L’Italia si è guadagnata la credibilità sul campo, ora tocca alle agenzie di rating allinearsi. Con Parigi nel caos, il debito tricolore è diventato il piatto forte. Solo dall’ultima asta di Btp a 7 e 30 anni il Tesoro ha incassato 18 miliardi di euro con una domanda che ha superato qualsiasi aspettativa: 217 miliardi. A riprova dell’attrattiva della carta italiana, gli investitori esteri si sono aggiudicati più del 70% dei titoli.
Con Piazza Affari tra le migliori performer dell’anno, pur rimanendo ancora a sconto (p/e) rispetto alla media storica e all’EuroStoxx, e con lo spread Btp-Bund ai minimi dal 2015 (un tesoretto da 13 miliardi secondo Unimpresa), la percezione del rischio Paese si è ridotta notevolmente anche rispetto ad altri grandi emittenti europei, Francia in primis.
Questo scenario, spiega Luigi De Bellis, responsabile research team di Equita, riflette una combinazione di fattori: disciplina fiscale, stabilità politica e più fiducia da parte degli investitori internazionali. Il 2026 sarà un anno cruciale per la finanza pubblica italiana, con l’obiettivo di riportare il deficit sotto il 3% del pil e uscire dalla procedura per disavanzo eccessivo. Ma prima toccherà alle agenzie di rating aggiornare il loro giudizio sull’Italia.
Chi alzerà il voto
Fitch, Moody’s e Dbrs hanno tutte assegnato al Bel Paese un outlook positivo, mentre S&P e Scope restano più prudenti (stabile). Secondo Carlo Bodo, responsabile obbligazionario di Ersel Asset Management Sgr, è una situazione che apre a scenari interessanti: tra i nomi che potrebbero muoversi a breve spiccano Moody’s (21 novembre) e Fitch (19 settembre).
Per la prima il discorso è delicato. Moody’s ha un rating Baa3 sull’Italia, cioè l’ultimo gradino dell’investment grade, quello che separa i titoli italiani dalla fascia «spazzatura». Un eventuale passaggio a Baa2 sarebbe, quindi, molto più di un semplice upgrade tecnico: significherebbe consolidare la solidità del debito pubblico e – spiega Bodo – eliminare, almeno per qualche anno, il rischio che i grandi fondi internazionali debbano liquidare i Btp per vincoli regolamentari.
Fitch, invece, già da tempo segnala margini di miglioramento e potrebbe spostare il giudizio a BBB+. Alberto Villa, responsabile equity research di Intermonte, non ha dubbi: «L’agenzia che potrebbe procedere con un upgrade è Moody’s, sia perché è l’unica che tiene Roma sul livello più basso dell’investment grade sia perché sarà l’ultima a esprimersi a fine novembre. Avrà quindi a disposizione anche le ultime notizie sul fronte della Legge di Bilancio». Ovviamente, aggiunge Paolo Geuna, credit sales strategist di Banca Akros, anche gli outlook positivi da parte di Fitch e Dbrs (17 ottobre) lasciano aperta la porta a un miglioramento del rating. Azioni che in ambedue i casi porterebbero il giudizio a BBB+, in linea con S&P (10 ottobre).
Gli effetti sui bond
Cosa cambierebbe per i mercati in caso di promozione? Prima di tutto lo spread. Un upgrade riduce la percezione di rischio, e quindi il differenziale Btp-Bund ne dovrebbe beneficiare, superato il cono d’ombra gettato dal recente peggioramento di quello francese. «Potenzialmente potrebbe rivedere i minimi di agosto come primo obiettivo» a 77,6 (livello di aprile 2010), prevede Geuna. Ma l’effetto, aggiunge Bodo, sarebbe particolarmente evidente sulle scadenze più lunghe. Questo perché i titoli a 2 o 5 anni risentono soprattutto delle mosse della Bce, mentre i Btp a 10, 15 o addirittura 30 anni reagiscono in maniera più forte a un miglioramento del rating sovrano. È qui che si concentra l’interesse degli investitori globali, pronti ad aumentare l’esposizione sulla duration quando cala il rischio di credito.
Gli effetti si estenderebbero subito anche ai bond corporate. «Le grandi aziende italiane – Enel, Eni, Snam, Terna, ma anche Intesa Sanpaolo e Unicredit – beneficiano di un «ombrello» statale: se lo Stato paga meno per finanziarsi, lo stesso accade alle imprese, soprattutto nel settore bancario, dove il legame con il debito pubblico resta fortissimo», continua Bodo. Tuttavia, occorre tener conto delle potenziali turbolenze politiche al di fuori dall’Italia (con i casi di Francia e Regno Unito), oltre che delle potenziali vendite di titoli a lungo termine da parte dei ciclopici fondi pensione olandesi, con asset totali che sfiorano i 1800 miliardi, in vista dell’implementazione, tra il 2026 ed il 2027, della riforma che porterà dal sistema a prestazione definita a quello a contribuzione definita. Questo comporterà una minor necessità di bond a lungo termine in portafoglio, a favore dell’investimento azionario. Di conseguenza, la parte a lungo e lunghissimo termine potrebbe essere presa in esame più avanti, suggerisce Villa. Nel breve, è preferibile il tratto intermedio della curva governativa.
Strong buy sulle banche
In borsa, invece, se c’è un comparto che può guadagnare più di altri da un miglioramento del rating, è quello finanziario. Unicredit, Intesa Sanpaolo, Generali, Banco Bpm, indica Bodo, sono tra i titoli che reagiscono meglio alla compressione dello spread perché vedono scendere il costo della raccolta e salire il valore dei portafogli di Btp in bilancio. Le banche italiane, sottolinea Villa, sono passate dal trattare a forte sconto rispetto al settore europeo a una situazione attuale in cui i multipli sono allineati, se non superiori. Inoltre, sono tutte esposte a investimenti in titoli di Stato, con Mps che ha ancora il Tesoro nel capitale con una quota di minoranza (11,6%).
Tra gli altri titoli potenzialmente impattati da una promozione c’è Poste Italiane per l’elevata esposizione agli investimenti in titoli governativi italiani nel contesto di un business completamente domestico, con lo Stato come maggior azionista. La percezione di Poste come una derivata della rischiosità dell’Italia è decisamente diminuita negli ultimi anni. Anche le assicurazioni come Unipol possono essere impattate dalla volatilità dei prezzi dei Btp in portafoglio e questo si può riflettere nell’andamento del margine di solvibilità. «Le banche e le assicurazioni sono grandi detentori di titoli di Stato e gioverebbero direttamente di un repricing dei titoli in portafoglio, prima ancora di un miglioramento del loro stesso profilo di rischio (e rating?)», spiega Geuna. Non a caso i due settori citati sono quelli con performance più robuste da inizio anno: +38,9% e +16,7% (Stoxx Europe 600).
I Btp in pancia
L’ammontare di titoli di Stato detenuto dagli istituti di credito italiani è pari a poco più di 300 miliardi di euro, l’8,5% del totale dei loro attivi. Di questi, precisa Geuna, i due terzi sono detenuti dalle big. Guardando ai bilanci 2024, Unicredit vanta l’esposizione maggiore: 37 miliardi, un’esposizione pari al 5% del totale dell’attivo. Tale dato si confronta con i 21 miliardi di Intesa Sanpaolo (2,5% dell’attivo), gli 11,5 miliardi di Bper (8% dell’attivo) e gli 8,5 miliardi di Banco Bpm (4,5% dell’attivo). Gli ultimi due dati considerano, però, l’intero perimetro di investimenti in titoli pubblici, italiani ed esteri. «Nel settore privilegiamo i titoli con un’elevata componente commissionale, dotati di leve specifiche per migliorare la redditività e caratterizzati da solidi livelli di capitale», afferma De Bellis. «Tra le banche tradizionali i nostri titoli preferiti sono Bper, Intesa Sanpaolo, Unicredit e Credem; nel risparmio gestito FinecoBank e Banca Mediolanum».
Anche le utilities un’opportunità
Le utilities, soprattutto regolate, possono beneficiare di un miglioramento del rating sovrano perché questo agisce da tetto (le controllate pubbliche non possono avere un rating superiore a quello dello Stato), quindi, un upgrade consente automaticamente un miglioramento del loro rating, chiarisce De Bellis. Inoltre, c’è un effetto sul costo del debito, perché la riduzione del rischio Paese si traduce in minori oneri finanziari, migliorando redditività e capacità di investimento.
Per le utilities con attività non regolate l’effetto è meno marcato ma comunque beneficiano di tassi più bassi. «Un’impennata dei rendimenti dei titoli di Stato ha effetti negativi sulle valutazioni delle utilities, soprattutto se con un’esposizione domestica o legate ad attività regolate come per Terna, Snam e Italgas», concorda Villa, mentre quelle attive nella generazione avrebbero impatti modesti sull’indebitamento, il cui costo è legato ai tassi di mercato. Tra queste Enel, A2A, Hera e Iren. In scia, conclude Geuna, potrebbero beneficiare di una promozione dell’Italia anche le tlc e il settore della salute.
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