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Come gestire i dati nella sperimentazione clinica


La sperimentazione clinica è una sottocategoria dello studio clinico. Prima di affrontare, sommariamente, la questione dell’uso secondario dei dati relativi alla salute trattati nell’ambito delle predette sperimentazioni, è opportuno effettuare brevi cenni di diritto positivo.

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Sperimentazione clinica, le norme

Tanto premesso, si evidenzia che entrambi sono oggi definiti dall’art. 2, par. 2, Reg. (UE) n. 2014/536. Più specificatamente, ai sensi del n. 1 dell’anzidetta disposizione, per studio clinico deve intendersi “qualsiasi indagine effettuata in relazione a soggetti umani volta a: a) scoprire o verificare gli effetti clinici, farmacologici o altri effetti farmacodinamici di uno o più medicinali; b) identificare eventuali reazioni avverse di uno o più medicinali; oppure c) studiare l’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e l’eliminazione di uno o più medicinali, al fine di accertare la sicurezza e/o l’efficacia di tali medicinali”.

Ai sensi, invece, del n. 2 della disposizione medesima, la sperimentazione clinica è “uno studio clinico che soddisfa una delle seguenti condizioni:

  • l’assegnazione del soggetto a una determinata strategia terapeutica è decisa anticipatamente e non rientra nella normale pratica clinica dello Stato membro interessato;
  • la decisione di prescrivere i medicinali sperimentali e la decisione di includere il soggetto nello studio clinico sono prese nello stesso momento;
  • sono applicate ai soggetti procedure diagnostiche o di monitoraggio aggiuntive rispetto alla normale pratica clinica”.

Quando si può fare una sperimentazione clinica

Come disposto, inoltre, dall’art. 3, Reg. (UE) n. 2014/536, “Una sperimentazione clinica può essere condotta esclusivamente se: a) i diritti, la sicurezza, la dignità e il benessere dei soggetti sono tutelati e prevalgono su tutti gli altri interessi; nonché b) è progettata per generare dati affidabili e robusti”, ma, ai sensi dell’art. 28, par. 2, “Fatta salva la direttiva 95/46/CE, il promotore può chiedere al soggetto o, qualora il soggetto non sia in grado di fornire il proprio consenso informato, il suo rappresentante legalmente designato, nel momento in cui il soggetto o il suo rappresentante legalmente designato fornisce il proprio consenso informato alla partecipazione alla sperimentazione clinica, di acconsentire all’uso dei suoi dati al di fuori di quanto previsto nel protocollo della sperimentazione clinica esclusivamente per fini scientifici.

Il soggetto o il suo rappresentante legalmente designato può revocare tale consenso in qualunque momento. La ricerca scientifica che utilizzi i dati al di fuori di quanto previsto nel protocollo della sperimentazione clinica è condotta in conformità del diritto applicabile in materia di protezione dei dati”. L’art. 56, inoltre, prevede che “1. Tutte le informazioni sulla sperimentazione clinica sono registrate, elaborate, gestite e conservate dal promotore o dallo sperimentatore, a seconda dei casi, in modo tale da poter essere comunicate, interpretate e verificate in modo preciso, tutelando al tempo stesso la riservatezza dei dati e i dati personali dei soggetti in conformità del diritto applicabile in materia di protezione dei dati personali. 2. Sono attuate idonee misure tecniche e organizzative per tutelare le informazioni e i dati personali trattati da rivelazione, diffusione, modifica non autorizzati o illeciti, o dalla distruzione o perdita accidentale, in particolare quando il trattamento comporta la trasmissione attraverso una rete telematica”.

Il ruolo dei dati sanitari

Intuitivamente, l’effettuazione di una sperimentazione clinica implica il trattamento di dati relativi alla salute (“i dati personali attinenti alla salute fisica o mentale di una persona fisica, compresa la prestazione di servizi di assistenza sanitaria, che rivelano informazioni relative al suo stato di salute”, come definiti dall’art. 4 (15) Reg. (UE) n. 2016/679, il GDPR o RGPD), ossia di dati appartenenti a categorie particolari ex art. 9 Reg. (UE) n. 2016/679, il cui trattamento è quindi vietato (art. 9, par. 1), a meno che non ricorrano le eccezioni di cui al par. 2.

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Da un lato, dunque, la normativa sulla protezione dei dati personali; dall’altro, la normativa sulle sperimentazioni cliniche. Sullo sfondo, però, si staglia una considerazione che non può essere pretermessa: i dati trattati nel corso della sperimentazione possono rivelarsi di estremo interesse per i partecipanti anche successivamente alla conclusione della sperimentazione, soprattutto qualora dovessero emergere ulteriori informazioni pertinenti al loro stato di salute. Oltretutto, i dati di tali soggetti potrebbero essere adoperati al fine di evitare lo svolgimento di ulteriori analisi e accertamenti medici, che hanno un costo e che incidono sulle risorse a disposizione del sistema sanitario (o dei privati nei casi di mancata copertura o risposta di quest’ultimo), e che appaiono altresì idonei a supportare decisioni sanitarie maggiormente consapevoli da parte dei partecipanti. I benefici sulla salute sono ovvi, in quanto le informazioni qui menzionate possono incidere sul percorso terapeutico dei partecipanti, dal momento che possono maggiormente autodeterminarsi prendendo decisioni realmente informate.

Il nodo della restituzione dei dati

Si pone, dunque, la questione della c.d. restituzione dei dati, che però si scontra con una molteplicità di questioni soprattutto giuridiche che impattano, poi, sui profili “pratici”. In letteratura (cfr. i suggerimenti di lettura) si è infatti rilevato come la diffusione sistematica dei dati verso i partecipanti avvenga di rado, e ancor meno quando la sperimentazione si è conclusa.

Come si è evidenziato da più parti, ciò è dovuto a diversi fattori, fra cui possono qui menzionarsi l’incertezza circa l’individuazione del soggetto responsabile della restituzione dei dati. Si consideri, infatti, che le case farmaceutiche non possono contattare direttamente i partecipanti dopo la chiusura dello studio e che la restituzione dei dati in un periodo medio-lungo comporta oneri, gestionali e finanziari, che andrebbero a impattare direttamente sulle strutture sanitarie. Inoltre, non risultano dei veri e propri standard per ciò che concerne la restituzione sicura dei dati o la pubblicazione dei risultati aggregati delle sperimentazioni (e fermo restando che la restituzione dei dati ai singoli partecipanti, come sopra accennato, sarebbe particolarmente utile e significativa).

L’intervento dell’Edpb

Questi pochi cenni evidenziano, invero, l’intrinseca conflittualità fra sperimentazioni cliniche e protezione dei dati personali – il che non significa che sia necessario sacrificare l’efficacia delle prime o ridurne le potenzialità sull’altare della privacy, o, viceversa, sacrificare un diritto oramai fondamentale come quello alla protezione dei dati personali. È necessario trovare un equilibrio, con la consapevolezza che il relativo punto sarà presumibilmente precario e da rivedersi periodicamente. Di ciò, in particolare, si è occupato il Comitato Europeo sulla Protezione dei Dati (EDPB, European Data Protection Board) con il suo parere 3/2019 (Comitato Europeo sulla Protezione dei Dati, Parere 3/2019 relativo alle domande e risposte sull’interazione tra il regolamento sulla sperimentazione clinica e il regolamento generale sulla protezione dei dati [articolo 70, paragrafo 1, lettera b)].).

Il Comitato ritiene, in linea generale, “che tutti i trattamenti correlati a uno specifico protocollo di sperimentazione clinica durante l’intero ciclo di vita della sperimentazione, dal suo avvio alla cancellazione una volta scaduto il periodo di archiviazione, vadano intesi come uso primario dei dati della sperimentazione clinica”. Esso distingue fra i trattamenti correlati a finalità di affidabilità e sicurezza e quelli correlati esclusivamente ad attività di ricerca.

Per i primi, individua la base giuridica nell’art. 9, par. 2, lett. i) (“il trattamento è necessario per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali […] la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell’assistenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici, sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri che prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell’interessato, in particolare il segreto professionale”).

Per i secondi, il Comitato ritiene che possano rientrare fra quelli per cui l’interessato ha prestato un consenso esplicito (art. 6, par. 1, lett. a) in combinato disposto con l’art. 9, par. 2, lett. a)), tra i trattamenti necessari per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico (art. 6, par. 1, lett. e)), o tra i trattamenti necessari per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento (art. 6, par. 1, lett. f), in combinato disposto con l’art. 9, par. 2, lett. i) o j), GDPR.

Dati trattati per archiviazione

Un’altra questione, però, appare ancor più delicata ai fini del presente contributo: quella dell’uso secondario dei dati raccolti nella sperimentazione clinica al di fuori del perimetro del suo protocollo per fini scientifici, in relazione a cui il Comitato afferma, significativamente, che “qualora i dati siano successivamente trattati a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, tale trattamento non è a priori considerato incompatibile con la finalità iniziale, purché ciò avvenga in conformità delle disposizioni” dell’art. 89 GDPR, fermi restando gli obblighi previsti dalla vigente normativa in materia di protezione dei dati (con particolare riferimento alla correttezza del trattamento, la liceità, la necessità e la proporzionalità del trattamento, la qualità dei dati).

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Il futuro della sperimentazione clinica

Il quadro rimane ancora complesso e numerosi dubbi interpretativi impediscono attualmente di realizzare il pieno potenziale di eventuali aumentate possibilità di trattamento dei dati relativi alla salute nell’ambito delle sperimentazioni cliniche, ovviamente nel rispetto dei diritti e delle libertà degli interessati, anche al fine di tutelarne maggiormente il diritto alla salute sia per la probabile maggiore efficacia dei percorsi terapeutici sia per gli intuitivi risparmi economici per l’assistenza sanitaria.

Trovare un equilibrio non è, tuttavia, un compito agevole. Come ben evidenziato in dottrina, è opportuno potenziare il ruolo del paziente, che possa diventare parte attiva nella definizione delle strategie e nella progettazione degli studi clinici, assumendo nuovi diritti e correlate responsabilità nell’ambito delle sperimentazioni e dello sviluppo dei farmaci. La ricerca clinica può così avere l’obiettivo di costruire di una vera e propria alleanza sociale, che coinvolga tutti i portatori di interesse (pazienti, professionisti sanitari, autorità regolatorie e aziende farmaceutiche) per giungere a prendere decisioni condivise: un processo collaborativo, dunque, che dovrebbe consentire di tener conto sia delle migliori evidenze disponibili sia delle preferenze e dei valori del paziente (senza dimenticare che proprio quest’ultimo si trova in una situazione di vulnerabilità, transitoria o permanente a seconda dei casi: preziosi, in tal senso, i contributi della dottrina).

L’esempio del progetto Facilitate

È proprio questa la direzione oggi intrapresa con Facilitate (Framework for Clinical Trial Participants’ Data Reutilization for a Fully Transparent and Ethical Ecosystem), progetto quadriennale promosso nell’ambito dell’Innovative Medicines Initiative (IMI) (grazie al programma Horizon 2020 e a EFPIA, European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations).

Esso si pone l’obiettivo di sviluppare un processo di condivisione e riutilizzo dei dati sanitari all’interno di un quadro etico approvato e conforme alle normative europee e nazionali. Al progetto partecipano 29 partner, tra cui varie associazioni di pazienti, ospedali, università, esperti/e di sperimentazione clinica e membri della EFPIA, che operano sotto il coordinamento dell’Università di Modena e Reggio Emilia (Prof. Luca Pani e Prof.ssa Johanna Maria Catharina Blom) e di Sanofi.

Più specificatamente, il progetto mira a consentire ai partecipanti agli studi clinici di accedere ai propri dati sanitari personali raccolti nel corso delle sperimentazioni e di farne uso, così da agevolare l’effettuazione di decisioni rilevanti in modo condiviso con i professionisti sanitari coinvolti nella loro cura, nonché di istituire un processo che permetta il riutilizzo di tali dati anche in future attività di ricerca.

L’idea alla base di Facilitate è che i dati degli studi clinici relativi ai pazienti possano essere resi disponibili per confronti incrociati con altri archivi: oggi, infatti, i dati clinici sono frammentati e conservati in archivi separati, non potendo essere normalmente utilizzati al di fuori specifiche sperimentazioni. La ricerca è pertanto finalizzata a raggiungere un obiettivo assai ambizioso: garantire che l’intero processo – dalla raccolta dei dati fino alla loro distruzione o anonimizzazione, dalla condivisione al riutilizzo – sia conforme ai requisiti giuridici ed etici, da un lato, e sia allineato non solo agli interessi e alle volontà dei partecipanti allo studio, ma anche a quelli delle strutture sanitarie, del mondo accademico e dell’industria, dall’altro.

Bibliografia

Blom, J.M.C – Rivi, V. – Tascedda, F. – Pani, L., The nexus of social alliances and diverse moral domains: a bedrock for participatory clinical research, in Frontiers in Medicine, 2023, 10.

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

Casadei, Th., La vulnerabilità in prospettiva critica, in O. Giolo – B. Pastore (a cura di), Vulnerabilità. Analisi critica di un soggetto, Carocci, Roma, pp. 73-99.

Fioriglio, G., La protezione dei dati sanitari nella Società algoritmica. Profili informatico-giuridici, in Journal of Ethical and Legal Technologies, 2021, 2, pp. 79-102.

Staunton, C. – Blom J.M.C. – Mascalzoni, D., on behalf of the IMI FACILITATE Consortium. Ethical framework for FACILITATE: a foundation for the return of clinical trial data to participants, in Frontiers in Medicine, 11.

Zanetti, Gf., Filosofia della vulnerabilità. Discriminazione, percezione, diritto, Carocci, Roma, 2019.

Nota dell’autore


* L’Autore dichiara che i temi di ricerca approfonditi nel presente contributo sono stati oggetto di finanziamento nell’ambito della Innovative Medicines Initiative Joint Undertaking (IMI-JU), ai sensi dell’accordo di sovvenzione n. 101034366 (FACILITATE), i cui fondi risultano costituiti da un contributo finanziario dell’Unione europea (IMI) nonché da contributi in natura da parte delle imprese aderenti a EFPIA. L’Autore non ha percepito alcuna remunerazione economica a titolo personale per la propria partecipazione alla stesura del presente manoscritto. Tutte le affermazioni espresse nel presente articolo sono esclusivamente riconducibili all’Autore.



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