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Chat Control: quando la protezione dei minori sfida la riservatezza digitale


Nell’autunno del 2025 si prepara ad approdare al Consiglio dell’Unione Europea una proposta di regolamento nota con l’appellativo mediatico di “Chat Control” – che, se approvata, ridisegnerebbe dalle fondamenta l’architettura giuridica e tecnica delle comunicazioni digitali.

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Si tratta di una misura che si presenta formalmente come strumento di contrasto alla diffusione online di materiale pedopornografico e come risposta all’esigenza, difficilmente contestabile sul piano etico e politico, di proteggere i minori nello spazio digitale.

L’idea sottesa è quella di obbligare tutti i principali fornitori di servizi di messaggistica, da WhatsApp a Signal fino a Telegram, nonché le piattaforme social, a introdurre sistemi di scansione preventiva dei messaggi, delle immagini e dei file scambiati tra utenti, così da rilevare contenuti potenzialmente illeciti prima ancora che vengano cifrati e trasmessi.

Chat Control: rischi per la riservatezza delle comunicazioni

Si tratta di un passaggio tecnico che appare marginale ai più – la scansione “lato client” prima della crittografia end-to-end – in realtà contiene la potenzialità di sovvertire la promessa stessa di riservatezza che da sempre sorregge la comunicazione privata.

Infatti, in nome di un obiettivo unanimemente condiviso, si rischia di introdurre per la prima volta nella storia giuridica europea un meccanismo normativo che legittimerebbe la sorveglianza preventiva universale delle comunicazioni, non più su base mirata, autorizzata e proporzionata, bensì attraverso algoritmi automatizzati che passerebbero al setaccio miliardi di messaggi quotidiani.

Ed è proprio su questo terreno che si gioca il vero conflitto di civiltà: capire se la lotta a un crimine odioso possa giustificare l’abbandono dei principi di proporzionalità, riservatezza e segretezza della corrispondenza che costituiscono non solo garanzie costituzionali ma anche presupposti tecnici della sicurezza digitale collettiva.

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Infatti, l’analisi dei contenuti in chiaro direttamente sul dispositivo dell’utente, prima che questi vengano cifrati per la trasmissione, rappresenta un potenziale punto di vulnerabilità spostando, infatti, l’accesso ai dati dal canale sicuro verso il terminale stesso e trasformando di fatto il dispositivo in una sorta di backdoor tecnologico.

Mentre la rilevazione dei contenuti illeciti si affida a strumenti tecnici diversi, dai sistemi di fingerprinting e hashing ai modelli di intelligenza artificiale capaci di riconoscere pattern in dati multimediali eterogenei.

Tali strumenti, tuttavia, presentano limiti concreti e ben documentati, poiché producono falsi positivi e negativi e si comportano in modo imprevedibile quando operano “in the wild” su miliardi di messaggi, immagini e video, compromettendo sia l’affidabilità della sorveglianza sia la tutela della riservatezza degli utenti.

Il nodo giuridico del principio di proporzionalità

Da qui deriva un primo nodo giuridico: la proporzionalità e la necessità dell’intervento; gli organismi europei di controllo della protezione dei dati, infatti, hanno posto un monito esplicito sul rischio che una norma di questo tipo si traduca in una scansione generalizzata e indiscriminata delle comunicazioni, con effetti di massa sulla sfera privata.

Questioni che non sono meramente accademiche ma attinenti all’applicazione dei principi di minimizzazione e limitazione della finalità che sorreggono il generale corpus giuridico europeo in materia di protezione dei dati e di diritti fondamentali.

Implicazioni di un indebolimento sistematico della cifratura

Sul piano dei principi costituzionali e sovranazionali, invece, la giurisprudenza europea più recente, e non soltanto quella della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ma anche della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha chiarito che qualsiasi intervento che implichi un indebolimento sistematico della cifratura o la creazione di accessi generalizzati ai contenuti deve superare un rigoroso test di necessità e proporzionalità, essendo altrimenti incompatibile con il diritto alla vita privata e con le garanzie democratiche che fondano lo stato di diritto.

I punti critici per la sicurezza tecnica

È questo, inoltre, un punto che tocca direttamente la sicurezza tecnica: l’introduzione di accessi artificiali o di «eccezioni» per fini di contrasto al crimine informatico non resta confinata a un perimetro virtuoso.

Gli esempi storici e le analisi di sicurezza mostrano come qualsiasi indebolimento della cifratura accresca la superficie di attacco verso cittadini, imprese e infrastrutture critiche, con conseguenze che vanno dalla perdita di segreti commerciali alla compromissione di comunicazioni sensibili e alla creazione di vulnerabilità sfruttabili da attori ostili.

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Il rischio di generare numerosi falsi positivi

Sul piano operativo persiste un secondo nodo: la reale utilità nel contrasto agli abusi.

L’esperienza pratica e le valutazioni indipendenti indicano che l’aumento del volume di segnalazioni non è sinonimo di migliori risultati investigativi se non esistono risorse umane specializzate, capacità di triage efficaci e garanzie processuali che impediscano che industriali flussi di «hit» algoritmici si traducano in invasione eccessiva e in errori giudiziari.

La mera moltiplicazione di allarmi automatici rischia di soffocare le forze dell’ordine sotto un mare di falsi positivi e di spostare l’onere del controllo deciso dai giudici a sistemi automatici opachi.

A ciò, inoltre, si aggiunge la prospettiva economica e dell’innovazione: imporre ai provider europei e globali l’obbligo di integrare scanner client-side o meccanismi di identificazione del contenuto comporta scelte architetturali che possono indurre piattaforme per la riservatezza a uscire dal mercato europeo o a degradare le proprietà di sicurezza dei loro servizi, con perdita di fiducia da parte dei cittadini e ricadute negative per l’intero ecosistema digitale e la competitività.

Possibili alternative e correttivi

Il rischio di «mission creep» ovvero la progressiva estensione dello strumento oltre il fine dichiarato è quindi concreto: tecnologie progettate per il contrasto al materiale pedopornografico possono, per inerzia legislativa o per pressione politica, essere adattate ad altre fattispecie di reato, normalizzando pratiche di monitoraggio preventivo che degradano le garanzie democratiche.

Di fronte a questi profili, emergono alternative e correttivi che non devono essere liquidati come compromessi:

  1. misure mirate di assistenza internazionale e di capacità investigativa;
  2. potenziamento dei servizi di protezione dell’infanzia e di prevenzione;
  3. uso selettivo di strumenti tecnici che non implicano indebolimento di massa della cifratura (per esempio tecniche forensi sugli account sospetti previa autorizzazione giudiziaria);
  4. rafforzamento dei canali volontari e sicuri di segnalazione e procedure efficaci di triage umano-specializzato.

Sul piano normativo, invece, se una misura limitativa dei diritti fondamentali fosse davvero considerata necessaria, essa dovrebbe essere disegnata con clausole precise di salvaguardia:

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  1. autorizzazione giudiziaria preventiva o meccanismi di controllo paritetici;
  2. obblighi stringenti di minimizzazione e cancellazione;
  3. audit indipendenti;
  4. trasparenza analitica sugli algoritmi impiegati;
  5. limiti temporali e di scopo;
  6. l’adozione di garanzie di non discriminazione e di diritto di ricorso effettivo per gli utenti.

Collaborare per individuare soluzioni alternative

Infine, la decisione politica che verrà assunta – e che ha scadenze ravvicinate nelle istituzioni europee – è anche una scelta di civiltà: decidere se difendere i minori mediante misure efficaci, mirate e compatibili con i diritti oppure istituire, in nome della sicurezza preventiva, meccanismi che mutano la natura della comunicazione privata in sorveglianza predittiva.

Non esiste un principio di contrapposizione assoluta tra tutela dei più deboli e tutela dei diritti fondamentali; esiste la responsabilità di progettare strumenti che perseguano finalità legittime senza collassare il quadro di garanzie che rende possibile la libertà in rete.

È dunque dovere della comunità tecnica, dei giuristi e dei decisori politici collaborare per individuare soluzioni che siano insieme efficaci, trasparenti e conformi al quadro costituzionale europeo: non rinunciando alla protezione dei minori, ma rifiutando che la protezione diventi pretesto per normalizzare la sorveglianza di massa e per depotenziare la crittografia a vantaggio di una sicurezza illusoria, che in realtà esporrebbe tutti a rischi sistemici.



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