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Ottimismo operativo: una chiave per la crescita


L’ottimismo, la speranza nel miglioramento e una visione positiva delle sfide da affrontare, anche nel mondo dell’economia. Sono fattori «cruciali e formidabili» per promuovere lo sviluppo economico dei Paesi, in ogni parte del Mondo.

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Lo rimarca e spiega Luciano Canova, economista e divulgatore, nel suo libro Economia dell’ottimismo, pubblicato da Il Saggiatore, ovvero «perché la speranza evita il fallimento delle nazioni», come indica il sottotitolo.

Se guardiamo allo scenario globale, pur con tutte le sue diseguaglianze, difficoltà e crisi, «non si può certo dire che non siano avvenuti progressi importanti, in molti casi straordinari, rispetto al passato, anche recente», dice Canova a Il Bollettino.

«Una visione carica di fiducia nel domani è già stata fondamentale nella storia del pensiero economico, e può ancora esserlo per noi e il nostro Pianeta. Solo riconoscendo e affrontando i grandi problemi del nostro tempo e proiettandoci oltre, con slancio e positività, potremo trovare soluzioni creative e realmente efficaci».

Ma perché l’ottimismo è così importante per lo sviluppo di un Paese?

«Certo non si tratta di superficialità né di approssimazione. Immaginiamo l’ottimismo come un integratore vitaminico: un elisir che, dosato correttamente, può potenziare la resilienza e migliorare la performance economica di persone e aziende. L’ottimismo operativo – sempre basato sui dati e da essi giustificato  – può alimentare la fiducia nei Mercati e nelle persone, incentivandole a rischiare e innovare. Le controindicazioni ci possono mettere in guardia da un’overdose di ottimismo, l’overconfidence, che porta a ignorare i segnali negativi. Ma i dati economici possono guidare verso un ottimismo fondato, trasformando le crisi in opportunità».

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Per esempio?

«Nel corso degli ultimi due secoli, in tutto il Mondo, si è osservato un trend molto chiaro. Il tasso di povertà è andato calando in termini relativi e assoluti ovunque, con ritmi diversi ma con una dinamica in continuo miglioramento. La mortalità infantile è crollata dappertutto, rendendo il numero di morti entro i cinque anni di età per 100mila abitanti sempre più basso in ogni Paese del Mondo, anche nei contesti più poveri. L’aspettativa di vita media delle persone aumenta, così come il livello di reddito e il tasso di istruzione della popolazione. Anche dal punto di vista ambientale, alcuni dati mostrano una quota crescente di energia generata attraverso il ricorso a fonti rinnovabili. Questi sono fatti, dati, ed è corretto mostrare la loro evidenza».

C’è anche l’altro lato della medaglia…

«Certamente. Allo stesso tempo, tutto ciò non significa che non ci siano problemi enormi da risolvere. Centinaia di milioni di persone restano in condizioni di povertà estrema e questo numero cresce sensibilmente a seconda della linea di povertà presa in considerazione. Considerando il diverso potere d’acquisto di ciascuno Stato, oggi circa l’85% della popolazione mondiale vive con meno di 30 dollari al giorno. Due terzi vivono con meno di 10 dollari al giorno e una persona su dieci con meno di 2 dollari al giorno».

Quindi?

«Il punto chiave è utilizzare, dentro un mondo di complessità, il connettivo logico “E” senza paura. Un dato può mostrare chiara evidenza di un trend in miglioramento, eppure la situazione a esso collegata può rappresentare allo stesso tempo un problema serio per cui è necessario agire ancora alla ricerca di una soluzione. Stare nella complessità delle cose, rispetto all’ottimismo, può dunque voler dire affrontare una situazione gravissima e che necessiti di molteplici interventi per provare a risolvere un problema. Ma al tempo stesso notare che esista una concreta speranza di trovare una soluzione credibile al problema».

Dove porta questo approccio?

«Da un lato, a non sminuire la serietà di una crisi o di un problema, perché si corre il rischio concreto di sottovalutare un rischio e le conseguenze da esso prodotte sulla vita delle persone. D’altra parte, però, è fondamentale un approccio operativamente ottimista che, per esempio, si concretizzi anche nel modo in cui incorniciamo le parole con cui progettiamo il domani, sfuggendo alla logica difficile da gestire dell’urgenza senza alternative. Che non solo non migliora la situazione, ma intacca anche la fiducia e la propensione ad agire».

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Cos’è il World happiness report e perché è importante?

«È un’analisi che analizza il livello di felicità globale e i fattori che lo influenzano. Non si tratta solo di una classifica dei Paesi più felici, ma di uno studio approfondito sul benessere umano. Il primo report è stato pubblicato nel 2012 e la mole di dati raccolta negli anni permette di evidenziare alcuni risultati».

Quali sono?

«Fin dal primo rapporto, i Paesi nordici hanno costantemente dominato le classifiche di felicità. Danimarca, Finlandia, Norvegia, Islanda e Svezia sono regolarmente presenti nelle prime posizioni. Le ragioni di questo successo possono essere attribuite a una combinazione di politiche sociali solide, alto livello di fiducia interpersonale, buon Governo e Stato di diritto. Questi Paesi dimostrano che non è solo il reddito a essere cruciale per il benessere, ma anche la qualità delle istituzioni e il capitale sociale. Il sistema di welfare, per esempio, garantisce servizi essenziali come la sanità e l’istruzione a tutti i cittadini, riducendo le disuguaglianze e migliorando la coesione sociale. Inoltre, questi Paesi vantano un grado elevato di partecipazione civica e trasparenza politica, con bassi livelli di corruzione».

Cosa si può dire, invece, per i Paesi in via di sviluppo?

«Sebbene le nazioni più ricche tendano ad avere livelli di felicità superiori, il World happiness report ha dimostrato che anche i Paesi in via di sviluppo hanno fatto grandi progressi. Il Costa Rica, per esempio, è una nazione che costantemente si colloca tra i primi posti, nonostante un reddito pro capite relativamente basso. Questo suggerisce che fattori come la coesione sociale e un impegno verso politiche ambientali sostenibili possano compensare le risorse economiche limitate. Nel corso degli anni, diversi Paesi africani e dell’America Latina hanno visto migliorare i propri punteggi di felicità. In particolare, grazie all’aumento della speranza di vita e ai miglioramenti nel sostegno sociale. Tuttavia, questi Paesi devono affrontare sfide importanti legate alla disuguaglianza e alla corruzione, che tendono a deprimere i livelli complessivi di benessere. Uno degli aspetti innovativi del report è proprio l’analisi della disuguaglianza nella distribuzione della felicità all’interno dei Paesi…».

Vale a dire?

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«Si è osservato che, mentre la disuguaglianza economica è spesso oggetto di ricerca, quella nella felicità può essere altrettanto importante. Paesi con un’equa distribuzione della felicità tendono a mostrare livelli di benessere complessivamente superiori rispetto a quelli con grandi differenze nelle esperienze soggettive. Chi presenta minore disuguaglianza di felicità, come nel Nord-Europa, tende ad avere anche una forte rete di sostegno sociale e istituzioni che promuovono l’uguaglianza. Al contrario, nelle nazioni in cui la disparità di reddito è alta, si riscontrano anche grandi differenze nei livelli di felicità tra le diverse fasce della popolazione».

Cos’altro emerge?

«Ci sono anche aspetti critici. Per esempio, un trend preoccupante evidenziato negli anni è l’aumento delle emozioni negative in tutto il Mondo. Ansia, depressione e stress sono in crescita, soprattutto tra le popolazioni giovani e nei Paesi più ricchi. Sebbene le nazioni più sviluppate abbiano visto migliorare molti indicatori materiali, ciò non ha necessariamente condotto a un aumento proporzionale della felicità. Questa discrepanza può essere legata a diversi fattori, tra cui l’aumento della precarietà del lavoro, la pressione sociale e la solitudine, accentuate dall’uso massiccio dei social media. Inoltre, in molti Paesi, la mancanza di supporto psicologico adeguato per chi soffre di disturbi mentali ha esacerbato il problema».

Cos’è il Paradosso della felicità?

«Per spiegarlo, possiamo dire che gli Stati Uniti rappresentano un esempio notevole di quello che viene definito il “paradosso della felicità”. Nonostante la crescita economica costante e un aumento significativo del reddito pro capite negli ultimi decenni, i livelli di felicità nel Paese non sono migliorati in modo corrispondente. Al contrario, gli Stati Uniti hanno visto un calo nel ranking della felicità nel corso degli anni. Scendendo dalla undicesima posizione nel 2012 alla diciannovesima nel 2020. Le cause di questa tendenza negativa sono molteplici. Per esempio, la crescente disuguaglianza economica, il declino delle reti sociali e l’aumento della sfiducia nelle istituzioni pubbliche sono fattori determinanti. Inoltre, la crisi sanitaria e il diffuso disagio psicologico, in particolare legato alla dipendenza da oppiacei e altre sostanze stupefacenti, hanno ulteriormente aggravato il quadro». ©️

Intervista tratta dal numero del 15 settembre 2025 de Il BollettinoAbbonati!

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📸 Credits: Canva      





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