Intervenendo ieri al 46esimo Meeting di Rimini, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha affermato che «con il Piano Mattei non vogliamo sfruttare il continente per le sue materie prime. Vogliamo costruire partenariati paritari, basati sul rispetto reciproco e sulla fiducia, aiutando l’Africa a crescere con noi». Com’è possibile trasformare un auspicio in realtà?
La transizione energetica nel Mediterraneo e in Africa non è soltanto una questione di approvvigionamenti, ma il terreno su cui si ridefiniscono relazioni geopolitiche, modelli di sviluppo e nuove forme di cooperazione internazionale. A sottolinearlo sono diversi rapporti di rilievo: l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), che con i suoi Regional energy transition outlook delinea visioni concrete per le diverse regioni africane; l’iniziativa Sustainable energy for all (Seforall), che attraverso l’Africa hub sostiene molti Paesi nella costruzione di sistemi energetici inclusivi e sostenibili; l’Unione europea, che tramite l’Africa-Eu energy partnership (Aeep) e il programma Global gateway ha previsto ingenti risorse per infrastrutture verdi e connettività.
In questo scenario si inserisce il policy briefing del think tank Ecco climate “Transizione energetica nel Mediterraneo: ripensare i partenariati tra Italia e Nord Africa”, che assume un rilievo particolare per il nostro Paese. Il documento non si limita a ribadire la centralità del Mediterraneo come hub energetico dopo la crisi del gas, ma invita esplicitamente l’Italia a superare il paradigma tradizionale “buyer–supplier” verso il Nord Africa e a farsi promotrice di un nuovo modello di partenariato multilaterale e paritario. In questo quadro, il ruolo delle agenzie multilaterali diventa decisivo.
L’Unesco, ad esempio, non è solo un organismo internazionale di riferimento, ma anche una piattaforma che mette in rete università e centri di ricerca attraverso le Cattedre Unesco, Centri e Istituti di categoria 2 Unesco. È proprio grazie a questa capacità di connettere formazione, ricerca e cooperazione internazionale che l’Unesco rafforza la dimensione multilaterale a cui il rapporto Ecco invita esplicitamente l’Italia. Secondo Ecco, il potenziale solare ed eolico dell’area – oltre 3 TW – può diventare un volano di sicurezza energetica e resilienza climatica solo se accompagnato da tre direttrici: integrazione infrastrutturale, sviluppo dei mercati locali e mobilitazione del “Sistema Italia” (istituzioni, imprese, diplomazia).
Ma queste tre direttrici possono produrre effetti duraturi solo se accompagnate da una quarta dimensione, meno tangibile ma altrettanto decisiva: la costruzione di conoscenze, competenze e istituzioni condivise. Il richiamo alla visione multilaterale non riguarda infatti soltanto le infrastrutture fisiche, ma anche quelle immateriali fatte di sapere e formazione.
In questa prospettiva si colloca il volume Empowering higher education in Africa: Italy and the Unesco Chair network (2024), che inserisce l’azione delle Cattedre Unesco italiane (Recui) nella cornice della Strategia di medio termine dell’Unesco 2022-2029, che considera l’Africa una priorità globale. Il volume non si limita a mappare i progetti, ma evidenzia come la cooperazione accademica contribuisca a ridurre le disparità nell’accesso all’istruzione superiore, rafforzando la ricerca, la mobilità e le reti di conoscenza.
Dalla fotografia dei progetti di ricerca e cooperazione emerge una visione coerente con la transizione energetica: affrontare le grandi sfide – dall’accesso all’energia alla salute, dall’acqua ai diritti umani – richiede istituzioni solide, capitale umano qualificato e diplomazia scientifica. In questo senso, la Recui rappresenta un veicolo concreto per trasformare l’educazione in uno strumento di sviluppo sostenibile e di cooperazione multilaterale, secondo l’appello delle Nazioni Unite a “trasformare l’educazione per trasformare il mondo”.
Le contraddizioni di questo scenario sono state ben messe in luce da Emanuela Colombo e Diana Shendrikova, della Cattedra Unesco del Politecnico di Milano, che nel loro articolo “La rilevanza geopolitica dell’Africa Sub-Sahariana (2024)” ricordano come l’Africa, pur responsabile di meno del 4% della domanda globale di energia, conti ancora oltre 600 milioni di persone senza accesso all’elettricità. Un dato che evidenzia lo scarto tra un potenziale rinnovabile immenso – solare ed eolico tra i più elevati al mondo – e una realtà segnata da povertà energetica diffusa.
In questo contesto, le comunità energetiche diventano non un dettaglio tecnico, ma un paradigma di trasformazione. È il cuore della ricerca portata avanti dalla Cattedra Unesco in Comunità energetiche sostenibili dell’Università di Pisa, diretta da Marco Raugi, che opera su tre fronti complementari: progetti di elettrificazione nelle aree rurali africane, sviluppo delle comunità energetiche come modello di transizione giusta e partecipata, e supporto ai siti Unesco africani nel ripensare la propria sostenibilità energetica. Qui la cooperazione accademica si traduce in sperimentazione concreta, mostrando come accesso all’energia, innovazione comunitaria e tutela del patrimonio possano diventare pilastri di una stessa visione multilaterale.
A rafforzare questa prospettiva è la già citata Recui, che abbraccia un ampio spettro di ambiti – dall’educazione alla salute, dalle migrazioni al patrimonio culturale, dall’ambiente ai diritti umani, dal dialogo interreligioso alla pace, dall’energia alla sostenibilità. Proprio questa multidisciplinarità con l’approccio transdisciplinare rende la Recui un presidio stabile e credibile nel continente africano: una diplomazia culturale e scientifica che integra ricerca, formazione e cittadinanza attiva.
All’interno di questo mosaico, le Cattedre Unesco dedicate all’energia contribuiscono a trasformare la cooperazione energetica in cooperazione umana. In coerenza con questo indirizzo, l’Unesco ha istituito la nuova rete globale delle Cattedre sulla transizione energetica, che sarà inaugurata il 21 ottobre a Parigi: un ulteriore passo che rafforza la cornice multilaterale indicata anche dal rapporto Ecco e riconosce il ruolo delle Cattedre Unesco come presidio stabile di cooperazione.
Il quadro multilaterale è dunque essenziale: senza questa cornice non c’è transizione possibile. Ma dentro questa cornice occorre valorizzare il contributo specifico dell’Italia. Infrastrutture e investimenti possono arrivare da molti attori internazionali. Ciò che storicamente distingue l’Italia, dai partenariati paritari di Enrico Mattei fino alla figura di esploratori come Carlo Piaggia, è la capacità di costruire infrastrutture immateriali: relazioni di fiducia, condivisione di saperi, formazione condivisa. La diplomazia delle Cattedre Unesco italiane è già oggi un presidio stabile in questo senso: una presenza continua che non si esaurisce al termine dei progetti ma sopravvive e rafforza una cooperazione radicata nel tempo in sinergia con i sette uffici regionali Unesco presenti in Africa.
Se davvero si vuole dare sostanza al Piano Mattei, questa specificità italiana deve tradursi in scelte concrete. Così come il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) ha recentemente istituito un fondo di 40 milioni di euro per il coinvolgimento delle Regioni nelle attività di cooperazione internazionale in Africa, sarebbe auspicabile un provvedimento analogo destinato alla Recui, integrata nel progetto Campus Africa dell’Unesco. Sarebbe un modo per recuperare lo spirito autentico del modello di Enrico Mattei: non solo accordi energetici, ma partenariati fondati su formazione e crescita condivisa.
Non è un caso che l’Unesco abbia riconosciuto, durante il Consiglio esecutivo del 1958, il valore del modello della “Scuola Mattei” di formazione internazionale, istituita dall’Eni nel 1957 per accogliere giovani laureati italiani e stranieri – in particolare provenienti dai Paesi produttori e in via di sviluppo. Quel riconoscimento sanciva che l’energia non è solo questione di approvvigionamenti, ma anche di educazione, cooperazione e diplomazia culturale. Ed è proprio su questo terreno che l’Italia dovrebbe oggi rafforzare il proprio ruolo: gli accordi bilaterali da soli non bastano senza una forte cornice multilaterale, fondata su agenzie come l’Unesco. Senza questo riferimento comune, la transizione rischia di restare incompleta: il multilateralismo non è un contorno, ma il cuore stesso della giustizia climatica. Come affermava Kofi Annan, “il multilateralismo è l’unica strada per affrontare sfide che nessun Paese può risolvere da solo”: oggi la transizione energetica ne è la prova più evidente.
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