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Sopravvivrà l’Europa? – Manageritalia


Gli ultimi tre anni hanno sconvolto il mondo: guerre anche in Europa, fragilità dell’ordine mondiale, cambiamenti repentini di alleanze e interessi sullo scacchiere geopolitico. Un impazzimento o qualcosa che viene da lontano?

«Si tratta di conseguenze che nascono storicamente da lontano: la politica orientata al dominio degli Stati Uniti, le contraddizioni del continente europeo e la litigiosità, mai sopita, tra le nazioni di questa parte del pianeta, l’insofferenza che il resto del mondo ha accumulato nei confronti di un “Occidente” tradizionalmente oppressivo e basato nel tempo sull’assoggettamento e sullo sfruttamento delle altre nazioni. Va segnalato che la litigiosità delle nazioni europee, che hanno scatenato nell’ultimo secolo due devastanti conflitti mondiali, negli  ultimi ottanta anni è apparsa sopita a seguito della guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Questa competizione, di portata nucleare, ha costretto l’Europa ad aderire al blocco occidentale egemonizzato dagli Stati Uniti e a ricorrere a un pacifismo obbligato, ostentato in modo illusorio come vocazione ideologica condivisa.

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In una prima fase questa situazione ha avuto effetti economici e sociali positivi, ma a partire dal crollo dell’Unione Sovietica ha originato, da parte degli Stati Uniti, l’illusione di poter dominare l’intero pianeta recuperando, con manovre ingannevoli, l’enorme debito accumulato per abbattere la potenza sovietica.

Per perpetrare questo dominio gli Stati Uniti hanno enfatizzato tre forme di inganno nei confronti degli stati vassalli: una falsa narrazione riguardo il ruolo svolto per mantenere la pace nel mondo, in realtà  con continui interventi militari, una falsa narrazione riguardo al ruolo svolto nella guida e nello sviluppo dell’economia mondiale accompagnata, in realtà, da rapine finanziarie e bolle speculative, una falsa narrazione circa i vantaggi della rivoluzione digitale gestita da monopoli incontrollabili in grado di raccogliere ogni genere di informazione e di trasformarle in business e manipolazioni ideologiche e politiche. Ad Henry Kissinger è attribuita questa battuta velenosa nei confronti degli Stati Uniti: “Essere nemici degli Stati Uniti è pericoloso, essere amici è letale».

L’America non sembra più lei, colpa di Trump?

«Gli Stati Unii sono giunti al capolinea della loro traiettoria storica, in modo simile a come è accaduto alla fine degli anni ottanta per l’Unione Sovietica, che fu stroncata dalla insostenibilità delle spese militari sollecitate dalla competizione con gli Stati Uniti e da una burocrazia fatiscente e corrotta. Come ho avuto modo di anticipare in una recente trasmissione televisiva della Rete Sette “Coffe Break”, Trump è il Gorbaciov delle USA: sta cercando di evitare il disfacimento della sua nazione che ha accumulato un debito insostenibile e che ha perseguito un’impossibile egemonia mondiale con ogni mezzo lecito e illecito, inventando anche la favola di essere in grado di esportare la democrazia.

Gli Stati Uniti hanno iniziato negli anni settanta, con la presidenza Nixon, ad abolire il sistema del gold standard obbligando la Comunità internazionale a fare riferimento al dollaro, non solo in quanto  moneta dominante a livello internazionale, ma anche come virtuale sostituto dei depositi aurei. Il dollaro è stato surrettiziamente fatto considerare come la moneta di riferimento e, quindi, sostituto della garanzia aurea.

Successivamente, negli anni novanta, il presidente Clinton, per diffondere la politica di selvaggia speculazione finanziaria instaurata per sostenere la falsa solidità dell’economia statunitense, ha obbligato le economie mondiali ad abbandonare la separazione tra istituti di credito (destinati allo sviluppo delle imprese e al credito per le famiglie) e banche d’affari (fortemente rischiose in quanto basate sugli investimenti speculativi) per diffondere le cosiddette “banche universali” troppo grandi per poter fallire. Banche strutturate per essere in grado di perpetuare la loro esistenza succhiando risorse all’economia produttiva.

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La separazione tra banche d’affari e istituti di credito era stata realizzata dalla presidenza Roosevelt, la quale si era resa conto che le vecchie banche universali avevano originato il grande crollo del 1929. Bolla speculativa diffusa dagli Stati Uniti in tutti il mondo occidentale. Non a caso la  crisi dei subprime del 2007/2008, prodotta sempre dagli Stati Uniti, ha avuto la stessa espansione devastante della crisi del 1929, con effetti meno catastrofici in conseguenza dei correttivi e della solidità dell’economia mondiale di quegli anni.

Queste due crisi sono la conseguenza del “modello di sfruttamento economico-finanziario” perseguito in forma esasperatamente speculativa dagli Stati Uniti per prosperare malgrado lo spreco di risorse prodotto per cercare di dominare il pianeta.Per rispondere alla domanda, l’America è sempre stata la stessa, speculativa, egemonica e guerrafondaia, solo che oggi i nodi sono arrivati pesantemente al pettine e Trump si trova nella difficilissima situazione di tentare di risolverli a scapito degli alleati-subordinati».

E l’Europa? Mai come oggi è evidente la debolezza dell’Unione.

«Nel recente passato ci sono stati molti inascoltati critici dell’Unione Europa, in primis l’antropologa italiana Ida Magli che nel 2010 scrisse un libro provocatorio dal titolo: “La dittatura Europea” contro lo strapotere dei burocrati e della finanza, la vigliaccheria della politica, il silenziamento dei popoli. Oggi quelle voci inascoltate trovano eco tardivo e contradditorio proprio da parte di ipocriti politici e superburocrati che hanno prodotto e cavalcato una unione prevalentemente monetaria e sostanzialmente commerciale (unione commerciale infarcita di regole e vincoli che hanno prodotto un effetto simile agli attuali dazi).L’evidenza della debolezza diplomatica dell’Unione Europea appare oggi solo perché la falsa narrazione sull’efficacia del suo ruolo interno e internazionale non è più sostenibile a fronte degli smacchi sistematicamente subiti in termini di credibilità e di reale capacità di intervento sullo scacchiere geopolitico internazionale».

Cosa c’è davvero sotto a questo schizofrenico procedere del mondo oggi?

«C’è una mutazione in termini geopolitici in quanto il mondo occidentale, in crisi di valori, in crisi demografica e in crisi di credibilità non è più in grado di influenzare le potenze consolidate come la Cina, le potenze in lotta di sopravvivenza come la Russia, le potenze emergenti come l’India e tutte le più o meno significative semipotenze come quelle del mondo asiatico, sudamericano e africano che si sono collegate (o si stanno collegando) al cosiddetto sistema dei Brics, che coltiva la prospettiva di sopravanzare il mondo occidentale e di sostituire l’egemonia ormai fatiscente del dollaro.

Il mondo occidentale, composto da circa un miliardo di abitanti, che manifestano una prospettiva di forte decrescita demografica, pur avendo accumulato ingenti ricchezze, non si rende conto di avere a che fare con un resto del pianeta che raccoglie una popolazione di oltre sette miliardi di abitanti con diffuse prospettive di crescita non più solo demografica, ma oggi anche economica.

Più che un procedere in modo schizofrenico possiamo dire che si tratta di un tipico percorso di mutazione che coinvolge assetti sociali, economici, tecnologici e valoriali tipici dei grandi snodi della storia. Si tratta di una schizofrenia che fa parte di una visione occidentale che non intende accettare l’evidenza dei cambiamenti in atto, paragonabile alla crisi ottocentesca della nobiltà che si rifugiava nello snobistico isolazionismo».

Da dove ripartiamo a livello mondiale? 

«Occorre recuperare un costruttivo senso pratico che parta dal presupposto che esistono altri sistemi politici certamente non ideali, talvolta iniqui e non democratici, ma con i quali, però, è indispensabile convivere. La contrapposizione ideologica che l’Occidente impiega rigidamente emettendo giudizi etici nei confronti di sistemi politici considerati non accettabili è alla base di una contrapposizione che ha originato e origina continui conflitti sempre più difficili da risolvere.

Richiamando la lucida analisi sul potere politico svolta da Gaetano Mosca all’inizio del secolo scorso nei suoi libri incentrati sulla scienza politica, possiamo condividere il superamento della rappresentazione delle forme di governo proposte da Aristotele (monarchia, oligarchia e democrazia) e suddividere il potere politico nel mondo attuale in sole due forme concrete di espressione, oltre, ovviamente, le brutali dittature:

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  1. oligarchie democratiche che consentono un ricambio del potere tramite l’apertura a qualsiasi classe sociale (che, in sostanza, sono quelle che definiamo democrazie occidentali);
  2. oligarchie aristocratiche che permettono il ricambio del potere esclusivamente all’interno delle élite consolidate. in forme più o meno radicali (che caratterizzano la maggioranza delle nazioni del mondo che non vengono annoverate tra le “democrazie occidentali”).

Come accennato, è indispensabile prendere atto che occorre pragmaticamente convivere, e se possibile collaborare, con queste oligarchie aristocratiche (come d’altra parte avviene in molti casi da decenni in modo molto diffuso, ma ipocritamente mascherato)».

E noi europei?

«O usciamo dalla sindrome masochistica che ci ha portato a produrre due devastanti guerre mondiali e dalla contemporanea allucinante convinzione di essere al centro del mondo e della storia, o altrimenti finiamo per sprofondare in una progressiva e inevitabile decadenza. Si tratta di accettare una visione incentrata sulla tolleranza delle altre culture e delle altre forme politiche  abbandonando la convinzione che solo la “democrazia” progettata e realizzata da noi europei sia l’unica e insostituibile forma che produce il progresso il benessere e la felicità.

Per le nostre oligarchie democratiche l’unica strada futura auspicabile è basata sul recupero della democrazia diretta applicata sostanzialmente in Svizzera. I cittadini dovrebbero avere la facoltà di proporre a votazione questioni di interesse generale tramite il deposito di iniziative popolari, referendum e petizioni consentite e favorite in modo concreto.

Questa, forse, è l’unica alternativa che ci resta in ambito europeo, per riuscire a recuperare l’energia sociale, politica ed economica che solo una convinta base popolare può raccogliere e consolidare, per contare ancora qualcosa a livello mondiale».

I manager, cittadini del mondo come tutti gli altri, da tutto questo per l’impatto su economia e società sono più toccati e devono prestare più attenzione e fare qualcosa di particolare? 

«I manager devono utilizzare innanzi tutto il pensiero critico, ormai abbandonato a favore della faziosità e dell’allineamento al “pensiero unico”. Il pensiero critico consente di verificare e valutare i fenomeni complessi senza preconcetti e prendendo in considerazione diverse alternative. Si tratta di un approccio fondamentale non solo per cercare di comprendere cosa accade a livello generale, ma anche per svolgere le proprie attività in modo efficace evitando di farsi influenzare dalle mode e dai criteri dominanti.

Occorre, ad esempio, combattere la falsa narrazione che si incentra sui soli vantaggi della rivoluzione digitale e dell’intelligenza artificiale avviata e gestita, non va dimenticato, dagli Stati Uniti. Con “rivoluzione digitale” possiamo fare riferimento alla diffusione incontrollabile di smartphone, computer, ecc. i quali consentono di interagire con internet e la telematica in ambito planetario, sia per il lavoro che per la vita privata.

Il tutto condizionato tramite le invasive reti di social media e dei siti che informano su tutto in modo rapido, uniforme e, spesso, superficiale. L’impiego continuo, reso di fatto “obbligatorio”, delle applicazioni digitali ha prodotto un’inarrestabile pigrizia mentali e una progressiva perdita delle capacità di concentrazione che predispone alla superficialità e, implicitamente, all’ignoranza.

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Come anticipato, le grandi multinazionali estraggono gratuitamente una massa incommensurabile di informazioni sulle propensioni e sui comportamenti di coloro che sono sistematicamente connessi, per trasformarla in supporti di business di elevato valore economico, ma anche in manipolazione ideologica e politica. Si tratta di un “sistema”, messo a punto con il contributo della Cia e del Pentagono, affinché gli Stati Uniti possano continuare a mantenere l’egemonia sul mondo e, soprattutto, addomesticare i cittadini e le imprese  dell’Europa e delle altre nazioni inserite nella loro sfera d’influenza in qualità di nazioni sostanzialmente “colonizzate”.

La tecnologia digitale tende a catturare in modo ipnotico l’attenzione degli utenti interferendo e, spesso, interrompendo le ampie connessioni celebrali che caratterizzano la mente umana quando riflette o apprende. Molti studi basati sulle neuroscienze hanno evidenziato che l’inarrestabile diffusione della digitalizzazione produce anche una forma subdola di dipendenza, la quale può arrivare a manifestazioni patologiche di carattere ossessivo, paragonabili all’assunzione delle sostanze stupefacenti.

La reale sfida da affrontare non è quella, ampiamente pubblicizzata, di diffondere acriticamente le “competenze digitali” tra i componenti delle organizzazioni, ma quella di rivitalizzare l’approfondimento sistematico delle hard skill (cioè del sapere reale in continua trasformazione, che rischia di rimanere superficiale e inesorabilmente distaccato dagli utilizzatori se delegato a sistemi di blockchain e di intelligenza artificiale). Questo recupero va abbinato strategicamente all’impiego fondamentale delle soft skill (cioè all’efficacia dei comportamenti che rappresentano le leve dell’agire concreto e che consentono una relazione diretta, efficace ed apprezzata con ogni genere di clientela, di colleghi e di collaboratori).

Molte persone, pur ricoprendo ruoli importanti, preferiscono adottare l’atteggiamento dello struzzo per non affrontare le contraddizioni esistenti, ma è proprio questo che chi gestisce occultamente la situazione attuale auspica. Cioè, diffondere la rassegnazione e, in fondo, l’accettazione di una realtà che viene presentata come se fosse immodificabile (diffusa tramite sottili e pervasivi processi manipolatori sostenuti dal capitalismo della sorveglianza). Cercare di svelare questi processi è l’unico modo per consentire azioni individuali e collettive che possano aprire orizzonti meno sfiducianti».

In definitiva, lei sul futuro del mondo, ma ancora più su quello dell’Europa cosa pensa?

«In una visione negativa il futuro del mondo sarà caratterizzato da imperi che nella migliore delle ipotesi cercheranno qualche forma di convivenza, in una visione positiva potrà configurarsi un mondo multipolare che superi il pericoloso, unilaterale e verticistico universalismo e valorizzi pluralità  di nazioni che, per garantirsi il futuro, devono puntare sull’interscambio, sulla convivenza e sulla lungimirante cooperazione, evitando di ricorrere alla distruttiva sopraffazione.

Per quanto riguarda il continente europeo, quale futuro geopolitico può essere disegnato? Contrapporsi in modo netto alla Russia o cercare di recuperare un rapporto dialetticamente costruttivo con questa Nazione (favorendo ovviamente la soluzione dell’attuale guerra in Ucraina). Nell’auspicio che l’intero continente europeo possa imboccare un percorso basato sulla propria concreta autonomia e sul rilancio economico, favorendo un nuovo sviluppo sociale, che consenta anche relazioni internazionali realmente indipendenti. Riepilogo sinteticamente alcune modeste proposte che ho dettagliato nelle pagine del mio libro che potrebbero essere applicate a livello globale o, quanto meno, europeo:

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  1. regolamentare i mercati finanziari in modo comprensibile, al pari dei mercati tradizionali, con formule semplici e la difesa dei consumatori, inibendo le operazioni speculative ad alto rischio;
  2. puntare all’efficace funzionamento di indipendenti e correttamente dotati enti di regolazione dell’attività economica e, soprattutto, finanziaria basati su poche e chiare regole a tutela dei risparmiatori;
  3. giudicare e condannare i responsabili dei fallimenti e delle crisi finanziarie piuttosto che premiarli, come è sempre accaduto da molti anni a questa parte;
  4. separare le banche d’affari dagli istituti di credito. Spacchettare le “banche universali” riportando il sistema bancario alla trasparente ed efficace territorialità;
  5. rivalutare le imprese di produzione e servizi in grado di creare e distribuire ricchezza reale con norme e incentivi che ne proteggano la vitalità attualmente, spesso, compromessa dall’approccio monetaristico;
  6. attuare, senza mezzi termini, per le grandi imprese, le norme antitrust a tutela della corretta concorrenza in ogni tipo di mercato, soprattutto in quelli digitali tipici del capitalismo della sorveglianza;
  7. riportare la moneta al suo ruolo fondamentale di mezzo di scambio. limitandone l’emissione e l’impiego per acquisire “debiti nazionali crescenti”. Ridare alla finanza il ruolo di “ancella” che deve svolgere il fondamentale supporto all’economia reale;
  8. combattere, oltre l’indebitamento statale, anche il sovra indebitamento dei privati e delle imprese. Il sovra indebitamento si è rivelato una piaga sociale che negli ultimi anni ha assunto dimensioni catastrofiche trasformando il capitalismo in “debitismo”. La somma del debito mondiale, ormai non più rimborsabile, ammonta a 324 mila miliardi di dollari, di gran lunga superiore al prodotto interno loro di tutte le nazioni del pianeta;
  9. contrastare l’omologazione dei gusti e dei consumi su scala mondiale (rivalutando la ricca differenziazione internazionale e regionale nella realizzazione di beni e servizi che ha caratterizzato nei secoli la varietà delle culture umane, anche in termini di artigianato) e la filosofia spicciola che identifica il benessere con il consumo sfrenato di beni sostanzialmente inutili;
  10. proibire ai bambini l’uso degli smartphone e dei giochi elettronici o, quanto meno educarli all’uso non ossessivo. Stimolare e incoraggiate la tendenza fra adolescenti e giovani a sostituire la digitalizzazione con supporti, spazi e incentivi in grado di favorire i rapporti interpersonali continuativi e profondi, la lettura, lo studio e la ricerca.

Occorre, infine, combattere il più grande alleato del capitalismo selvaggio: la burocrazia in continua capillare, abnorme crescita e diffusione nel mondo occidentale (soprattutto nell’Unione Europea).

Infine, se non riusciremo a spezzare il clima derivante da un mondo diviso in fazioni (una realtà concepita in termini tali ove un’appartenenza esclude categoricamente qualsiasi altra appartenenza) che combatte il confronto costruttivo e le concessioni reciproche come inaccettabili debolezze. Se non saremo capaci di uscire da questa distruttiva dicotomia, caratterizzata da moderne tribù arroccate nel loro “territorio di convinzioni”, ci ritroveremo in un contesto nel quale le argomentazioni e le visioni diverranno sempre più elementari e ferocemente contrapposte.

Se non combattiamo la superficialità, l’approssimazione, la delegittimazione, la futilità sempre più diffuse ci ritroveremo in un mondo dove l’incuria attiverà solo ulteriore incuria e la rassegnazione e il nichilismo saranno imperanti. Questa lotta deve iniziare nel mondo privato ed estendersi al mondo delle organizzazioni, dove la collaborazione è stata da tempo sacrificata sull’altare dell’accesa, e talvolta distruttiva, competizione».

Geopolitica in evoluzione – Quali scenari per aziende e manager nell’era dell’instabilità globale?

23 settembre dalle 18:30 alle 20 Cfmt – Learning House, Via Decembrio, 28, 20137 Milano (Milano).

Contenuti – Viviamo in un’epoca di trasformazioni profonde e imprevedibili. La geopolitica è tornata a essere un fattore centrale nelle scelte economiche e strategiche delle imprese. Guerre commerciali, tensioni tra grandi potenze, crisi energetiche, digitalizzazione e nuove forme di controllo sociale stanno ridisegnando gli equilibri globali. Quali dinamiche può portare sul mercato l’evoluzione del rapporto tra Stati Uniti ed Europa? Quale impatto avranno finanza, scelte politiche e innovazione tecnologica sul futuro delle aziende? E in che direzione dovrebbe muoversi l’Europa per aiutare le imprese: riarmo o sostenibilità?

Un incontro per aiutare le aziende a leggere il presente e prepararsi al futuro, in un contesto globale in continua evoluzione in cui verrà anche presentato il libro scritto da Gian Carlo Cocco Sopravvivrà l’Europa? Mursia, marzo 2025, in cui l’autore fa diverse valutazioni partendo dal rapporto storico fra Stati Uniti e Europa per capire quali evoluzioni stiamo vivendo e che rapporto di forza c’è oggi fra questi due paesi.

Relatori – Gian Carlo Cocco; Ferruccio De Bortoli; Francesco Varanini.

Coordinamento – Jonathan Figoli.

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