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Tcf: leva strategica nella gestione del rischio fiscale


L’implementazione di un Tax Control Framework (TCF) certificato rappresenta oggi uno strumento strategico per le imprese, con effetti concreti anche nelle operazioni di M&A.

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Il TCF consente di ridurre i rischi fiscali, semplificare la due diligence, limitare le garanzie contrattuali e aumentare il valore percepito dell’azienda. Inoltre, contribuisce al miglioramento della governance fiscale e al rafforzamento del posizionamento ESG. 

1) Tcf: leva strategica nella gestione del rischio fiscale

Nel panorama normativo e fiscale odierno, caratterizzato da una profonda revisione dei paradigmi di relazione tra contribuente e Amministrazione finanziaria, l’implementazione di un Tax Control Framework (TCF) assume un ruolo centrale non solo quale strumento di presidio del rischio fiscale, ma anche come asset strategico capace di incidere sulle dinamiche di governance, di valorizzazione aziendale e di attrattività nei confronti degli investitori. 

Le recenti riforme – in particolare il D.Lgs. 221/2023 e il successivo correttivo 108/2024 – hanno determinato un deciso spostamento dell’asse della compliance da un approccio ex post, sanzionatorio e ispettivo, a un modello preventivo e collaborativo fondato sulla trasparenza, la certezza e la gestione strutturata del rischio. 

In questo scenario, il TCF diventa il fondamento dell’affidabilità fiscale dell’impresa: non è più solo un documento formale, ma un sistema dinamico e integrato che permea l’intera struttura aziendale, dalla definizione della strategia fiscale fino al controllo operativo delle attività a rischio.

L’accesso al regime di adempimento collaborativo è oggi subordinato alla predisposizione e certificazione del TCF, secondo i requisiti contenuti nelle Linee Guida dell’Agenzia delle Entrate (prot. 5320/2025), nonché negli allegati operativi che definiscono policy interpretative, metodologie di controllo e standard per la mappatura dei rischi. 

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Questo modello si basa su una architettura complessa e altamente strutturata, fondata su quattro pilastri – ambiente di controllo, governance, risk assessment e monitoraggio – ispirati ai principi del COSO Framework, con l’obiettivo di garantire un presidio efficace, continuo e documentato della variabile fiscale. 

In quest’ottica, il TCF non è più un’opzione residuale per grandi gruppi, ma un elemento distintivo di affidabilità e valore per tutte le imprese che intendano operare in modo trasparente, responsabile e competitivo, soprattutto in un mercato – quello delle operazioni straordinarie – dove la qualità delle informazioni fiscali e la robustezza dei controlli diventano determinanti ai fini del successo negoziale

2) Due diligence fiscale e vantaggi oggettivi in operazioni M&A

In ambito di operazioni di Merger & Acquisition, la presenza di un Tax Control Framework (TCF) certificato costituisce un elemento di assoluto rilievo in sede di due diligence fiscale, con impatti sia sul piano temporale che su quello qualitativo delle attività istruttorie. 

In particolare, nei casi di share deal, l’esistenza di un sistema di controllo del rischio fiscale validato secondo i criteri definiti dalle Linee Guida dell’Agenzia delle Entrate consente una contrazione significativa del perimetro temporale oggetto di analisi. 

Diversamente dai consueti cinque periodi d’imposta antecedenti l’operazione – oggetto tipico di verifica per gli accertamenti fiscali ordinari – la presenza di un TCF certificato permette di limitare il controllo a soli tre esercizi, o addirittura a due, qualora il contribuente sia in possesso del c.d. “visto pesante” (certificazione tributaria ex art. 6, D.Lgs. 128/2015).

Tale riduzione ha riflessi immediati in termini di tempistiche di chiusura dell’operazione, minore esposizione al rischio pregresso e conseguente alleggerimento delle clausole di garanzia contrattuale richieste dall’acquirente. 

Nel caso di asset deal, il beneficio offerto da un TCF certificato si riduce rispetto al share deal, poiché l’art. 14 del D.Lgs. 472/1997 prevede che l’acquirente risponda solidalmente per le sanzioni riferite all’anno in corso e ai due precedenti. Tuttavia, la presenza di un sistema di controllo validato mantiene comunque un impatto positivo nella negoziazione, offrendo maggiore certezza sull’esposizione fiscale e favorendo condizioni contrattuali più favorevoli.

Dal punto di vista qualitativo, la mappatura dei rischi prevista dal TCF (costruita secondo le metodologie definite nelle Linee Guida e, in particolare, nella matrice contenuta nel documento operativo del 2024) permette di ottenere una rappresentazione sistematica e trasparente di tutte le fattispecie tributarie rilevanti. 

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Ogni processo aziendale viene analizzato per l’individuazione dei rischi inerenti, la misurazione dell’impatto e della probabilità, l’adeguatezza dei controlli in essere e il calcolo del rischio residuo. 

Questo approccio consente all’investitore di effettuare una valutazione ex ante dell’esposizione fiscale, non più affidata a verifiche campionarie o a giudizi discrezionali, bensì fondata su evidenze documentali, tracciabili e confrontabili.

La presenza di una “Risk Control Matrix” strutturata e aggiornata, costruita anche sulla base di standard settoriali e personalizzata secondo la materialità fiscale del contribuente, consente infine di razionalizzare la raccolta documentale, rendendo la due diligence non solo più efficiente, ma anche maggiormente focalizzata sulle aree realmente sensibili. 

Ne deriva una riduzione dei costi consulenziali, dei tempi istruttori e dell’incertezza negoziale, in un momento in cui la prontezza operativa è spesso decisiva per il successo dell’operazione.

3) TCF come moltiplicatore di valore aziendale

L’adozione di un Tax Control Framework (TCF) non produce solo effetti sul piano del presidio dei rischi fiscali, ma si traduce concretamente in un fattore moltiplicativo del valore d’impresa, in particolare nei processi di acquisizione o apertura al capitale. 

In un mercato sempre più orientato alla valorizzazione di asset intangibili come la trasparenza, la governance e la sostenibilità, un TCF certificato rappresenta un segnale forte di affidabilità nei confronti di investitori, istituti finanziari, fondi di private equity e stakeholder.

I mercati, infatti, premiano le imprese che adottano una gestione consapevole della variabile fiscale, integrandola nei processi decisionali strategici e nei sistemi di controllo interno. 

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La presenza di una struttura organizzativa ben definita, di ruoli chiari, di procedure formalizzate e di sistemi di reporting al vertice aziendale – secondo il modello delle “tre linee di controllo” mutuato dalle best practice di settore – contribuisce a rafforzare la percezione di solidità e affidabilità del modello di business. 

Questo incide positivamente sulla determinazione del prezzo di acquisizione (pricing), riduce i fattori di rischio percepiti e favorisce un maggiore grado di fiducia da parte della controparte acquirente.

Inoltre, il collegamento diretto tra tax governance e criteri ESG (Environmental, Social, Governance) è ormai consolidato nelle metriche di valutazione adottate da analisti, fondi e operatori istituzionali. 

Le dimensioni “G” della governance fiscale – che includono la trasparenza nella rendicontazione tributaria, l’adozione di pratiche di pianificazione fiscale non aggressive e la qualità della relazione con l’Amministrazione finanziaria – costituiscono indicatori sempre più rilevanti di sostenibilità e responsabilità d’impresa secondo i criteri ESG. 

In questo contesto, un TCF certificato consente di presidiare e documentare in modo oggettivo tali aspetti, integrandoli nei sistemi di controllo e nella reportistica non finanziaria.

Ciò favorisce un miglior posizionamento nei rating ESG, rafforza la reputazione aziendale e accresce l’attrattività dell’impresa nei confronti di investitori istituzionali, fondi sostenibili e operatori dei mercati dei capitali.

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Un ulteriore elemento distintivo è costituito dalla predisposizione di una Policy per la gestione del rischio interpretativo, conforme all’Allegato 1 delle Linee Guida dell’Agenzia delle Entrate.

Questa policy consente di presidiare in modo sistematico le aree di incertezza normativa, mediante:

  • una valutazione preventiva del “delta tax” (l’impatto potenziale della divergenza interpretativa),
  • la determinazione di soglie di materialità,
  • e la formalizzazione di procedure di escalation decisionale e comunicazione all’Amministrazione.

Tali strumenti non solo rafforzano l’affidabilità del sistema di controllo interno, ma costituiscono indicatori di maturità fiscale e di capacità organizzativa, sempre più richiesti in ambito M&A, specialmente quando l’operazione coinvolge investitori internazionali o soggetti vigilati (come fondi regolamentati).

In sintesi, il TCF – se correttamente implementato e certificato – trasforma la funzione fiscale da area di rischio a leva di valore, incidendo in modo tangibile su reputazione, pricing, capacità di attrarre capitale e credibilità dell’intera governance aziendale.

4) Riduzione delle garanzie e accesso agevolato alle coperture assicurative

L’implementazione di un Tax Control Framework (TCF) certificato produce effetti diretti e significativi anche sulla struttura delle garanzie contrattuali tipiche delle operazioni di acquisizione, in particolare nei contratti di share deal.

Tradizionalmente, l’acquirente tende a proteggersi da passività latenti o rischi fiscali non rilevati in fase di due diligence mediante la richiesta di clausole indennitarie dettagliate, che spesso si estendono per tutta la durata del periodo di accertamento fiscale, e prevedono impegni economici rilevanti a carico del venditore, anche a distanza di anni dalla chiusura dell’operazione.

La presenza di un TCF certificato consente di oggettivare e limitare il perimetro del rischio fiscale, grazie a una mappatura esaustiva e documentata dei controlli interni, all’identificazione del rischio residuo e all’esistenza di procedure di monitoraggio e aggiornamento continuo. 

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In questo scenario, l’acquirente si trova in una posizione di maggiore sicurezza, che gli consente di ridurre la richiesta di garanzie, negoziando cap di responsabilità più contenuti, soglie di attivazione (deductible) più elevate e termini di durata ridotti.

Non solo: il TCF certificato può facilitare e rendere economicamente più vantaggioso l’accesso a strumenti assicurativi come le Warranty & Indemnity Insurance (W&I), utilizzate sempre più frequentemente per sostituire o integrare le garanzie del venditore. 

Le compagnie assicurative, infatti, valutano positivamente la presenza di un TCF validato da soggetti terzi indipendenti, considerandolo un indicatore di affidabilità, trasparenza e mitigazione del rischio. 

Ne derivano premi assicurativi inferiori, maggiori massimali coperti e condizioni contrattuali meno gravose per le parti.

L’impatto di questi vantaggi è particolarmente rilevante per gli operatori istituzionali, come i fondi di private equity, che agiscono con logiche di dismissione programmata e hanno l’esigenza di definire con certezza gli impegni post-closing. 

La presenza di un TCF consente di semplificare i processi di exit, migliorando la vendibilità dell’asset e riducendo i tempi necessari per il perfezionamento dell’operazione. 

In altre parole, un’impresa dotata di un TCF certificato è percepita come “ready to sell”, ovvero pronta per affrontare operazioni straordinarie con un profilo di rischio fiscalmente compatibile con le aspettative degli investitori.

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In sintesi, il TCF agisce come leva di riduzione del rischio contrattuale e di efficientamento delle coperture assicurative, rafforzando la posizione negoziale del venditore e rendendo più fluido e sicuro il trasferimento della proprietà.

5) Il nucleo operativo: mappatura dei rischi e struttura di controllo

Il nucleo operativo di un Tax Control Framework (TCF) efficace risiede nella mappatura analitica dei rischi fiscali, un’attività che va ben oltre la semplice identificazione di potenziali criticità.

Secondo le indicazioni contenute nelle Linee Guida dell’Agenzia delle Entrate e nel documento metodologico dedicato alla compilazione della mappa dei rischi e dei controlli fiscali, la mappatura deve essere strutturata per processo aziendale, con l’individuazione puntuale delle attività o flussi potenzialmente esposti a rischio fiscale.

Per ciascun processo, occorre individuare e descrivere:

  • i rischi inerenti, ossia i rischi potenziali che esistono indipendentemente da qualsiasi presidio;
  • il grado di probabilità che l’evento rischioso si verifichi (influenzato, ad esempio, dalla frequenza delle operazioni, dalla complessità normativa o dall’intervento di soggetti terzi);
  • il livello di impatto derivante dalla manifestazione del rischio, valutato in funzione delle imposte coinvolte, del valore economico del processo e degli eventuali riflessi reputazionali o sanzionatori.

L’integrazione di questi due fattori consente la determinazione di un livello di rischio inerente (alto, medio, basso), su cui viene poi misurata l’efficacia dei controlli esistenti, siano essi preventivi o successivi, manuali o automatizzati. 

L’obiettivo è determinare il rischio residuo, ovvero l’effettiva esposizione dell’impresa al rischio fiscale dopo l’applicazione delle misure di mitigazione.

La valutazione dei controlli si basa su griglie standardizzate (come previsto anche nell’Allegato 2 alle Linee Guida AdE), che tengono conto di variabili quali la presenza, l’adeguatezza, la frequenza e la tracciabilità dei controlli stessi. In presenza di rischi residui elevati, è obbligatoria l’attivazione di action plan correttivi, finalizzati a colmare i gap di controllo individuati e a riportare il rischio entro livelli accettabili. 

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Tali piani devono essere pianificati, attuati, monitorati e rendicontati formalmente, in coerenza con i principi della vigilanza prudenziale.

L’intero processo assume una natura ciclica e dinamica, e richiede l’adozione di meccanismi di autoapprendimento e aggiornamento continuo, indispensabili per mantenere il TCF allineato al contesto normativo, organizzativo e operativo in evoluzione.

Il presidio di secondo livello – generalmente affidato al Tax Risk Manager – ha il compito di verificare l’efficacia e l’effettiva attuazione del sistema, fornendo un supporto tecnico-specialistico alle funzioni operative e una reportistica periodica al vertice aziendale.

Il tutto si inserisce in un modello di governance a “tre linee di controllo”, mutuato dalle prassi del settore bancario e assicurativo (cfr. Circolare Banca d’Italia 285/2013), che prevede:

  • una prima linea composta dai responsabili operativi dei processi fiscali;
  • una seconda linea di controllo (risk management e compliance fiscale);
  • una terza linea costituita dall’internal audit.

Tale architettura, opportunamente adattata alla dimensione e complessità aziendale, consente non solo di rafforzare l’affidabilità del presidio fiscale, ma anche di documentare in modo puntuale e sistematico l’intero processo di gestione del rischio, elemento cruciale per la certificazione del TCF e per il riconoscimento dei benefici premiali previsti dal regime di adempimento collaborativo.

Certificazione TCF: opportunità e sfide operative

A partire dal 2025, la certificazione del Tax Control Framework (TCF) costituisce un requisito imprescindibile per l’accesso al regime di adempimento collaborativo, in attuazione della riforma introdotta dal D.Lgs. 221/2023 e dal correttivo 108/2024. 

Il nuovo assetto normativo, nel perseguire l’obiettivo di ampliare la platea di imprese aderenti e rendere più credibile il sistema, ha previsto che la valutazione dell’affidabilità del TCF venga effettuata da un professionista indipendente iscritto a un elenco ufficiale tenuto dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, in coordinamento con il Consiglio Nazionale Forense, il MEF e l’Agenzia delle Entrate.

Tuttavia, l’operatività della certificazione si scontra oggi con criticità rilevanti sul piano pratico, in primis in relazione alla scadenza del 31 dicembre 2025 fissata per la presentazione della certificazione per le istanze di accesso al regime riferite all’anno 2024. 

La tempistica è particolarmente stringente se si considera che l’albo dei certificatori è stato reso attivo solo nella seconda metà del 2025 e che il percorso formativo previsto per ottenere l’abilitazione – fino a 80 ore di corso con esame finale – richiede tempi tecnici incompatibili con la scadenza per la maggior parte dei professionisti interessati.

In aggiunta, il regolamento ha introdotto una distinzione tra soggetti esonerati e non esonerati dalla formazione, che rischia di generare asimmetrie di accesso e di opportunità professionale. 

I professionisti esonerati (tipicamente per titoli accademici o esperienze pregresse) possono già oggi avviare il percorso di certificazione e ottenere incarichi, mentre gli altri devono completare l’intero iter formativo e superare l’esame, spesso senza certezze sui tempi e sull’effettiva possibilità di inserimento in elenco entro il termine previsto.

Questo scenario ha spinto una parte significativa della professione a sollecitare una proroga dei termini per la presentazione della certificazione, richiesta che appare fondata non solo sul piano operativo, ma anche per evitare distorsioni concorrenziali. 

L’attuale impianto rischia infatti di creare un accesso selettivo e disomogeneo alla nuova figura del certificatore fiscale, proprio nel momento in cui si dovrebbe stimolare una partecipazione ampia e qualificata al processo di controllo collaborativo.

Va inoltre considerato che il ruolo del certificatore TCF non è meramente formale, ma richiede competenze interdisciplinari – tributarie, organizzative, di controllo interno e di risk management – che non possono essere improvvisate. 

L’impostazione delle Linee Guida AdE (prot. 5320/2025) e dei relativi allegati presuppone una conoscenza approfondita delle dinamiche aziendali, delle metodologie di mappatura del rischio e dei criteri di valutazione dei controlli, oltre a un’effettiva indipendenza rispetto al soggetto certificato.

In questa prospettiva, la certificazione rappresenta una grande opportunità per la professione del commercialista, destinata a ricoprire un ruolo sempre più centrale nella costruzione della tax governance delle imprese. Ma perché tale opportunità si traduca in uno sviluppo reale e diffuso, è indispensabile garantire condizioni di accesso eque, tempi congrui per la formazione e meccanismi di riconoscimento delle competenze realmente meritocratici.

Considerazioni conclusive

Il Tax Control Framework (TCF), così come delineato dalle Linee Guida dell’Agenzia delle Entrate e alla luce delle più recenti riforme normative, rappresenta oggi ben più di uno strumento di compliance fiscale: si configura come un pilastro strutturale della governance aziendale, capace di orientare l’impresa verso una gestione consapevole, trasparente e sostenibile della variabile tributaria. 

Nell’ambito delle operazioni straordinarie, in particolare, il TCF consente di convertire una potenziale criticità – il rischio fiscale – in un elemento di forza negoziale, contribuendo a semplificare la due diligence, ridurre le garanzie contrattuali, favorire l’accesso a coperture assicurative e accrescere il valore percepito dell’impresa.

Ma i benefici vanno oltre.

L’adozione di un TCF certificato favorisce una relazione più evoluta con l’Amministrazione finanziaria, fondata sulla trasparenza preventiva e sul dialogo costruttivo, secondo i principi del regime di adempimento collaborativo. Inoltre, l’integrazione del TCF nei sistemi di controllo interno e nella reportistica ESG consente di posizionare l’impresa nel novero delle realtà mature, responsabili e affidabili, capaci di attrarre capitali, partnership strategiche e fiducia da parte del mercato.

Per i professionisti della fiscalità, ciò comporta una profonda evoluzione del ruolo: non più meri tecnici dell’adempimento, ma consulenti di governance fiscale e certificatori della qualità dei processi aziendali. 

La padronanza del framework TCF – nelle sue componenti operative, documentali e valutative – diventa un fattore distintivo in grado di determinare l’accesso a nuove aree di consulenza ad alto valore aggiunto, anche in ambito M&A e nelle operazioni assistite da fondi o investitori istituzionali.

In questo scenario, accompagnare i clienti nella transizione verso un modello di controllo certificato, integrato e documentato non è più un’opzione accessoria, ma un imperativo strategico per garantire competitività agli studi professionali e solidità al tessuto imprenditoriale italiano.

La sfida che ci attende, come professionisti e come sistema ordinistico, è quella di costruire competenze, strumenti e alleanze per presidiare con autorevolezza questa nuova frontiera della consulenza, che unisce tecnica, etica e visione strategica d’impresa.



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