Nell’epoca della trasformazione digitale, il corpo umano sta acquisendo un nuovo tipo di valore, non più soltanto biologico ma anche economico e computazionale.
L’organismo è oggi progressivamente tradotto in flussi di dati biometrici, segnali neurali, metriche vitali e sequenze genetiche.
Questa digitalizzazione non si limita a generare informazioni cliniche, ma produce risorse monetizzabili, assicurabili e potenzialmente scambiabili che entrano a far parte di un ecosistema socio-tecnologico in cui l’essere umano è simultaneamente “produttore” e “prodotto” del dato.
Il corpo come asset: verso una nuova economia del sé
Tra il 2023 ed il 2024, aziende attive nel settore della salute digitale e del monitoraggio biometrico – come Huma, WHOOP e Fitbit – hanno potenziato le loro piattaforme, offrendo servizi di monitoraggio continuo della salute, della qualità del sonno e della performance fisica attraverso wearable avanzati, spesso integrati con modelli predittivi basati su intelligenza artificiale. Questi dispositivi non raccolgono soltanto dati: li interpretano, li aggregano e li valorizzano all’interno di ecosistemi chiusi in cui l’utente, spesso inconsapevolmente, diventa fonte di valore economico.
Parallelamente, progetti come Ocean Protocol stanno esplorando modelli decentralizzati per la gestione e lo scambio dei dati personali – inclusi quelli sanitari e biometrici – attraverso l’utilizzo di blockchain, smart contract e token digitali. L’idea è quella di restituire agli individui il controllo e, potenzialmente, il profitto derivante dai propri dati, aprendo la strada ad una microeconomia basata sull’identità digitale e biologica.
In alcuni contesti, i dati biometrici si trasformano in vere e proprie polizze viventi, utilizzate da compagnie assicurative per adattare i premi in base ai comportamenti quotidiani.
Il programma Vitality
È il caso dei programmi Vitality, adottati da alcune assicurazioni internazionali come la Discovery Limited, in cui gli utenti ricevono sconti, vantaggi o premi sulla base di parametri monitorati tramite dispositivi wearable, come l’attività fisica giornaliera, la qualità del sonno o le abitudini alimentari. La salute, in questo modello, diventa un parametro negoziabile, misurato in tempo reale.
Contemporaneamente, piattaforme di biohacking e self-tracking come Open Humans incentivano la condivisione volontaria di informazioni genetiche e fisiologiche, offrendo in cambio visibilità, accesso a servizi personalizzati, sconti o criptovalute.
Una nuova ontologia dell’umano
In questo scenario, il corpo non è più soltanto vissuto, diagnosticato o curato: è registrato, misurato, quantificato e potenzialmente scambiato. Si profila una nuova ontologia dell’umano in cui il confine tra biologia e finanza, tra salute e mercato, tra privacy e trasparenza diventa sempre più sottile.
Se il corpo è un asset, allora la domanda diventa inevitabile: quali diritti abbiamo sul nostro gemello digitale intenso come la copia virtuale del nostro corpo prodotta dall’insieme dei nostri dati biologici, sanitari e comportamentali?
Biometria e medicina predittiva
Se dunque il corpo, come visto, si configura sempre più come un asset digitale e scambiabile, è grazie alla sua capacità di produrre dati in tempo reale, traducendo la fisiologia umana in segnali misurabili. Il nostro organismo non è più soltanto carne e ossa: è un emettitore costante di dati, un sistema vivente che trasmette informazioni biometriche analizzabili da dispositivi digitali.
Dai battiti cardiaci alla dilatazione pupillare, dalla qualità del sonno alla variabilità della glicemia, ogni funzione corporea può essere rilevata, archiviata e trasformata in un valore computabile.
Questi dati, detti biometrici, includono tutto ciò che ci identifica in modo univoco sul piano fisico e fisiologico: impronte digitali, iride, voce, DNA, tracciati EEG, andatura, respirazione, temperatura cutanea, livelli di cortisolo e molto altro. Tecnologie sempre più sofisticate raccolgono queste informazioni in tempo reale, grazie a sensori miniaturizzati e algoritmi di analisi predittiva.
Dispositivi indossabili
Per esempio lo smartwatch, che è ormai un’estensione del polso umano, rileva fibrillazioni atriali, ossigenazione del sangue, pressione arteriosa e anomalie nella postura. Dispositivi come l’Oura Ring, anello smart di ultima generazione, monitorano sonno, stress, temperatura e cicli ormonali, diventando veri strumenti di salute predittiva.
Nel frattempo, l’app integrata in iOS Apple Health, potenziata dal chip S9 e dalla piattaforma HealthKit aggiornata nel 2024, ha introdotto una dashboard clinica personalizzata, capace di integrare dati provenienti da dispositivi medici certificati.
In questo panorama, alcuni centri sanitari, come la Mayo Clinic negli Stati Uniti, hanno già iniziato ad impiegare tali dati biometrici per modulare terapie da remoto, dando vita a un ecosistema medico in cui i dati del corpo viaggiano in tempo reale verso piattaforme digitali che li elaborano per regolare i trattamenti anche da remoto.
Interfacce impiantabili
Ma non solo. Società come Neuralink e Precision Neuroscience stanno sviluppando interfacce neurali impiantabili capaci di leggere l’attività cerebrale ad alta risoluzione; questi brain-computer interfaces (BCI) promettono non solo nuove forme di comunicazione per pazienti neurologici, ma anche un’estensione delle capacità cognitive umane in contesti futuri di “neuro-enhancement”.
Biobanche genetiche
Parallelamente, crescono le biobanche genetiche: aziende come 23andMe, AncestryDNA o la giapponese Genesis Healthcare conservano milioni di profili genomici, impiegati per ricerche scientifiche ma anche appetibili per assicurazioni, aziende biotech e piattaforme di marketing sanitario.
Nel 2023, la healthtech company statunitense Lifenome ha avviato un programma basato su test del DNA volto a suggerire piani personalizzati di dieta, integrazione ed attività fisica: il genoma diventa così un consulente quotidiano, una guida algoritmica che accompagna le scelte di vita dell’individuo.
Medicina personalizzata
L’impatto sul sistema sanitario è profondo: la raccolta massiva di dati biometrici sta accelerando lo sviluppo della medicina personalizzata, spostando l’approccio clinico da protocolli standardizzati a cure su misura, guidate da algoritmi capaci di apprendere direttamente dal corpo e adattarsi alle sue mutazioni.
Ma a questa promessa si accompagna un nuovo paradigma di vulnerabilità: più dati biometrici rendiamo accessibili, più il nostro corpo si espone a logiche di sorveglianza, marketing e discriminazione algoritmica.
Digital twin
Il gemello digitale, generato dai nostri dati, non è più solo un riflesso passivo: è una rappresentazione attiva della nostra identità corporea che può essere interpretata, profilata, assicurata o venduta.
E mentre il confine tra medicina e mercato si assottiglia, resta aperta una questione centrale: quanto controllo possiamo esercitare sul nostro corpo quando esso diventa, a tutti gli effetti, un flusso di dati tracciabili?
Tokenizzazione e blockchain: il corpo come bene scambiabile
Nel solco della crescente digitalizzazione dell’essere umano, si affaccia un’ulteriore trasformazione: la tokenizzazione del corpo umano.
Dopo la raccolta, l’analisi e la personalizzazione terapeutica dei dati biometrici, infatti, il passo successivo è l’ingresso di questi dati nei circuiti della finanza decentralizzata, secondo le logiche proprie della blockchain.
Tokenizzare, nel linguaggio digitale, significa trasformare un elemento – fisico o astratto – in un asset digitale unico, rappresentato da un token su blockchain.
Applicata al corpo, questa logica dà origine alla tokenizzazione biologica: la conversione di informazioni genetiche, parametri vitali e dati biometrici in oggetti digitali certificati, tracciabili, talvolta scambiabili od assicurabili.
La nuova frontiera
Sono diversi i progetti che stanno già esplorando questa nuova frontiera. La piattaforma biotech Genobank.io, fondata dall’imprenditore messicano con background in cyber security e blockchain, Daniel Uribe, ad esempio, consente agli utenti di generare DNA wallets, ovvero veri e propri portafogli digitali in cui conservare il proprio profilo genetico in forma anonima e crittografata, decidendo in autonomia se condividerlo per fini medici, farmacologici o di ricerca.
Marketplace per lo scambio sicuro di dati genetici e biometrici
Parallelamente, startup come EncrypGen e Nebula Genomics stanno sviluppando marketplace decentralizzati per lo scambio sicuro di dati genetici e biometrici. In questi ambienti, il dato biologico può assumere la forma di un token non fungibile (NFT), unico e firmato digitalmente, talvolta persino coperto da assicurazioni contro accessi illeciti o violazioni della privacy.
Anche LifeNome, startupfondata nel 2016 ed attiva nel campo della salute predittiva, ha avviato nel 2024 un progetto pilota con alcune compagnie assicurative per la creazione di gemelli digitali assicurati: avatar biologici dinamici che rappresentano il nostro stato di salute attuale e potenziale, utilizzabili per determinare premi assicurativi personalizzati o valutare rischi sanitari futuri.
Interazione sanitaria registrata in blockchain
A completare il quadro, piattaforme come Aimedis e HealthBlocks stanno costruendo ecosistemi in cui ogni interazione sanitaria – da una visita medica ad un aggiornamento clinico – viene registrata in blockchain e trasformata in token, creando una cronologia digitale immutabile del nostro “sé biologico”.
In questo modello, il corpo non è solo sorgente di dati, ma fonte di valore economico, parte attiva di un’economia che fonde salute, identità personale e finanza decentralizzata.
Sovranità digitale tra diritti e algoritmi
Se la tokenizzazione biologica apre alla possibilità di trasformare il corpo umano in un asset digitale scambiabile, la domanda che sorge spontanea è chi ne sia il legittimo proprietario: l’individuo da cui i dati provengono o la piattaforma che li ha raccolti, elaborati e registrati su blockchain?
Quando il nostro sé biologico assume una forma computazionale, infatti, il tema della sovranità digitale sul corpo si intreccia con quesiti etici, giuridici e filosofici di complessa risoluzione.
In merito, attualmente, il panorama normativo appare frammentato. Il Regolamento generale sulla protezione dei dati dell’Unione Europea riconosce all’individuo il diritto di accesso, rettifica, portabilità e cancellazione dei propri dati personali, inclusi quelli biometrici e genetici.
Tuttavia, non definisce in modo esplicito una forma di proprietà esclusiva dei dati: chi li raccoglie può detenerli ed, in certi casi, persino monetizzarli, purché il consenso sia stato formalmente acquisito. Ma quanto è davvero consapevole ed informato quel consenso in un ecosistema tecnologico spesso poco chiaro?
Il consenso informato
La tensione si amplifica quando i dati, anche se teoricamente tracciabili via blockchain, vengano venduti a terzi, condivisi con compagnie assicurative o utilizzati per addestrare algoritmi predittivi.
In questi scenari, il consenso informato rischia di diventare una formalità vacua e la trasparenza promessa dalle tecnologie decentralizzate può cedere il passo a nuove forme di controllo centralizzato, mascherate da innovazione.
Il gemello digitale biologico
Nel contesto della tokenizzazione biologica, si delinea inoltre la già citata figura del gemello digitale biologico che si sostanzia in un avatar generato a partire da dati biometrici, clinici e genetici, che simula – in tempo reale e con crescente precisione – il nostro stato di salute attuale e le sue possibili evoluzioni.
Se questi modelli vengono utilizzati per stimare l’idoneità ad un’assicurazione, stabilire priorità terapeutiche o assegnare credito sanitario, chi ne ha il controllo? Chi risponde delle conseguenze, se il nostro doppio digitale prende decisioni che ci riguardano senza che possiamo intervenire?
Per rispondere a queste nuove forme di vulnerabilità, alcuni Paesi stanno iniziando a proporre strumenti normativi innovativi.
I neurodiritti
È il caso del Cile che ha avanzato una proposta pionieristica di neurodiritti – oggi oggetto di discussione anche presso il Parlamento Europeo e le Nazioni Unite.
Tra questi diritti emergenti si annoverano, a titolo esemplificativo:
- diritto alla privacy mentale;
- diritto all’identità neurale personale;
- quello alla protezione da manipolazioni;
- diritto all’autodeterminazione genetica.
Questi principi puntano a proteggere non solo l’integrità fisica del corpo umano, ma anche quella della sua rappresentazione digitale, in particolare in contesti ad alta intensità algoritmica.
Estendere i diritti fondamentali anche al corpo digitale
A partire dal 2022, il Parlamento Europeo ha approvato risoluzioni non legislative che, sebbene non abbiano forza vincolante, invitano gli Stati ad estendere i diritti fondamentali anche al corpo digitale, riconoscendo all’individuo la possibilità di revocare in qualsiasi momento l’accesso a dati biometrici o genetici da parte di terzi, promuovendo forme di sovranità individuale sui dati.
In definitiva, se il corpo si sta trasformando in una piattaforma dati, il diritto non può più limitarsi a regolare il consenso ma deve garantire forme nuove di proprietà, tutela e responsabilità, capaci di proteggere l’identità biologica nell’era della sua duplicazione digitale.
In altri termini, serve una visione giuridica che difenda non solo ciò che siamo, ma anche ciò che digitalmente diventiamo.
Il capitalismo biologico: il diritto alla cura nella società dei dati
Se il diritto fatica ancora ad inseguire la trasformazione del corpo in dato, le implicazioni etiche e sociali della tokenizzazione biologica sono forse ancora più vertiginose.
La monetizzazione del sé fisiologico, resa possibile da sensori e piattaforme che tracciano ogni battito, ogni ora di sonno, ogni predisposizione genetica, inaugura infatti una nuova forma di capitalismo: quello biologico.
n questo sistema, il valore non si misura più solo in capitale o dati aggregati, ma nel potenziale di performance del corpo umano, un potenziale che può essere premiato o penalizzato, assicurato o persino escluso.
Il rischio più evidente è quello di una sanità algoritmica che, anziché colmare le disuguaglianze, le amplifica.
Il rischio di sanità algoritmica
Se i parametri biometrici diventano criteri per definire la “virtuosità” del corpo – e quindi per accedere a premi assicurativi, programmi di prevenzione o trattamenti personalizzati – allora chi non rientra nei modelli ideali potrebbe essere abbandonato dal sistema sanitario.
Il diritto alla cura rischia, quindi, di trasformarsi in un diritto condizionato, vincolato al proprio profilo bio-digitale.
La sorveglianza sanitaria
A ciò si aggiunge un secondo fronte, ancora più invisibile ma altrettanto pervasivo: quello della sorveglianza sanitaria. Il corpo connesso al mondo digitale è anche un “corpo esposto”.
L’interfaccia algoritmica che promette benessere e personalizzazione porta con sé la cosiddetta nudità algoritmica ovvero l’impossibilità di sottrarsi al controllo dei propri stati emotivi, cognitivi e fisiologici.
Chi raccoglie questi dati può anticipare non solo le nostre malattie, ma anche le nostre paure, i nostri desideri, le nostre fragilità.
La mercificazione del dato biologico
Del pari, si apre anche una riflessione sulla mercificazione del dato biologico. Sempre più servizi offrono ricompense in cambio del proprio patrimonio genetico o fisiologico, proponendo incentivi economici o sanitari per chi accetta di condividere il proprio DNA, la propria cronobiologia, i propri livelli ormonali. Ma si può davvero parlare di scelta libera in un contesto in cui non vendere i propri dati significa, talvolta, non accedere a cure, sconti od opportunità?
Il pericolo ultimo non è solo quello di perdere il controllo sul proprio corpo digitale, ma di interiorizzare una nuova norma sociale secondo la quale valiamo quanto i nostri parametri biometrici.
È l’ideale performativo della salute trasformato in obbligo: una società in cui il diritto universale alla cura cede il passo a una logica selettiva, predittiva, escludente.
La sanità del futuro tra algoritmi wallet e avatar terapeutici
Dalla mercificazione della fisiologia umana alla selettività algoritmica dell’accesso alla cura, il quadro delineato sinora solleva interrogativi profondi su quale tipo di società la tokenizzazione del corpo stia contribuendo a costruire. Ma cosa ci attende nei prossimi anni, quando queste tecnologie non saranno più sperimentali ma strutturali?
Ad un primo sguardo si intravedono prospettive decisamente affascinanti. La medicina predittiva e personalizzata promette diagnosi più tempestive, trattamenti su misura ed una prevenzione costruita sulla singolarità biologica di ciascun individuo.
Tra le innovazioni più concrete vi è la visione di una sanità decentralizzata, in cui i dati biometrici, raccolti da sensori e dispositivi indossabili, non vengano più custoditi da istituzioni centralizzate ma archiviati in wallet digitali personali, accessibili tramite blockchain.
In questo scenario, ciascun individuo potrebbe controllare in prima persona l’accesso alle proprie informazioni sanitarie, decidendo quando e con chi condividerle: medici, assicurazioni, centri di ricerca.
Si supererebbero così i silos informativi e si rafforzerebbe la sovranità individuale sul proprio corpo digitale.
Pagamenti biometrici legati alla salute
Accanto a questo modello, stanno emergendo tecnologie che intrecciano identità corporea e sistemi transazionali. I pagamenti biometrici legati alla salute sono una frontiera in rapido sviluppo: non solo riconoscimento facciale o impronte, ma anche parametri come battito cardiaco o profilo neurofisiologico come chiavi d’accesso a servizi personalizzati.
In un simile ecosistema, il corpo diventa al tempo stesso identità, portafoglio e contratto, e le interazioni con il sistema sanitario potrebbero essere regolate da algoritmi che valutano, in tempo reale, probabilità di efficacia e costi-benefici biologici.
Gemelli digitali sanitari
Un ulteriore sviluppo già in corso è rappresentato dai gemelli digitali sanitari: modelli computazionali individualizzati, alimentati da dati biometrici, genetici e clinici, capaci di simulare reazioni a farmaci, interventi o stili di vita.
Centri come la Cleveland Clinic stanno sperimentando l’uso di digital twins per monitorare in tempo reale il cuore e prevedere eventi critici prima che si manifestino.
In prospettiva, ogni paziente potrebbe essere affiancato da un avatar digitale su cui testare strategie terapeutiche, riducendo rischi e ottimizzando risultati.
Cura, empowerment e dignità
Tuttavia, questo stesso orizzonte pone una questione cruciale: chi potrà accedere a queste tecnologie? La medicina aumentata rischia di essere il privilegio di chi possiede i mezzi per alimentare e mantenere attivi i propri ecosistemi di dati.
La disuguaglianza sanitaria potrebbe radicalizzarsi: non più solo tra chi è malato e chi è sano, ma tra chi ha un gemello digitale evoluto e chi no; tra chi può ottimizzare il proprio genoma e chi resta escluso dalla possibilità di modellare la propria salute.
Eppure, una visione alternativa è possibile. Se regolamentata in modo equo e costruita su principi di giustizia digitale, la tokenizzazione del corpo potrebbe diventare una leva per democratizzare l’accesso alla salute personalizzata, restituendo ai cittadini il controllo sulle proprie traiettorie fisiologiche e terapeutiche.
La vera posta in gioco, in fondo, non è tecnologica ma politica e culturale: costruire un futuro in cui i dati non siano solo strumento di profitto o controllo, ma di cura, empowerment e dignità.
Il diritto ad essere offline
Alla luce di questi scenari futuri – tra medicina aumentata, gemelli digitali e dati biometrici come moneta – la questione cruciale che si pone non è più solo tecnologica, ma profondamente esistenziale. Se il corpo può essere simulato, misurato, scambiato e potenzialmente capitalizzato, allora dobbiamo chiederci cosa significhi oggi avere – o forse essere – un corpo.
La promessa di una sanità predittiva e personalizzata si accompagna ad una trasparenza radicale: ogni battito, gene od emozione diventa leggibile, interpretabile, monetizzabile.
Ma questa visibilità totale ha un prezzo. Più il nostro corpo digitale si espone, più si assottiglia il confine tra cura e controllo, tra empowerment e sorveglianza, tra autonomia e selezione algoritmica.
I dati biometrici non sono mai neutri: definiscono chi siamo, ma anche chi siamo considerati essere da sistemi assicurativi, diagnostici e sociali. Ed è proprio qui che si insinua il rischio di nuove disuguaglianze e forme di vulnerabilità.
In questo contesto, non basta rivendicare la privacy o il consenso informato. Occorre riconoscere un nuovo diritto emergente: il diritto ad essere (anche) offline e quindi il diritto a decidere quando, come e se rendere visibile il proprio corpo digitale, il diritto a custodire spazi inaccessibili all’algoritmo, dove la nostra umanità rimanga opaca, non quantificabile, non negoziabile.
La vera domanda, allora, non è solo chi possiede i nostri dati, ma se possiamo ancora governare ciò che scegliamo di digitalizzare di noi stessi.
Perché in un mondo in cui la carne diventa codice, la libertà più radicale potrebbe consistere nel mantenere una parte di noi irriducibilmente umana, silenziosa e non leggibile.
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