La strada per tornare a crescere è ormai segnata: investire nella managerializzazione. Per migliorare l’efficienza e l’efficacia, le imprese familiari italiane dovranno introdurre competenze manageriali dal mercato. Coinvolgendo anche dirigenti provenienti dalle multinazionali, se necessario. Professionisti che vogliono affrontare una nuova sfida o anche solo avvicinarsi a casa dopo anni passati all’estero. Il livello di competitività nella ricerca e selezione di figure dirigenziali di alto livello resta elevato. Soprattutto se si vogliono strappare talenti a realtà che hanno una maggiore forza in termini di retention del top management.
Multinazionale o pmi? Una scelta lavorativa e di vita
Ma se le multinazionali offrono spesso maggiore stabilità e risorse, le imprese familiari italiane hanno ancora qualche asso nella manica da giocare: la promessa di un’esperienza professionale più gratificante, per esempio, o di un ruolo più centrale nello sviluppo dell’azienda. Restare al passo non sarà comunque facile. Vale per le imprese italiane grandi e medio grandi. Ma soprattutto per le migliaia di pmi che costituiscono la spina dorsale dell’industria italiana. Il contesto congiunturale, caratterizzato da una forte spinta alla rilocalizzazione della produzione, è tuttavia favorevole. E anche alcune tendenze che stanno emergendo sul mercato del lavoro di fascia alta, dal nearworking (lavorare vicino casa) alla ricerca di un maggiore impatto, autonomia e crescita in un ambiente meno strutturato e più dinamico. Del resto, la rimonta del made in Italy nell’attrazione dei talenti è appena iniziata.
Secondo gli ultimi dati ufficiali Inps aggiornati al 2023 ed elaborati da Manageritalia per Business People, i dirigenti privati risultano infatti in aumento del 2,6%. Un incremento annuale che rafforza la crescita dei quattro anni precedenti, proprio quelli delle poli-crisi, arrivati dopo il forte calo (-5%) che ha caratterizzato il decennio 2008-2018. La crescita dei dirigenti si conferma anche nel 2024. I dati relativi al solo terziario privato confermano l’aumento con un +5% (+4% gli uomini e +9% le donne). «Un dato che la dice lunga sulle colpe che la scarsa managerializzazione ha avuto nell’asfittica crescita di Pil, occupazione e retribuzioni degli ultimi decenni. Numeri che dimostrano chiaramente come, proprio in tempo di crisi, gli imprenditori e le aziende italiane abbiano capito che senza managerialità non si cresce e non si compete e non si superano ostacoli e difficoltà, come quelle di questi ultimi anni», spiegano gli esperti di Manageritalia.
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Da Adidas a Fileni: il caso di Simone Santini
L’ingresso di dirigenti apicali dalle multinazionali può, infatti, aiutare le grandi imprese familiari a crescere in modo strutturato, grazie anche a una maggiore standardizzazione dei processi e all’implementazione di strategie di medio e lungo periodo. Il gruppo alimentare Fileni nell’aprile 2020, nel mezzo della pandemia di Covid-19, ha reclutato Simone Santini, manager con 14 anni trascorsi in Adidas, dopo un’esperienza nella francese L’Oréal. Nel gruppo tedesco Santini ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità, fino a diventare responsabile delle vendite per il Sud Europa e Vice President Sales, ottenendo importanti risultati in termini di crescita del business dei marchi Adidas e Reebok attraverso una strategia integrata omnichannel. Entrato come Chief Commercial Officer, è diventato direttore generale di Fileni nel 2022. Dal suo arrivo cinque anni fa, il gruppo marchigiano è passato da un fatturato di 431 milioni di euro a 612 milioni di euro nel 2024 con nove stabilimenti e circa 2.200 dipendenti. Il suo mantra è: non rimanere ingabbiati nel problem solving e adottare una visione di medio e lungo periodo.
«Nelle imprese italiane», racconta Santini, «si possono trovare dirigenti straordinari ma focalizzati nella gestione dell’ordinario e che poi magari fanno fatica a guardare un po’ più in là. È invece fondamentale adottare un metodo di lavoro che si ponga obiettivi a medio-lungo termine, altrimenti si rischia l’effetto “criceto nella ruota”: pensi di andare avanti mentre invece non ti stai muovendo di un centimetro, cioè non stai creando davvero valore per l’azienda. Il metodo di lavoro strutturato è inoltre fondamentale per stabilire una linea di fiducia con la proprietà, mostrando i risultati e dando forza e credibilità alle proprie azioni».
Rispetto alle grandi multinazionali, le imprese familiari italiane, secondo Santini, hanno una marcia in più: una linea decisionale più veloce. «Questo», prosegue, «permette di poter far accadere le cose con una certa rapidità e flessibilità. Cosa più difficile nelle grandi multinazionali con sede principale all’estero, dove i processi sono ovviamente più rigidi e con molti più passaggi. D’altra parte, un’altra differenza è il metodo di lavoro, un aspetto su cui i manager devono lavorare tantissimo. Le aziende italiane sono spesso focalizzate sul day-by-day e non agiscono sulla base di un piano strategico strutturato. La difficoltà quindi all’inizio è portare un gruppo di lavoro a condividere una cultura e un metodo su obiettivi a medio- lungo termine». Non solo le grandi imprese del made in Italy.
L’esperienza di Maurizio Fiorani
L’esperienza nelle multinazionali può tornare utile anche a chi, dopo anni passati in grandi gruppi, prende poi il timone di una pmi. Come Maurizio Fiorani, dirigente con un passato trascorso in aziende quotate della stazza di Merloni Termosanitari e della tedesca Villeroy & Boch. Nel 2007 ha deciso di dedicarsi allo sviluppo delle piccole e medie imprese italiane nei più disparati settori: dall’arredamento alla cosmesi fino alle plastiche e alle lavorazioni meccaniche. «La curiosità mi ha spinto a esplorare il mondo delle pmi portando quello che era il mio know how acquisito nell’esperienza delle multinazionali», racconta a Business People. Manager e docente universitario, Fiorani nel 2014 è approdato in Conti Valerio, un’azienda fiorentina che produce macina-caffè con lo storico marchio Eureka. Dal suo ingresso undici anni fa, il giro d’affari è schizzato da 4 a 60 milioni di euro nel 2024, derivante per il 98% dalle esportazioni, con oltre 200 mila macina-caffè prodotti. Conti Valerio oggi investe il 5% del fatturato annuo in ricerca e sviluppo. Nel biennio 2018-2024 ha depositato otto nuovi brevetti tecnologici; nel 2023 ha aperto uno stabilimento produttivo a Ningbo, in Cina, dedicato alla produzione per il mercato asiatico.
«Nelle multinazionali ho imparato a lavorare a livelli alti, confrontandomi con le più moderne tecniche di management. Ma non mi piaceva essere parte di una sorta di periferia del regno: il peso specifico di una filiale come quella italiana, per quanto importante, era permeato da dinamiche di performance assoluta e altissima competizione interna», prosegue Fiorani. La sua ricetta? Puntare sulle persone, soprattutto sulle nuove generazioni. «Mi sono trasformato in coach, una specie di mentore», dice «che si unisce alla figura di direttore generale. Ho inserito in organico i giovani sia nell’area tecnica sia nell’area marketing e commerciale. Trasferire competenze e metodo di lavoro mi ha permesso di ottenere risultati di team mai visti prima in quest’azienda».
Dalla multinazionale all’azienda familiare: il percorso di Claudio Stefani Giusti
La gavetta nelle multinazionali, fatta di metodo, rigore, gestione di progetti complessi, analisi dei dati e pressione delle scadenze, è una tappa “necessaria” ormai anche per chi si ritrova a ereditare e guidare un’azienda di famiglia. Claudio Stefani Giusti è amministratore delegato e proprietario dell’Acetaia Giusti di Modena. Dopo la laurea in Ingegneria gestionale, ha iniziato la carriera in Accenture, dove ha trascorso otto anni come consulente direzionale, seguendo clienti del calibro di Carrefour, Barilla, Nestlé, Illy, San Pellegrino Baxter, Johnson & Johnson e Volvo. «Mi trovavo bene, anzi, stavo lavorando a un progetto a Parigi dove coordinavo un team di dieci consulenti per la reingegnerizzazione di una parte dell’area finance di Volvo. Ma in quel momento ha cominciato a farsi strada un’altra sfida: prendere in mano una piccola realtà di famiglia e provare a trasformarla», racconta a Business People. Dopo anni passati all’estero, ha provato a gestire un’azienda italiana integrando idee, valori e stili manageriali appresi oltreoceano.
«Cercavo di realizzare una crasi: da una parte, ciò che ci rende unici in Italia, la passione, l’artigianalità, la cura per il prodotto, l’empatia, la creatività, la capacità di risolvere problemi, l’improvvisazione. Dall’altra, le capacità tipicamente anglosassoni: la programmazione, la pianificazione strategica, il pensiero di lungo periodo, la leadership intesa come costruzione di contesto e cultura», prosegue Giusti. Nel 2005 è entrato in Acetaia, all’epoca in maggioranza a una parte della famiglia che non vi lavorava attivamente.
Dal suo ingresso in azienda, di cui ha acquisito la proprietà nel 2015, il fatturato è passato da 1,5 milioni a 21 milioni di euro nel 2024, i dipendenti da cinque a quasi 100. I suoi prodotti oggi sono presenti in oltre 80 Paesi con quattro filiali: New York, Monaco, Seoul e Hong Kong. «Guidare una pmi, rispetto a un ruolo, anche prestigioso, in una multinazionale, è più stimolante e sì, spesso anche più divertente. Perché in una piccola realtà vedi l’impatto diretto delle tue scelte, delle tue idee e delle tue parole. Sei costretto a essere presente, a fare scelte strategiche ma anche ad ascoltare le persone, motivarle, farle crescere», ammette Giusti. Già, forse sarà proprio mutuando le strategie adottate nei contesti internazionali, ma adattandole al contesto italiano, che il made in Italy potrà migliorare la propria resilienza. Importando insomma dalle multinazionali visione e metodo, ma lasciando fuori tutto ciò che le appesantisce: burocrazia, lentezza, eccesso di controllo.
Un gap tutto italiano
Una maggiore managerializzazione delle imprese tricolori porterebbe solo vantaggi. Ne è convinto Marco Ballarè, presidente di Manageritalia
In Italia abbiamo una presenza manageriale dimezzata rispetto ai principali competitor. La media nazionale di numero di dirigenti ogni 100 lavoratori dipendenti nel settore privato è pari a 0,9, con lo 0,2-0,3 al Sud e l’1,7 in Lombardia, addirittura il 2,5 a Milano. Siamo quindi ben lontani dai nostri principali competitor europei: Francia, Spagna e Germania sono al 2-3, con i quali anche territorialmente ci confrontiamo ogni giorno. Il nostro gap insomma sta proprio nella scarsa presenza di imprese strutturate e di una certa dimensione. E ancor più nella ritrosia delle nostre imprese familiari, le pmi, a introdurre manager esterni ai familiari dell’imprenditore. Anche a introdurre e nominare donne manager. Ne è convinto Marco Ballarè, presidente di Manageritalia.
Perché le imprese italiane crescono poco?
Se l’economia italiana vuole riprendere a crescere in modo strutturale dobbiamo managerializzare maggiormente le nostre pmi. Le imprese familiari italiane hanno un peso non difforme da quello dei principali competitor e partner europei, 86% del totale in Italia e 82% in media in Europa. Quello che le differenzia è proprio il gap della presenza manageriale.
E come si pone l’Italia rispetto agli altri Paesi europei?
Il confronto con i principali competitor esteri trova proprio nella scarsa presenza di manager esterni alla famiglia dell’imprenditore il gap competitivo che poi incide sulla capacità di innovare, competere e crescere. Da noi solo il 28% delle imprese familiari ha manager esterni, contro il 70% nei più avanzati e competitivi Paesi europei. Quindi, dobbiamo incentivare questa presenza e questo salto culturale, perché spesso anche per i dirigenti che vengono da un’esperienza in multinazionali questi nuovi incarichi danno parecchie soddisfazioni in termini di sfide professionali.
Che cosa si può fare per attrarre un numero maggiore di manager?
All’azienda servono anche strumenti di attrazione e fidelizzazione. E il nostro Ccnl dirigenti terziario lo è a tutti gli effetti. Infatti, negli ultimi 40 anni i dirigenti privati sono cresciuti del 20% e quelli, all’interno di questi, che hanno uno dei nostri contratti sono raddoppiati. Dobbiamo insistere e lo faremo, ma serve una forte collaborazione da parte di tutti, anche delle istituzioni che devono incentivare questo passaggio che è determinante anche per gestire al meglio i passaggi generazionali nelle pmi e aziende familiari.
Questo articolo è stato pubblicato su Business People di settembre 2025, scarica il numero o abbonati qui
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