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senza unità l’Europa perde peso globale


(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)

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Dazi, guerre e crisi energetiche: le fratture del mondo ridisegnano ogni giorno la geografia del potere. Gli Stati Uniti e la Cina si sfidano a colpi di dazi e sussidi miliardari, la guerra in Ucraina continua a bruciare risorse e certezze, i Paesi emergenti reclamano un ruolo crescente. In mezzo a queste faglie, l’Europa sembra ancora esitante, prigioniera delle proprie lentezze e delle divisioni interne.
È qui che Letizia Moratti, ex sindaca di Milano e oggi europarlamentare del Partito Popolare Europeo, lancia un avvertimento netto: «O ci muoviamo insieme, oppure rischiamo l’irrilevanza».

Perché crescita, competitività, neutralità tecnologica, per Moratti non sono slogan, ma le tre condizioni di sopravvivenza per un continente che fatica a trasformare ambizioni da superpotenza in scelte concrete. La crescita arranca, i capitali faticano a circolare, la transizione verde divide governi e imprese. Intanto, l’Europa continua a oscillare tra grandi parole e lentezze burocratiche che paralizzano ogni slancio.

In questo quadro, Moratti richiama il PPE, ancora prima forza in Europa ma privo – a suo dire – della necessaria capacità propositiva. Lo fa da Port-Marly, alla Rentrée politique dei Républicains, davanti a un pubblico che invoca risposte non più rinviabili: dal completamento del mercato unico dei capitali ed energia, alla difesa dell’industria automobilistica, fino alla necessità di una leadership europea meno ideologica e più pragmatica. Un nodo che ieri è tornato al centro anche con il discorso sullo Stato dell’Unione di Ursula von der Leyen, accolto tra applausi e critiche, e che per Moratti resta il vero banco di prova: dare una direzione chiara all’Europa in un momento di trasformazioni epocali.
Perché la vera questione, avverte, non è più “se” l’Europa debba contare nel mondo, ma “come” e “quanto”. E il tempo a disposizione non è infinito.

LEuropa esce da anni di crisi multiple: pandemia, guerra, inflazione. Qual è oggi la vera bussola della politica economica europea?
«La bussola deve tornare a essere la crescita. Dopo la pandemia, il conflitto in Ucraina e l’inflazione, i cittadini chiedono risposte concrete: lavoro, stabilità, sicurezza sociale. Alla Rentrée politique 2025 dei Républicains di domenica scorsa, insieme ai colleghi Bellamy, Gotink e Vincze, abbiamo ribadito la centralità del Partito Popolare Europeo, che resta la prima forza politica dell’Unione, ma deve recuperare la capacità propositiva. L’Europa deve completare il mercato unico dei capitali e dell’energia, investire nei giovani e nell’innovazione, eliminando quei vincoli che minano la crescita. Come ho detto a Port-Marly, nessun Paese europeo, da solo, può affrontare la competizione con Stati Uniti, Cina o India. Un’Europa divisa è irrilevante, un’Europa unita è un attore globale.»

LUE resta ancora frammentata sul fronte finanziario. Quanto pesa la mancata unione dei mercati dei capitali sulla competitività europea?
«È un handicap pesante. Senza unione dei mercati dei capitali, le nostre imprese hanno meno possibilità di attrarre risorse rispetto ai concorrenti americani e asiatici. Una start-up europea ha più difficoltà di una americana a crescere perché manca un ecosistema finanziario integrato. Per sostenere la transizione digitale e quella verde servono capitali, e oggi siamo indietro. La priorità è completare l’unione bancaria e realizzare finalmente un vero mercato dei capitali europeo, come prevede l’agenda del PPE. Interverrei anche in materia di diritto fallimentare, prevedendo misure simili al chapter 11 americano. Un fallimento non deve essere la pietra tombale di un imprenditore, ma semmai un’occasione per rilanciarsi. Solo così potremo dare alle imprese strumenti di crescita per competere e rendere l’Europa attrattiva per investitori e innovatori.»

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Con il ritorno dei dazi negli scambi globali, soprattutto tra Usa e Cina, quali rischi e quali opportunità si aprono per lEuropa?
«Il ritorno dei dazi rappresenta un rischio serio per un continente che vive di export. Ma apre anche una finestra strategica: diventare un terzo polo nel teatro geopolitico ed economico globale, autonomo ed equilibrato. Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo riacquistare credibilità politica ed economica, partendo innanzitutto dalla rimozione degli ostacoli interni alla crescita e il potenziamento della domanda interna. Allo stesso tempo, dobbiamo evitare guerre commerciali, ma difendere con decisione le nostre imprese da dumping e pratiche sleali. L’UE deve essere aperta al commercio globale, basato su reciprocità e condizioni eque. In questo quadro, Made in Italy e Made in Europe possono diventare protagonisti se l’Unione saprà difendere i propri interessi con unità e pragmatismo.»

Lindustria automobilistica è un fiore allocchiello europeo ma è sotto pressione tra transizione elettrica e concorrenza cinese: lUE sta facendo abbastanza per difendere il settore?
«L’automotive è uno dei pilastri industriali europei. La transizione elettrica è un’opzione valida, ma non è l’unica. La decarbonizzazione non può trasformarsi in un regalo alla Cina. Non possiamo imporre obiettivi irrealizzabili per tempi e contenuti, senza peraltro garantire infrastrutture adeguate, reti di ricarica, ricerca sulle batterie e sostegno all’innovazione. Dobbiamo accompagnare le imprese e proteggere l’industria europea da pratiche di dumping. Non si tratta di rallentare il cambiamento, ma di guidarlo verso la neutralità tecnologica: dobbiamo usare tutte le opzioni disponibili per combattere l’inquinamento, sì all’elettrico, ma anche all’ibrido e ai carburanti alternativi come i biofuels. La vera sfida è rendere la transizione sostenibile economicamente, socialmente equa e soprattutto europea.»

Energia e trasporti sono due leve cruciali per la competitività: lEuropa ha una strategia coerente o resta ostaggio delle crisi geopolitiche?
«Lo shock energetico degli ultimi anni ci ha mostrato quanto sia rischiosa la dipendenza da fornitori esterni. L’Europa deve costruire una strategia coerente, investendo nelle interconnessioni, nelle rinnovabili, nell’idrogeno e nel nucleare di nuova generazione. Energia a prezzi accessibili è condizione di competitività e giustizia sociale. Allo stesso tempo, nei trasporti occorre una rete moderna e integrata, logistica intelligente, più alta velocità ferroviaria. Ma dobbiamo essere ancora più ambiziosi, riformando e integrando il mercato dell’energia per abbassare i prezzi nell’immediato: competitività significa avere sistemi che funzionano e che sostengono famiglie e imprese, non che le penalizzano.»

Ursula von der Leyen è sotto pressione, tra mozioni di sfiducia e accuse di eccessiva concessione agli Stati Uniti. Qual è, secondo lei, il vero banco di prova della sua capacità di guidare ancora lEuropa?
«Le critiche fanno parte del dibattito politico. Il suo discorso sullo Stato dell’Unione è stato un appello forte alla responsabilità di tutti per costruire un’Europa più solida, coesa e indipendente. Ma ha deluso in tema di Green Deal confermando gli obiettivi 2030 e 2040. Troppa ideologia e poco realismo non tutelano la competitività e l’occupazione. Ci vuole un radicale cambio di passo. In un momento di grandi trasformazioni, l’Europa ha bisogno di una leadership capace di offrire una visione, di unire invece di dividere e di riaffermare la nostra autonomia strategica. Non è questione di resistere a un voto di sfiducia, ma di dare una direzione autorevole, chiara e pragmatica. È su questo che si misura la credibilità di chi guida la Commissione europea.»

Il Rapporto Draghi ha lanciato un allarme forte sulla perdita di competitività europea: qual è, secondo lei, la priorità numero uno che lEuropa deve affrontare subito?
«Draghi ha avuto il merito di dire con chiarezza che stiamo perdendo terreno. La priorità assoluta è rilanciare la produttività e la competitività. Ciò significa ridurre la burocrazia, semplificare le regole, investire in tecnologia, ricerca e formazione. Significa anche un mercato unico completato, senza barriere e frammentazioni che rallentano le imprese. Ogni mese di ritardo significa opportunità perse e aziende che rischiano di delocalizzare. La competitività non è un concetto tecnico, è la condizione stessa per garantire benessere, occupazione e coesione sociale. E per tenere viva la fiducia dei cittadini nel progetto europeo».





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