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Sonia Bonfiglioli, presidente di Confindustria Emilia nell’ambito di FARETE


Sonia Bonfiglioli, presidente di Confindustria Emilia, durante il suo intervento di questa mattina all’Assemblea Pubblica nell’ambito di FARETE, davanti a duemila imprenditori delle imprese associate di Bologna, Ferrara e Modena, istituzioni e ospiti, ha evidenziato: “Il tempo che viviamo ci costringe a valutazioni repentine, cambiamenti di rotta, revisione delle scelte. Siamo usciti dalle nostre zone di comfort perché i vecchi equilibri si sono sfilacciati e in alcuni casi sono crollati da un giorno all’altro. Ma la nostra comunità imprenditoriale è capace di affrontare i cambiamenti, guardare avanti e cambiare per continuare a creare valore”.

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Il Presidente dell’Associazione che rappresenta più di 3.400 imprese con un fatturato di circa 99 miliardi di euro e oltre 263mila collaboratori, ha illustrato alcuni punti principali:

 

GEOPOLITICA E GEO-ECONOMIA

“Siamo passati dalla globalizzazione alla deglobalizzazione, in un mondo afflitto da conflitti e dazi. Dalla politica arrivando all’economia, si è passati dalla modalità di collaborazione a quella di coercizione e conflitto. Portando le grandi catene di fornitura da una dimensione globale a una più limitata, a livello continentale.

I conflitti degli ultimi anni, con le loro ripercussioni sull’economia europea, e, negli ultimi mesi, la “ballata” dei dazi non hanno fatto altro che creare instabilità, aumentando costi, alterando le catene di approvvigionamento, modificando i flussi commerciali globali, con l’effetto di rallentare la crescita economica a livello internazionale.

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In questi mutato quadro generale, l’Europa, come ha detto giustamente Mario Draghi è “evaporata”. Si trova a dover competere necessariamente sui temi tecnologici, perché sono fondamentali per il futuro, ma avendo le spalle gravate da fattori critici come il costo dell’energia, le dimensioni delle imprese, attitudine agli investimenti e la mancanza di politiche industriali capaci di dare indirizzi utili”.

 

DEMOGRAFIA

Dalle piramidi alle navi

“Il tema demografico in Italia vive su un dualismo di fondo: dall’essere ignorato all’essere un’emergenza. Da una parte, dal dopoguerra a oggi è migliorata la speranza di vita, guadagnando in 100 anni 33 anni in più dal punto di vista demografico, dall’altra il nostro Paese sta invecchiando perché, a fronte di più anziani mancano i nuovi nati, ormai da diversi decenni. Tanto che si è cambiato il modo di rappresentare la demografia di una popolazione: dalle forme piramidali si è passati alle navi. Infatti, se a inizio ’900, il gruppo più numeroso era rappresentato dai bambini, la base della piramide, nel 2003 il gruppo più numeroso era rappresentato dalla fascia 35-39 anni, e nel 2023 è quello tra i 55 e i 59 anni.

L’Italia, insieme al Giappone, è uno dei paesi a minor percentuale di nascite e maggior invecchiamento (aspettativa alta di vita); l’opposto dei paesi poveri (Africa). Con l’avvio del pensionamento dei baby boomers, esce dal mercato del lavoro uno dei gruppi demografici più numerose anche in Italia.

Secondo i dati Ocse, nel 2060 in Italia ci sarà una carenza del 34% di forza lavoro. L’Italia sconta una carenza pesante dello squilibrio: ancora troppe donne non scelgono materie STEM. C’è un mismatch molto grave per l’attività, e ancora di più per la crescita, delle imprese, perché si deve fare fronte alla mancanza di molti diversi profili lavorativi ricercati (lavori pesanti, tecnici e molti altri)”.

 

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MEGATREND

“La sicurezza sul lavoro, unita alla sostenibilità ed efficacia dei pro­cessi produttivi, è il primo punto su cui lavorare per creare quell’at­tenzione, prevenzione e consapevolezza che originano prima di tutto dall’interno delle imprese per poi aprirsi alle rappresentanze del mondo del lavoro e agli altri interlocutori. Il “saper fare” è sem­pre stata una caratteristica e un nostro orgoglio. Il “modus operandi” non può però restare congelato a modalità superate dal tempo che avanza. Nuove tecnologie che garantiscano prima di tutto sicu­rezza per chi opera, sostenibilità sia sociale sia verso l’ambiente e, infine, quell’efficacia ed efficienza necessarie per restare concor­renziali in un contesto oggi di fortissima competizione, sono tutti elementi imprescindibili per fare impresa.

Più posti di lavoro che persone. È un problema che riguarda, da una parte l’impegno a trattenere i talenti, perché i giovani sono più preparati rispetto ai genitori e sono meno disposti a lavori manuali o faticosi, hanno interiorizzato un diverso concetto di “life balance”, in cui le proprie aspirazioni e l’equilibrio personale vengono prima della sicurezza del posto fisso. Dall’altra, occorre tenere conto che abbiamo a che fare con flussi migratori con livelli di scolarizzazione non allineati rispetto alla carenza di competenze tecniche.

Questa complessità rappresenta una sfida. Ai nostri figli e ai giovani che vengono da altri paesi, se non vo­gliamo perderli in una continua migrazione verso altre destinazioni, dob­biamo offrire ambienti di lavoro moderni, tecnologicamente evoluti e proiettati ad affrontare nuove prove. Dobbiamo per questo avviare processi di automazione più diffusi che offrano una maggiore sicu­rezza per chi lavora ma anche un supporto alla carenza di compe­tenze e una risposta alla richiesta di un migliore ‘life balance’”.

 

EVOLUZIONE INDUSTRIALE E TECNOLOGICA

“Se ci fermiamo un attimo a guardarci indietro, è da capogiro realizzare che in meno di 250 anni siamo passati dalla ruota del mulino ad acqua all’intelligenza artificiale. Dalla metà dell’Ottocento, con la prima rivoluzione industriale, arriva la nascita delle fabbriche, mentre con la seconda, tra Ottocento e Novecento, grazie al progresso tecnologico portato dall’elettricità e dall’applicazione del vapore si espande l’industrializzazione. A partire dagli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, ecco la terza rivoluzione industriale che, con la presenza sempre più intensiva dell’innovazione tecnologica, soprattutto in informatica ed elettronica, apre a grandi cambiamenti nell’organizzazione industriale e porta alla globalizzazione dei mercati. 

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Da allora, l’accelerazione è sempre più veloce: il termine “Industria 4.0”, che identifica la quarta rivoluzione industriale, è stato utilizzato per la prima volta nel 2011 in Germania, per descrivere un progetto di digitalizzazione della produzione. Porta a una rivoluzione dei settori produttivi e industriali attraverso l’integrazione di tecnologie come l’Intelligenza Artificiale, le reti IoT (Internet delle Cose), i Big Data e la robotica avanzata.

E, mentre gli effetti e gli impatti della quarta rivoluzione industriale sono ancora da mettere a terra in maniera sistematica e diffusa, ci dobbiamo misurare con i paradigmi nuovi della quinta rivoluzione industriale, in cui fare impresa non può prescindere dalla sostenibilità ambientale. Questa deve però rappresentare un percorso concreto, meno dogmatico e teorico, riconoscendo temi come la neutralità tecnologica a vantaggio dei risultati.

In questa continua evoluzione tecnologica e sociale, guardando ai paesi che si stanno imponendo per la modernità dei processi produttivi adottati, stanno già emergendo nuovi “pillar” che potrebbero costituire le basi dell’Industry 6.0: demografia e “life balance”, uniti a una nuova guerra commerciale che esporrà la manifattura europea, italiana e del nostro sistema territoriale a grandi minacce; la necessità di confrontarci con lo sviluppo asiatico e cinese, che per molti aspetti sta procedendo con ritmi per noi impensabili. Perché il protagonista dell’Industry 6.0 è sicuramente, già ora, l’economia cinese”.

 

IMPRESE E TERRITORIO

Forse è finito un mondo, ma non è finito il mondo

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“Le imprese hanno sempre avuto un grande valore di sviluppo e crescita, sociale quanto economica, ma oggi fare impresa non può prescindere da una profonda e visibile valorizzazione e difesa del nostro patrimonio industriale, consapevoli però che le regole e i punti di forza di ieri possono essere oggi meno efficaci, sforzan­doci, proprio per questo, di mantenere e accrescere la nostra forza come singole imprese e come sistema, arricchendo nel nostro la­voro quotidiano il contesto sociale ed economico in cui operiamo.

Per questo, la fase che ci aspetta non è solo di consolidamento ma è anche di evoluzione perché occorre cogliere questi biso­gni, trasformarli in progetti concreti e realizzarli, per essere come imprese e imprenditori non solo esempio ma anche guida e sup­porto. Ci è richiesto un cambiamento continuo che è prima di tutto un percorso di comunità, per accendere un faro sulle tante impre­se virtuose e promuovere un confronto costruttivo e concreto con le forze politiche e le organizzazioni sindacali. Occorre avere una corretta percezione delle nostre imprese, della grande difficoltà e complessità che il nostro sistema economico sta già affrontando e della sempre maggior efficacia richiesta, dovendo operare in un contesto economico di minor crescita e competizione più aggres­siva.

In questo contesto, investire in formazione e digitalizzazione è una scelta strategica imprescindibile per ogni impresa che voglia crescere e rimanere competitiva. Le persone sono il cuore di ogni azienda e formarle significa permettere loro di acquisire le competenze necessarie a supportare la trasformazione verso processi più sicuri ed efficaci, restare al passo con l’evoluzione del mercato e contribuire in modo propositivo ai processi aziendali. Questo non solo migliora la qualità del lavoro, ma rende anche l’azienda più attrattiva per i talenti e per i giovani favorendo un ambiente di crescita continua.

La transizione digitale dell’industria manifatturiera è oggi una prio­rità per rafforzare la competitività delle imprese e accompagnarle nel percorso verso una nuova generazione di “fabbriche intelli­genti” “.



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