Con l’imminente apertura dei frantoi, il comparto olivicolo italiano è sempre più in tensione per l’entrata in vigore del Decreto Ministeriale n. 460947 del 18 settembre 2024, che impone ai commercianti di olive l’obbligo di consegnare la materia prima ai frantoi entro sei ore dalla raccolta e di registrare l’operazione nel registro telematico dell’olio entro lo stesso termine. Secondo il Ministero dell’Agricoltura, la misura è finalizzata a rafforzare la tracciabilità, contrastare le frodi e tutelare la qualità dell’olio extravergine, ma essa solleva numerosi dubbi giuridici e operativi, tali da generare potenziali squilibri di sistema.
Il decreto trova applicazione nei confronti di tutte le imprese che acquistano e vendono olive destinate alla produzione di olio, incluse le Organizzazioni di Produttori (OP) che operano come intermediari. Ne restano esclusi i frantoi, anche qualora svolgano operazioni di acquisto e vendita, e gli olivicoltori che conferiscono esclusivamente olive di propria produzione. Diversamente, l’olivicoltore che acquisti da terzi assume la qualifica di commerciante e ricade negli obblighi del decreto. Il termine delle sei ore decorre dalla fine della raccolta, in caso di frutto pendente, o dall’acquisizione del primo lotto, in caso di partita massale.
Molti osservatori hanno segnalato criticità di legittimità costituzionale, in particolare, l’art. 3 della Costituzione, che sancisce il principio di uguaglianza, sembrerebbe vulnerato dalla scelta di assoggettare i commercianti e non i frantoi al vincolo temporale, nonostante entrambi possano svolgere analoghe operazioni di acquisto e vendita.
Abbiamo poi l’art. 41 della Costituzione, che tutela la libertà di iniziativa economica, e potrebbe dirsi compromesso, giacché un termine rigido di sei ore rischia di comprimere l’autonomia organizzativa delle imprese, soprattutto di quelle che operano su scala interregionale o nazionale.
La stessa Corte costituzionale ha più volte ribadito che le restrizioni all’attività economica privata debbano essere proporzionate e giustificate da interessi pubblici prevalenti: la Corte Costituzionale, sentenza n. 85 del 2013 ha affermato la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.) , ancora la Corte Costituzionale, sentenza n. 1 del 2019 ha richiamato nuovamente il principio di proporzionalità e ragionevolezza, chiarendo che ogni compressione della libertà economica deve essere giustificata da esigenze costituzionalmente rilevanti e non può eccedere quanto strettamente necessario. La pronuncia riguardava la disciplina degli orari degli esercizi commerciali, ma il principio vale in generale: lo Stato può intervenire per tutelare interessi generali, purché le misure non siano arbitrarie o eccessive rispetto al fine.
Dal punto di vista europeo, la disciplina si scontra con l’art. 34 TFUE, che vieta restrizioni quantitative e misure di effetto equivalente, e il vincolo delle sei ore può, infatti, ostacolare la libera circolazione delle merci e rendere meno competitivo l’ingresso di operatori esteri.
Anche l’art. 5 TFUE, che consacra il principio di proporzionalità, sembra rilevante: la misura appare più gravosa di quanto necessario, laddove esistono alternative meno restrittive, come sistemi di certificazione digitale o analisi chimiche di controllo.
Sul piano civilistico ed economico, il decreto utilizza la nozione di “commerciante di olive” senza precisarne i criteri di qualificazione. La classificazione ATECO, infatti, colloca i frantoi nel codice 10.41.10, attività manifatturiera, e i commercianti nel 46.31.00, commercio all’ingrosso di frutta e ortaggi.
A questo punto se un frantoio svolge prevalentemente attività di intermediazione, sarebbe coerente assoggettarlo agli stessi obblighi previsti per i commercianti, la mancata uniformità espone la norma a potenziali contestazioni.
Non mancano, tuttavia, interpretazioni diverse a sostegno della legittimità del decreto. Secondo alcuni, l’interesse pubblico alla tutela della qualità dell’olio e alla lotta alle frodi può giustificare limiti stringenti all’iniziativa economica privata. Altri ritengono che la distinzione tra commercianti e frantoi sia ragionevole, poiché gli intermediari, diversamente dai trasformatori, introducono un maggior rischio di opacità nella filiera.
Dal punto di vista del diritto europeo, l’obbligo delle sei ore potrebbe essere interpretato come misura tecnica giustificata dall’art. 36 TFUE, che consente restrizioni alla libera circolazione per motivi di tutela della salute o dei consumatori.
Si sottolinea, ancora, come lo Stato disponga di un ampio margine di discrezionalità nel regolare la materia agroalimentare, e che sei ore possano non essere considerate un vincolo sproporzionato, qualora supportate da evidenze scientifiche sul rapido deterioramento delle olive dopo la raccolta.
Il settore resta, nondimeno, perplesso. Molti operatori lamentano la riduzione della capacità di contrattazione, le difficoltà per gli oleifici che effettuano miscelazioni di olive destinate ai mercati esteri e il rischio di penalizzare gli operatori che operano su larga scala.
“La tracciabilità è fondamentale, ma sei ore sono un vincolo insostenibile per chi lavora su scala regionale” è una delle voci più ricorrenti tra gli addetti ai lavori.
In conclusione, il Decreto 460947/2024, pur animato da finalità condivisibili, appare caratterizzato da criticità di legittimità e applicazione pratica, può, tuttavia, essere difeso sulla base della discrezionalità regolatoria e dell’interesse pubblico alla qualità e alla sicurezza alimentare.
Resta però urgente un chiarimento normativo che sappia conciliare equità, sostenibilità economica e tutela del prodotto. Nell’attesa di eventuali correttivi, il comparto olivicolo rimane sospeso – sei ore – che, in questo caso, fanno davvero la differenza.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link