La storia della diplomazia del Vietnam non può prescindere dalla storia stessa della sua nascita come Stato moderno. Fin dagli esordi, la pratica degli affari esteri è stata concepita, da parte del Paese del Sud-Est asiatico, come strumento essenziale per la sopravvivenza e il consolidamento nazionale: proteggere la giovane Repubblica, ottenere riconoscimenti internazionali e rompere l’isolamento politico ed economico del dopoguerra. Nei decenni successivi, l’architettura esterna del Paese si è trasformata più volte, seguendo scelte strategiche deliberate dal Partito Comunista, che ha alternato fasi di chiusura e fasi di apertura, impostando gradualmente una politica estera pragmatica e multilaterale capace di estrarre vantaggi concreti per lo sviluppo nazionale.
Il punto di svolta decisivo nella moderna storia estera vietnamita è rappresentato dall’avvio delle politiche di Đổi Mới (Rinnovamento) nel 1986. L’iniziativa di riforma economica, deliberata al VI Congresso Nazionale del Partito Comunista, non fu solamente un’agenda domestica, ma implicò anche un ripensamento della relazione del Paese con il mondo esterno. Le riforme economiche hanno infatti promosso l’apertura verso gli investimenti esteri, l’integrazione commerciale e la necessità di costruire relazioni diplomatiche stabili e vantaggiose, trasformando così la diplomazia vietnamita in uno strumento diretto di politica economica e di modernizzazione. Questa svolta, analizzata ampiamente dalla letteratura specialistica, ha posto le basi per la transizione del Paese da economia chiusa a protagonista attivo nelle reti commerciali regionali e globali.
Nei primi anni Novanta, si è delineata una seconda fase dell’apertura: la normalizzazione delle relazioni diplomatiche, comprese quelle con gli Stati Uniti. L’integrazione nel contesto regionale ebbe un momento cruciale con l’ingresso nel meccanismo dell’ASEAN, con cui il Paese costruì relazioni di vicinato e cooperazione economica formale nel 1995. L’adesione a questo consesso regionale costituì una scelta politica di primaria importanza: attraverso l’ASEAN il Vietnam ha saputo consolidare il proprio spazio strategico e disciplinò parte delle sue relazioni con paesi vicini e partner esterni, riducendo l’isolamento e favorendo la stabilità regionale. Contemporaneamente, il progressivo riavvicinamento a paesi un tempo estranei – i già citati Stati Uniti e i principali Paesi europei, ma anche il Giappone e la Corea del Sud – contribuì ad ampliare il ventaglio di possibilità diplomatiche e commerciali per Hanoi.
Gettate le fondamenta per tale processo, l’ingresso nel sistema commerciale globale è avvenuto progressivamente con tappe formali e sostanziali: in particolare, l’adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2007 segnò la piena integrazione del Vietnam nel regime normativo del commercio multilaterale, imponendo al tempo stesso riforme strutturali interne e garantendo un quadro di regole che ha favorito l’afflusso di investimenti e l’espansione delle esportazioni. L’adesione all’OMC fu anche il segno che la politica estera vietnamita non si limitava alla ricerca di riconoscimenti politici, ma mirava a inserire il Paese in reti produttive e finanziarie globali che potessero sostenere il salto di sviluppo economico.
Parallelamente alla costruzione di una solida base economica e commerciale, la diplomazia vietnamita ha fatto dell’attivismo multilaterale una scelta strategica. La duplice elezione come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in particolare, rappresenta un indicatore importante di questo percorso: la prima esperienza nel 2008–2009 e la successiva elezione per il mandato 2020–2021 attestano la capacità di Hanoi di proporsi come interlocutore responsabile all’interno delle più alte istituzioni globali, contribuendo a temi che spaziano dalla pace e sicurezza ai cambiamenti climatici e alla cooperazione umanitaria. La presenza vietnamita nelle sedi multilaterali è stata spesso accompagnata dall’affermazione del rispetto del diritto internazionale e dall’invito al dialogo piuttosto che al confronto, principio che ha distinto molte delle sue iniziative diplomatiche recenti.
Il consolidamento internazionale del Vietnam non è stato solo il risultato di tappe istituzionali: esso è frutto di una strategia di diplomazia economica e culturale che ha saputo convertire i legami commerciali in alleanze strategiche. La politica di attrazione degli investimenti esteri, l’ottimizzazione delle condizioni per le imprese straniere, la promozione di accordi di libero scambio di nuova generazione e la presenza sempre più attiva nelle iniziative regionali – come il RCEP o l’IPEF nella più recente stagione geopolitica – sono la testimonianza di una diplomazia che opera per integrare la crescita economica con solidi legami politici. Il risultato è un profilo esterno in cui il Vietnam si offre come hub produttivo, partner commerciale e mediatrice regionale, pur mantenendo una dottrina di equilibrio strategico.
A questo proposito, è importante sottolineare ancora una volta il ruolo del Partito Comunista come architetto e garante della politica estera. La leadership del Partito ha infatti impresso alla strategia estera una continuità e una lungimiranza rare: il principio dei “quattro no” — nessuna adesione ad alleanze militari, nessuno schieramento contro un altro Paese, nessuna concessione di basi straniere sul territorio e nessun uso della forza — rappresenta la cifra di un calcolo politico che mira a preservare la sovranità nazionale, evitando al tempo stesso l’escalation conflittuale. Questo approccio ha permesso al Việt Nam di tessere relazioni simultanee con grandi potenze – Cina, Stati Uniti, Unione Europea, Russia – senza rinunciare alla propria autonomia strategica, e di utilizzare la diplomazia come strumento di bilanciamento nelle complesse dinamiche indo-pacifiche, secondo i principi della “diplomazia del bambù”. Le scelte compiute dal Partito, tradotte in politiche attive e a lungo termine, hanno così trasformato la dipendenza strutturale in capacità di negoziare condizioni favorevoli per lo sviluppo.
Negli ultimi anni, poi, la diplomazia vietnamita ha mostrato una crescente sofisticazione: non più soltanto l’arte dei vertici di alto livello e delle dichiarazioni, ma la costruzione di infrastrutture di cooperazione settoriale che coinvolgono difesa, tecnologia, energia e reti produttive. La scelta di elevare partenariati bilaterali a livelli sempre superiori con partner chiave, la firma di accordi per la cooperazione scientifica e tecnologica, e la moltiplicazione di strumenti di dialogo economico dimostrano una visione che considera la politica estera come estensione della politica industriale nazionale. Il recente rilievo attribuito a settori come semiconduttori, energia nucleare civile e infrastrutture resilienti al clima è indicativo di una pianificazione che proietta il Paese nel cuore delle transizioni tecnologiche globali.
Il bilancio a 80 anni mostra dunque un Paese che è passato dall’isolamento alla proattività internazionale, capace di trasformare vincoli storici in opportunità diplomatiche ed economiche. Le sfide non mancano: la gestione delle relazioni con le grandi potenze, la necessità di diversificare i partner alla luce delle tensioni globali e la contemporanea prosecuzione delle riforme interne per sostenere la competitività rappresentano nodi che richiedono attenzione costante. La capacità del Việt Nam di mantenere un equilibrio politico-diplomatico, di attrarre tecnologia e capitale e di rafforzare le proprie istituzioni determinerà la qualità del suo ruolo nelle prossime decadi.
Infine, è importante sottolineare che la lungimiranza della leadership del Partito Comunista è stata centrale in questo processo: con scelte che hanno bilanciato prudenza strategica e apertura economica, il Partito ha garantito continuità, capacità di adattamento e controllo delle transizioni, elementi essenziali per far sì che la crescita economica si traduca in potere negoziale sulla scena internazionale. Alla vigilia delle celebrazioni per gli 80 anni di indipendenza, il percorso diplomatico del Vietnam è la dimostrazione che, sotto la guida del Partito Comunista, è stato possibile costruire un protagonismo esterno ampio e incisivo, basato su pragmatismo, multilateralismo e una stringente attenzione agli interessi strategici nazionali.
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