a dotare le Forze di polizia di bodycam.

Il riferimento è al decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48 (c.d. decreto sicurezza), contenente “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”, al cui primo comma dell’articolo 21 – rubricato “Dotazione di videocamere al personale delle Forze di polizia” – si prevede che «Il personale delle Forze di polizia impiegato nei servizi di mantenimento dell’ordine pubblico, di controllo del territorio e di vigilanza di siti sensibili nonché in ambito ferroviario e a bordo dei treni può essere dotato di dispositivi di videosorveglianza indossabili, idonei a registrare l’attività operativa e il suo svolgimento».

I limiti della nuova normativa

Tale disposizione nel più ampio contesto del menzionato decreto, assai criticato in dottrina[11], è passibile di alcuni rilievi.

Un primo rilievo ritengo sia da porre in stretta relazione la ‘leggerezza’ politica e ideologica con la quale vengono affrontate tematiche estremamente rilevanti nel bilanciamento tra rispetto delle libertà della persona e tutela della sicurezza pubblica e privata. Tali norme, infatti, vengono adottate fuori dal confronto parlamentare, con un decreto-legge in assenza dei presupposti costituzionali (ed è quasi superfluo spendere parole, dopo decenni di abuso, sull’illegittimità costituzionale di tale prassi). In particolare, quest’ultima circostanza è gravemente confermata, utilizzando le parole del Consiglio direttivo dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale (AIPDP), dal fatto che oggi si registra – rispetto all’introduzione del decreto sicurezza – «l’anomalo ricorso alla decretazione d’urgenza in materia penale per trasferire in un decreto-legge un intero disegno di legge presentato oltre un anno fa e al cui esame sono state dedicate un centinaio di sedute tra Camera e Senato, con l’audizione di numerosi professori ed esperti. Il decreto-legge viene così impropriamente utilizzato come un disegno di legge ad effetto immediato, creando un precedente che potrebbe alimentare una prassi che svilisce il ruolo del Parlamento»[12].

Un secondo rilievo riguarda il fatto che la misura in questione resta comunque generica e si limita a stabilire che sia possibile dotare le Forze di polizia di tali dispositivi, senza prevedere casi in cui forse sarebbe il caso, anche a tutela degli agenti di polizia, di rendere obbligatorio l’utilizzo delle bodycam e, in ogni caso, senza stabilire tempi, modalità e limiti stringenti al loro utilizzo.

Occorre, infine, riflettere sulla duplice funzione delle bodycam: se da un lato, infatti, esse tutelano le Forze di polizia nel loro operato (si pensi alla complessità di certe operazioni che quotidianamente vengono svolte sui mezzi di trasporto o in contesti cittadini denotati da un elevato tasso di criminalità) dall’altro garantiscono i cittadini poiché rendono trasparenti e verificabili le modalità con le quali le Forze di polizia agiscono, in virtù della delicatezza del ruolo ricoperto dalle stesse.

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Il decreto sicurezza, pertanto, prevede sì disposizioni che sembrano concorrere ad un incremento della sicurezza nel nostro Paese, ma a ben vedere contiene, nel caso specifico delle bodycam, solo una disposizione generica che apre ad una possibilità, senza fare chiarezza e senza dare effettività alle esigenze di sicurezza.

Il decreto sicurezza, purtroppo, crea meno sicurezza e «sacrifica la sicurezza dei diritti»[13], alimentando il focolaio della mera propaganda politica a scopi elettorali.

Videosorveglianza privata e necessità di estendere i controlli sul rispetto della normativa vigente

Per quel che attiene, invece, alla videosorveglianza nel contesto privatistico, essa si configura come esercizio della libertà del soggetto di tutelare i propri beni e la propria integrità.

La videosorveglianza privata tra diritti e doveri

Tuttavia, essa non può sfuggire al vaglio costituzionale poiché, come si è detto, il nostro ordinamento giuridico impone che anche i rapporti intersoggettivi siano conformi ai precetti costituzionali e che quindi siano sempre rispettati i principi di dignità, libertà e riservatezza, in virtù del principio di efficacia orizzontale dei diritti fondamentali (la c.d. Drittwirkung indiretta tedesca).

Cambiando punto di vista, ritengo di dover precisare che, se è pur vero non spetta al privato cittadino farsi carico della tutela della sicurezza pubblica, non è possibile negare il fatto che il legittimo controllo esercitato dai singoli privati possa contribuire, nel complesso, a garantire una maggiore sicurezza collettiva (e, in particolare, la c.d. sicurezza urbana[14]).

Gli obblighi spesso disattesi dai privati

Il cittadino che installa un impianto di videosorveglianza diventa, di fatto, un soggetto capace di incidere sulla sfera giuridica altrui e, di conseguenza, questa attività deve ritenersi legittima solo se conforme, in primis, alle disposizioni costituzionali e, soprattutto, solo se strettamente rispettosa del principio di proporzionalità. In concreto, chi installa impianti di videosorveglianza a tutela degli spazi esterni alla propria abitazione o alla propria attività imprenditoriale (e sono queste le ipotesi più frequenti) deve limitarsi a riprendere solo ed esclusivamente gli spazi immediatamente adiacenti (ad esempio, l’ingresso dell’abitazione, del capannone o del garage), ma non deve riprendere spazi comuni (per esempio pubbliche vie o piazze) se non per le porzioni strettamente necessarie a consentire la ripresa dello spazio da tutelare e non deve interferire con la vita privata di altri, eccedendo rispetto alla finalità dichiarata. Inoltre, il privato è tenuto ad informare, con apposita cartellonistica, della presenza di impianti di videosorveglianza specificando:

a) da chi è effettuata la registrazione e chi funge da responsabile del trattamento dei dati acquisiti;

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b) il termine entro il quale le registrazioni saranno conservate;

c) la finalità della videosorveglianza;

d) un recapito al quale rivolgersi per ottenere l’accesso ai propri dati e poter esercitare gli altri diritti connessi riconosciuti dalla normativa in vigore[15].

La necessità di controlli più efficaci

Nonostante tali previsioni, bisogna constatare, specie in relazione all’installazione ‘fai da te’ di impianti di videosorveglianza, che spesso e volentieri i privati non ottemperano agli adempimenti stabiliti. Non è infrequente, infatti, accorgersi della presenza di telecamere che intercettano porzioni di abitazioni private e ampi segmenti di spazi pubblici solo ad una attenta osservazione, in assenza di qualsivoglia cartellonistica che dovrebbe essere presente e persino a posta in evidenza e a distanza tale da preannunciare che di lì a poco si transiterà in una zona soggetta a videosorveglianza.

Si profila, dunque, la necessità di forme di controllo capillari che diano effettività alle previsioni normative in vigore, altrimenti le tutele e le garanzia rischiano di restare lettera morta. In questo, ritengo che sia determinante – oltre a un serio intervento parlamentare – il ruolo dei giudici e, soprattutto, del Garante per la protezione dei dati personali che, come le altre autorità amministrative indipendenti, svolge funzioni di regolazione e di controllo poste a tutela di interessi pubblici e privati di natura costituzionale, assicurando elevate competenze tecnico-giuridiche.

Verso una videosorveglianza algoritmica e predittiva

Per concludere, intendo guardare, in una prospettiva de iure condendo, alla dimensione che sta via via assumendo il fenomeno della videosorveglianza. Si tratta, infatti, di un sistema ormai ad altissime prestazioni, che si serve di complessi e sempre più avanzati strumenti di analisi automatizzata.

Il riconoscimento biometrico e l’intelligenza artificiale

Tra le tecniche che possiamo considerare maggiormente intrusive spicca certamente quella del riconoscimento biometrico, che consente di affiancare alla mera captazione audio-video la capacità di individuare esattamente il soggetto che transita e/o sosta in una determinata area ed è oggetto della captazione. In questo caso specifico, quindi, ad emergere prepotentemente è l’assenza di anonimato in una fase in cui la videosorveglianza dovrebbe unicamente attestarsi sul piano della prevenzione. L’individuazione del soggetto, infatti, dovrebbe derivare da successivi accertamenti autorizzati preventivamente dall’autorità giudiziaria per scopi legati all’amministrazione della giustizia e, in particolare, all’accertamento di comportamenti meritevoli di approfondimento in quanto, con un certo grado di probabilità, potrebbero essere riconducibili a fattispecie illecite.

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Ad aumentare esponenzialmente la capacità di riuscita della combinazione delle diverse tecnologie è, poi, l’intelligenza artificiale, la cui applicazione va ben oltre il riconoscimento facciale in tempo reale, ma può consentire – con un utilizzo per l’appunto ‘intelligente’ dei dati acquisiti – di compiere analisi predittive, mettendo in stretta connessione le banche dati biometriche con i sistemi di tracciamento audio-video.

Sul punto, possiamo iniziare a parlare, in questo ambito come in altri ormai, di una videosorveglianza ‘algoritmica’ e ‘automatizzata’ con ‘finalità predittive’.

Le sfide future per il diritto costituzionale

Alla luce di ciò, mi chiedo se l’attuale impianto normativo (a partire dalla dimensione costituzionale e, via via, discendendo) sarà in grado di reggere questo vero e proprio volo pindarico indotto dalle nuove tecnologie e che rischia, in modo più o meno evidente, di erodere gradualmente l’esercizio pieno delle libertà costituzionali in nome del progresso e dell’esaltazione di una visione ossessivamente securitaria della dimensione sociale individuale e collettiva.

Note


[2] Oltre ai riferimenti bibliografici presenti nel resto del contributo, si rinvia per tutti, per una prima ricostruzione efficace del tema della videosorveglianza, ai lavori raccolti nel volume M. Manetti, R. Borrello (a cura di), Videosorveglianza e privacy, Firenze, Angelo Pontecorboli Editore, 2010.

[3] Per una prima ricostruzione in chiave costituzionale del concetto di ‘sicurezza’ si rinvia, invece, alle riflessioni di G. De Vergottini, La difficile convivenza fra libertà e sicurezza: la risposta delle democrazie al terrorismo. Gli ordinamenti nazionali, in Atti del XVIII Convegno Annuale dell’Associazione (Bari, 17-18 ottobre 2003), Padova CEDAM, 2007, 56 ss.; M. Dogliani, Il volto costituzionale della sicurezza, in Astrid Rassegna, n. 22/2010 e A. Pace, Libertà e sicurezza. Cinquant’anni dopo, in Diritto e Società, n. 2/2013, 177 ss.

[4] Si nota, infatti, un’elevata attenzione generalizzata rispetto alla tutela della privacy e della riservatezza, ma allo stesso tempo una minore sensibilità rispetto alla tutela dei diritti fondamentali, che pure sono direttamente incisi da pratiche come la videosorveglianza. Con il presente contributo si intende riportare l’attenzione sulle problematiche di ordine strettamente costituzionale, che si intersecano certamente con la tutela della privacy e della riservatezza, ma che rappresentano un segmento molto più ampio di analisi che non deve essere trascurato. I diritti coinvolti in tema di videosorveglianza sono molti e diversificati e devono assumere un peso specifico al fine di assicurare tutela effettiva alla dignità e alla libertà della persona.

[5] In linea generale, il quadro normativo italiano in materia di videosorveglianza non risulta né univoco né sistematico e ciò in quanto accanto alla disciplina generale sul trattamento dei dati personali (D.lgs. 196/2003 prima e Regolamento (UE) 2016/679 poi) e al provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali dell’8 aprile 2010, convivono disposizioni di settore, in particolare connesse alla tutela della sicurezza urbana (si vedano, ad esempio, le normative relative alla videosorveglianza nei Comuni o sui trasporti pubblici). Sebbene non agevole, la ricostruzione del quadro normativo trova comunque dei punti fermi nei principi di proporzionalità, finalità, minimizzazione e trasparenza del trattamento, oltre che nelle specifiche garanzie previste per l’ambito lavorativo dallo Statuto dei lavoratori (art. 4 L. 300/1970). Cfr. Videosorveglianza (voce), in L. Bolognini, E. Pelino (diretto da), Codice della disciplina privacy, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2024, 1367 ss.

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[6] Discorso a parte meriterebbe il controllo esercitato da parte del datore di lavoro che si giustifica con la necessità di tutelare l’organizzazione e il patrimonio aziendale, ma che deve essere pur sempre bilanciato con il rispetto della dignità del lavoratore e con i limiti imposti dalla legge e, in particolare, dallo Statuto dei lavoratori.

[7] Significativa, in merito, l’adozione delle fondamentali Linee guida 3/2019 sul trattamento dei dati personali attraverso dispositivi video adottate dall’European Data Protection Board (EDPB) il 29 gennaio 2020 (versione 2.0).

[8] Per un approfondimento si veda, tra gli altri, S. Bartole, P. De Sena, V. Zagrebelsky, Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, CEDAM, 2012.

[9] In questo senso, rispetto al bilanciamento tra diritti in tema di sicurezza, T. F. Giupponi, La sicurezza e le sue “dimensioni” costituzionali, in Forum di Quaderni Costituzionali, 2008, 19 (anche in anche in S. Vida (a cura di), Diritti umani: trasformazioni e reazioni, Bologna, Bononia University Press, 2008, 275-301) secondo il quale «mentre l’individuazione dell’oggetto di tutela di una libertà è operazione generale e astratta, l’operatività delle specifiche delimitazioni eventualmente previste e, ancora di più, l’eventuale bilanciamento con altri interessi costituzionali appaiono operazioni da attuare concretamente e caso per caso».

[10] Si pensi, al riguardo, alla recente proposta della sindaca di Settimo Torinese, Elena Piastra, la quale ha proposto l’impiego di droni aerei per il controllo e la sicurezza del territorio. In particolare, si veda G. Grosso, Sicurezza: «Droni per sorvegliare la città». L’idea contro vandali e ladri, articolo del 30 aprile 2024 disponibile all’indirizzo www.torinocronaca.it.

[11] Solo a titolo di esempio, E. Grosso, È compito della Repubblica. Note sul DDL Sicurezza, in Giustizia Insieme, 4 novembre 2024; M. Ruotolo, Su alcune criticità costituzionali del c.d. pacchetto sicurezza (A.S. 1236), in Sistema Penale, 9 ottobre 2024. Ma anche iniziative a livello di studiosi e docenti di materie giuridiche, tra cui quelle ricordate da F. Q., Appello contro il decreto Sicurezza, il testo integrale e i nomi dei firmatari: da Zagrebelsky a De Siervo, in Il Fatto Quotidiano, 27 aprile 2025; Sul “pacchetto sicurezza” varato con decreto-legge, 9 aprile 2025, 1 (documento dell’Associazione italiana dei professori di diritto penale – AIPDP) disponibile sul portale www.questionegiustizia.it

[12] Sul “pacchetto sicurezza” varato con decreto-legge, cit., 1.

[13] Così autorevolmente E. Dolcini, Un Paese meno sicuro per effetto del decreto-legge sicurezza, in Sistema Penale, 15 maggio 2025, il quale esprime un «giudizio critico che già [gli] era stato suggerito da approccio di insieme, concentrato sulle linee di fondo del provvedimento. Il d.l. sicurezza rappresenta un nuovo attacco ai principi fondamentali dello Stato di diritto» poiché «L’enfasi che il d.l. 48/2025 pone sul diritto alla sicurezza sacrifica la sicurezza dei diritti».

[14] Il tema della sicurezza urbana – la cui nozione è ben ricostruita da A. Pajno, Alla ricerca della nozione di “sicurezza urbana”, in Astrid online, 10 settembre 2008 – è stata oggetto di un significativo dibattito in Italia, alimentato da alcune proposte che puntavano ad introdurre le cc.dd. ronde cittadine. In particolare, con disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città, il decreto-legge n. 14 del 2017 (poi convertito con modificazioni dalla legge 18 aprile 2017, n. 48) ha modificato la disciplina consentendo ai comuni di installare telecamere di videosorveglianza per fini di sicurezza urbana. La definizione di sicurezza urbana è però ibrida poiché interseca sia aspetti legati al decoro urbano sia legati alla prevenzione di minacce all’incolumità pubblica, entrando nel campo della sicurezza pubblica.

[15] Si rinvia, per le disposizioni e le indicazioni di dettaglio, a quanto indicato sotto la voce ‘videosorveglianza’ sul portale dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali.



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