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Bolsonaro: sentenza storica per il Brasile


Jair Bolsonaro dovrà scontare 27 anni e tre mesi di carcere per tentato colpo di stato militare. Lo ha stabilito la Corte Suprema brasiliana con una sentenza storica, in cui quattro giudici su cinque hanno ritenuto l’ex presidente colpevole di aver tentato di mantenere illegalmente il potere dopo la sconfitta elettorale del 2022 contro il presidente Luiz Inácio Lula da Silva. La giudice Carmen Lucia ha affermato che vi sono ampie prove che Bolsonaro ha agito “con lo scopo di erodere la democrazia e le istituzioni”. Un quinto giudice, Luiz Fux, ha votato invece per assolvere l’ex capo di stato settantenne da tutte le accuse. Gli avvocati della difesa hanno annunciato che faranno ricorso contro la sentenza davanti alla Corte Suprema nella sua composizione plenaria formata da 11 giudici, anziché nel formato ristretto di cinque magistrati. La Corte Suprema ha condannato anche sette suoi collaboratori, tra cui alcuni militari di alto grado, considerati complici di “trame golpiste” tra cui l’ex ministro della Difesa e compagno di corsa di Bolsonaro nel 2022, Walter Braga Netto; l’ex ministro della Difesa Paulo Sergio Nogueira; l’ex aiutante di campo di Bolsonaro Mauro Cid; il suo consigliere militare Augusto Heleno Ribeiro; l’ex ministro della Giustizia Anderson Torres; l’ex capo della marina Almir Garnier Santos; e l’ex agente di polizia Alexandre Ramagem. Bolsonaro – sul cui capo pende anche l’accusa di essere a capo di un’organizzazione criminale – ha più volte dichiarato la sua intenzione di candidarsi alla presidenza nel 2026, nonostante la Commissione elettorale suprema del Brasile gli abbia precluso la possibilità di candidarsi alle elezioni fino al 2030 per aver diffuso affermazioni infondate sul sistema di voto elettronico nel paese.

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Da Capitol Hill al Planalto?

Molti dei capi di imputazione rivolti contro Bolsonaro e i suoi collaboratori si riferiscono agli attacchi vandalistici dei suoi sostenitori contro i palazzi del potere a Brasilia l’8 gennaio 2023. A quell’epoca il presidente Lula si era insediato da una settimana, mentre il “capitano” era prudentemente emigrato negli Stati Uniti. La capitale del paese fu assaltata da un’ondata di bolsonaristi che distrussero parte del Palazzo presidenziale del Planalto, della sede del Parlamento e della Corte Suprema. Nei modi e per le finalità, l’assalto ricordò molto quanto accaduto al Congresso degli Stati Uniti il 6 gennaio 2021, quando una folla di sostenitori di Trump aveva preso d’assalto Capitol Hill dopo la vittoria di Joe Biden alle elezioni, al punto che molti si chiesero se ad ispirare l’attacco di Brasilia non fossero stati proprio i fatti di Washington di due anni prima. A differenza di quanto accaduto negli Usa, però, da allora molti di coloro che parteciparono all’assalto al Planalto sono stati condannati per direttissima e stanno scontando pene fino a 30 anni di carcere. Ciononostante, Bolsonaro continua ad avere una solida base elettorale e il verdetto è stato accolto con malcontento diffuso dai suoi sostenitori, scesi per le strade di Brasilia nel fine settimana contro quello che reputano un processo politico nei confronti dell’ex presidente.

Una sentenza storica?

Nel quarantesimo anno dalla fine dell’ultima dittatura militare, la sentenza di condanna per Bolsonaro è ritenuta tanto più storica perché è la prima mai deliberata contro un ex presidente per tentato golpe nonostante i numerosi episodi di cui tre vittoriosi. La sua portata riguarda infatti la resilienza della giovane democrazia brasiliana, chiamata a fare i conti con uno dei propri tabù: l’interventismo dei generali in politica. E tuttavia, l’impatto della magistratura nella vita politica del paese non è una novità. Era avvenuto anche in occasione del processo per il maxi-scandalo di corruzione “Lava Jato” che, una decina di anni fa, aveva travolto il centrosinistra e lo stesso Lula, infine scagionato. Il protagonismo dei giudici, al di là del contenuto, mette in luce una debolezza strutturale della democrazia brasiliana: la debolezza di un Congresso perennemente frammentato, dominato da micro partiti senza programma né obiettivi specifici, ma senza il cui sostegno nessun presidente può governare. Il risultato sono infinite contrattazioni che, spesso, si risolvono in un nulla di fatto. Un fenomeno ulteriormente acuito durante l’attuale presidenza Lula – la terza -, dove la preponderanza delle forze conservatrici, più o meno estremiste, è schiacciante.

Scontro con Trump?

Non si è fatto attendere il commento di Donald Trump, amico e alleato di Jair Bolsonaro che ha parlato di “condanna sorprendente”, affermando che quanto avvenuto al leader brasiliano è quanto “hanno cercato di fare” con lui. Il sostegno del presidente degli Stati Uniti nei confronti dell’ex leader brasiliano non si limita alle parole: Trump ha colpito il Brasile con un dazio effettivo del 27% (il dazio nominale minacciato era del 50%) tra i più alti imposti nell’ambito della sua guerra tariffaria globale, intimando sanzioni al giudice presidente della Corte Suprema brasiliana, Alexandre de Moraes, e revocando i visti alla maggior parte dei giudici del massimo tribunale brasiliano. “Continuano le persecuzioni politiche da parte di Alexandre de Moraes, un violatore dei diritti umani sanzionato, mentre lui e altri membri della Corte suprema del Brasile hanno ingiustamente deciso di incarcerare l’ex presidente Jair Bolsonaro”, ha affermato oggi il Segretario di Stato americano Marco Rubio, aggiungendo che gli Stati Uniti “risponderanno di conseguenza a questa caccia alle streghe”. Altrettando immediata è giunta la controreplica del presidente brasiliano Lula da Silva che, denunciando la richiesta di Trump alla Corte suprema di sospendere il caso contro Bolsonaro per annullare l’aumento del 50% dei dazi al Brasile come “un ricatto”, ha dichiarato: “Se il presidente Trump vivesse in Brasile e avesse fatto quello che (Bolsonaro) ha fatto sarebbe sotto processo anche lui. Perché qui la legge vale per tutti”.

Il commento

Di Emiliano Guanella, corrispondente da San Paolo (RSI – Tv Svizzera e La Stampa)

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“La condanna di Bolsonaro era scontata, più difficile capire cosa succederà adesso in Brasile. La destra promette battaglia in Parlamento, dove potrebbe avere i numeri per imporre una legge di amnistia. La Corte Suprema, di fatto, apre i giochi per le presidenziali del prossimo anno. Il Brasile si scopre di nuovo diviso, considerando che l’ex presidente ha ancora un discreto seguito di fedelissimi che saranno decisivi per la candidatura di centro destra che affronterà Lula da Silva”.



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