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come i data center stanno ridisegnando la politica energetica europea


La nuvola digitale non è fatta solo di bit. Dietro ogni clic e ogni algoritmo ci sono capannoni che divorano elettricità e milioni di litri d’acqua, piantati nei sobborghi di Milano, Francoforte o Dublino. I data center, un tempo invisibili, sono oggi diventati protagonisti della politica energetica europea, tra attrazione di capitali globali e proteste delle comunità locali. La vera partita non si gioca più solo sul cloud, ma sul terreno — fatto di risorse, infrastrutture e consenso sociale.

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Boom data center: domanda globale e nuova geoeconomia digitale

Il mercato dei data center è entrato in una fase di espansione esponenziale. Secondo CBRE, la capacità complessiva dei principali hub europei (Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi – il cosiddetto “FLAP”) ha superato i 3.000 MW nel 2024, con ulteriori 1.200 MW in pipeline entro il 2026. A questi si aggiungono poli emergenti come Milano, Roma e Madrid, che stanno rapidamente conquistando un ruolo di hub secondari nel Mediterraneo.

Non è solo una questione di cloud tradizionale: l’arrivo dell’intelligenza artificiale generativa e la diffusione del 5G richiedono capacità computazionale massiva e bassa latenza. Per questo i data center diventano infrastrutture geopolitiche, paragonabili a porti o aeroporti: luoghi fisici da cui passa il futuro della sovranità digitale europea.

Consumi e impatti ambientali: il lato nascosto della nuvola

Dietro l’immagine leggera del “cloud” si nasconde una fisicità energivora. I data center europei consumano oggi circa 90 TWh all’anno, pari al 3% della domanda elettrica dell’Unione Europea (fonte: IEA). Le proiezioni parlano di un raddoppio entro il 2030, con i modelli di AI come principale driver.

Il consumo idrico è altrettanto critico: un singolo campus iperscale può utilizzare oltre 1,5 milioni di litri di acqua al giorno per il raffreddamento. In Irlanda, il 20% della capacità elettrica nazionale è assorbito dai data center, mentre nei Paesi Bassi i progetti Meta e Microsoft sono stati bloccati dopo proteste per la sottrazione di risorse idriche e suolo agricolo. Questi casi mostrano il paradosso: infrastrutture digitali essenziali rischiano di minare proprio gli obiettivi climatici che dovrebbero sostenere.

Italia: progetti a Roma e Milano tra opportunità e zone d’ombra

L’Italia si posiziona come nuovo hub strategico del Mediterraneo. Secondo l’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano, il mercato italiano del cloud ha raggiunto 5,5 miliardi di euro nel 2024, con una crescita annua del 19%. Milano attrae investimenti record: AWS, Microsoft e Google hanno ampliato le loro regioni cloud, mentre operatori locali come Aruba stanno costruendo campus a basso impatto ambientale.

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Roma si concentra sulla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e della difesa, rendendo i data center un tema di sovranità tecnologica nazionale. Tuttavia, il dibattito sull’impatto ambientale resta debole: a differenza di Paesi Bassi e Irlanda, l’Italia non ha introdotto moratorie o limiti specifici, e il rischio è che il Paese accolga investimenti strategici senza una governance adeguata sugli effetti territoriali.

Soluzioni sostenibili: tra innovazione tecnologica e vincoli di costo

Le big tech e alcuni operatori europei stanno sperimentando soluzioni più sostenibili. Il raffreddamento a liquido diretto riduce i consumi fino al 40% rispetto ai sistemi tradizionali ad aria. In città come Stoccolma e Copenaghen, il calore di scarto dei data center viene reimmesso nelle reti di teleriscaldamento urbano, riscaldando decine di migliaia di abitazioni.

Sul fronte energetico, cresce il ricorso ai Power Purchase Agreements (PPA) con produttori di rinnovabili. Microsoft e Google hanno firmato contratti ventennali per garantire che i propri data center europei siano alimentati al 100% da solare ed eolico. Tuttavia, i costi rimangono un ostacolo: queste soluzioni comportano un incremento medio del 25% dei capex iniziali, sostenibile solo per gli hyperscaler, non per i provider regionali. Il rischio è quello di creare un mercato duale, con giganti globali “green” e player locali più esposti a modelli tradizionali e meno sostenibili.

Politiche locali: moratorie, governance e conflitti territoriali

La gestione politica dei data center varia notevolmente tra i Paesi europei. In Irlanda, la concentrazione di progetti ha portato a un blocco di fatto delle nuove autorizzazioni nell’area di Dublino, mentre nei Paesi Bassi il caso del mega-campus Meta ha spinto a introdurre limiti nazionali di consumo energetico.

Queste misure rivelano una nuova realtà: i data center non sono solo asset tecnologici, ma infrastrutture critiche da inserire nella pianificazione energetica nazionale. La Commissione Europea, nel suo piano “Digital Decade 2030”, ha fissato l’obiettivo di rendere i data center climaticamente neutri entro il 2030. Ma senza armonizzazione normativa, il rischio è di creare un mosaico disomogeneo: Paesi attrattivi ma saturi, e altri in ritardo ma privi di regole.

Verso un modello europeo di data center sostenibili

I data center sono diventati la nuova questione energetica d’Europa. La sfida non è più se costruirli, ma come renderli sostenibili. La loro espansione rischia di trasformarsi in un “carbone digitale” se non integrata in una visione sistemica che coniughi crescita, innovazione e transizione verde.

Per questo l’Europa deve definire un modello unitario, basato su:

  • standard comuni di efficienza energetica e idrica
  • strumenti digitali di monitoraggio ESG (AI, IoT, blockchain)
  • incentivi fiscali legati a investimenti in rinnovabili
  • governance multilivello tra istituzioni UE, governi nazionali e comunità locali.

L’Italia, ancora in fase di sviluppo, ha l’opportunità di imparare dagli errori altrui e posizionarsi come laboratorio di data center green mediterranei. Perché, come la rivoluzione industriale ha reso centrali le fabbriche, la rivoluzione digitale ha reso centrali i data center. E questa volta il successo non dipenderà solo dalla capacità installata, ma dalla capacità di conciliare potenza computazionale, sostenibilità e consenso sociale.

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