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governance, PMI e missioni strategiche


Da mesi in Europa si ripete che, sullo Spazio, occorre “svegliarsi”. È vero. Ma per l’Italia quel richiamo vale doppio. Non basta sintonizzarsi sul ritmo continentale: serve una svolta domestica, una modifica sostanziale della governance nazionale che metta al centro le piccole e medie imprese e ricucia le filiere dall’hardware ai servizi. Lo Spazio non è più un settore “di nicchia”: è l’infrastruttura su cui si giocheranno competitività, sicurezza e diplomazia economica del prossimo decennio.

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Innovazione e rischio di dipendenza

A ricordarcelo, senza giri di parole, è Mariano Bizzarri, coordinatore del Comitato interministeriale per le politiche relative allo Spazio (Comint) presso la Presidenza del Consiglio. Nel suo intervento pubblicato sul quotidiano Il Tempo del 26 Agosto 2025, Bizzarri definisce lo Spazio “il volano principale dell’innovazione” in domini chiave come cyber-sicurezza, intelligenza artificiale, biomedicina, osservazione della Terra ed energia, e invita l’Europa a una “rivoluzione culturale” capace di trattenere talenti e ricostruire capacità industriali. “Se non sei seduto a tavola, sei nel menù”, avverte, sintetizzando il rischio di dipendenza strategica dal resto del mondo.

Gap con gli stati uniti e limiti europei

Il confronto con gli Stati Uniti è impietoso: oltre Atlantico, ricorda Bizzarri, la NASA ha ridisegnato priorità e budget, ridimensionando il comparto “scienza” (con 6.000 esuberi su 18.000 addetti) e spostando l’asse verso la difesa, mentre un ecosistema privato aggressivo amplia il perimetro dell’offerta. In Europa, al contrario, pesano quattro limiti: rete industriale fragile, ritardo accademico e carenza di profili, risorse limitate, sottovalutazione politica del settore. Tradotto: senza scosse di sistema rischiamo di navigare a rimorchio, con calendari e standard decisi altrove.

Dimensioni ridotte e opportunità di crescita

C’è anche un tema di scala e di priorità. Secondo i dati citati da Bizzarri, l’economia spaziale attira una frazione modesta rispetto a comparti come farmaceutica e automotive: circa 7 contro 40 e 60 miliardi di euro. Spazio di crescita, dunque, ce n’è — ma non ci sarà crescita senza scelte. Autonomia non significa autarchia, significa capacità europee credibili e interoperabili, dalla connettività sicura ai servizi in orbita, passando per l’AI “on board” e i semiconduttori “space-grade”.

Dossier sbilanciati e leadership mancata

È su questo crinale che l’Italia deve svegliarsi prima dell’Europa. Il nostro Paese ha un patrimonio scientifico e manifatturiero di valore, ma negli ultimi anni ha spesso inseguito dossier sbilanciati. Lo ammette Bizzarri quando annota l’assenza italiana nell’upstream di IRIS2 — lasciato “colpevolmente” a guida franco-tedesca — e il lungo accanimento terapeutico sui lanciatori, con risultati deludenti e una competizione crescente proprio di Parigi e Berlino sui piccoli vettori. Nel frattempo, si è trascurato il Mediterraneo come teatro naturale della nostra leadership: comunicazioni e monitoraggio marittimo, sensoristica, posizionamento, servizi per porti ed energia. Qui l’Italia, dice Bizzarri, deve “tornare ad avere un ruolo di preminenza”.

Governance più forte e regia unica

La conseguenza è chiara: riformare la governance. Oggi il mosaico di competenze e responsabilità allunga i tempi, frammenta i bandi, disperde risorse. Occorre una cabina di regia forte e misurabile, che assicuri continuità pluriennale e responsabilità certe. Il Comint, se dotato di mandato e strumenti adeguati, può diventare il luogo in cui si fissano obiettivi, si finanziano le capabilities e si misurano i risultati. Accanto, l’ASI va trasformata in un “acquirente intelligente” che compra capacità e servizi, non solo hardware: contratti a milestone, interoperabilità obbligatoria, cyber-sicurezza e lifecycle cost tra i criteri di valutazione. È così che si fa crescere un ecosistema, non con bandi episodici e requisiti cuciti su misura dei soli prime contractor.

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Pmi al centro delle filiere spaziali

Al centro, però, devono starci le PMI. Non per gentile concessione, ma per strategia: è nei team piccoli e veloci che nasce la frontiera, a patto di agganciarli a filiere robuste — integratori, subfornitori qualificati, service provider — capaci di accompagnarli dal prototipo al mercato. Il governo può e deve orientare: quote minime del valore contrattuale affidate a PMI e mid-cap, piani di filiera obbligatori per i grandi, percorsi di qualifica snelli e test certificati su rete nazionale di testbed. Ogni euro pubblico investito in Spazio dovrebbe portare con sé un dividendo di ampliamento della base industriale e di trasferimento tecnologico lungo la catena del valore.

Strumenti per innovazione e tecnologie critiche

C’è poi lo scalino critico tra laboratorio e orbita. Senza strumenti ad hoc, l’innovazione resta dimostratore. Un programma nazionale sul modello SBIR — tre fasi, proof of concept, prototipo, primo acquisto pubblico — consentirebbe di finanziare la prima produzione e de-rischiare il salto commerciale. Nel frattempo, un fondo per le filiere critiche (semiconduttori “rad-hard”, materiali avanzati, avionica, propulsione verde) aiuterebbe a colmare i buchi di sovranità tecnologica. Non si tratta di sussidi a pioggia, ma di contratti di sviluppo vincolati a risultati e time-to-orbit.

Competenze e formazione specializzata

La riforma passa anche da università e talenti. Oggi, denuncia Bizzarri, mancano competenze specifiche e l’accademia fatica a cogliere la domanda di nuove professionalità: avionica digitale, edge AI, space law, assicurazioni, cyber-security dei segmenti spaziale e terrestre. Occorrono cattedre industriali, dottorati co-finanziati, borse vincolate a rientri in azienda e reskilling per il mid-management, altrimenti il paradosso resterà quello attuale: programmi ambiziosi sulla carta, capacità reali insufficienti a eseguirli.

Missioni strategiche e mediterraneo sicuro

Un Paese che decide può permettersi anche missioni-vetrina a guida italiana — poche, chiare, misurabili — capaci di tenere insieme pubblico e privato, grandi e piccoli, accademia e territori. È il caso del già citato “Mediterraneo sicuro”: connettività, monitoraggio marittimo, identificazione dei “target non cooperativi”, servizi per porti e logistica, integrazione con osservazione della Terra. Una missione così creerebbe domanda qualificata, attrarrebbe capitali, costringerebbe la filiera a lavorare su standard aperti e interoperabilità. Esattamente quel che serve per sedersi al tavolo europeo con peso specifico.

La corsa globale non aspetta l’Europa

Tutto questo, va detto, si inserisce in una corsa globale che non aspetta nessuno. Bizzarri lo scrive con realismo: l’avamposto lunare del programma Artemis, le infrastrutture Starlink e Starship, la spinta di nuovi attori privati definiscono l’asticella tecnologica e i tempi del gioco; le alternative europee, nelle ipotesi migliori, non saranno pronte prima di dieci-quindici anni. E mentre il mondo corre, noi discutiamo se “multipolarità” significhi davvero autonomia o illusione lessicale. La risposta non sta in slogan, ma in capacità: connettività sicura, semiconduttori, AI, biomedicina spaziale per permanenze di lunga durata.

L’occasione della prossima ministeriale esa

La prossima ministeriale dell’ESA, chiamata a decidere i prossimi quattro anni, è l’occasione per dimostrare che l’Italia ha una strategia, non un elenco di desideri. Anche qui, l’appello di Bizzarri è netto: basta “arzigogolare” su progetti di limitata valenza strategica; scegliamo poche priorità, difendiamole con una regia politica forte e con strumenti coerenti di finanziamento e controllo. È il modo più serio per trasformare gli investimenti in posizioni durevoli lungo le catene del valore europee.

Quale scelta per l’Italia

In fondo, la scelta è semplice. Possiamo continuare a inseguire, lamentando regole, tempi, vincoli. Oppure possiamo svegliarci, riscrivere la governance, mettere le PMI al centro, pretendere dai grandi piani di filiera e dagli enti pubblici acquisti intelligenti. E costruire, attorno a poche missioni bandiera, una comunità capace di passare dalla ricerca all’industria, dall’industria ai servizi, dai servizi all’influenza. L’Europa deve svegliarsi. Ma perché ciò accada davvero, l’Italia deve svegliarsi adesso. Bizzarri ci ha indicato il quadro e l’urgenza: tocca alla politica, all’industria e all’accademia trasformare l’appello in azione. Se non saremo a tavola, resteremo nel menù.



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