Carlo Sama, 77 anni, ravennate, cognato di Raul Gardini, entra in Ferruzzi nel 1983 e sposa Alessandra Ferruzzi nel 1991, la più giovane figlia di Serafino, fondatore del gruppo. Oggi, 33 anni dopo l’esproprio del gruppo Ferruzzi, Sama ha deciso di raccontare quella stagione dall’interno, soprattutto per i suoi nipoti, per restituire la memoria del bisnonno Serafino Ferruzzi, l’industriale più importante del Novecento italiano, e per mettere ordine in una storia spesso raccontata da altri.
Carlo, se il 10 dicembre 1979 Serafino Ferruzzi non avesse preso quel volo per tornare a casa da Londra, atterrando a Forlì con la nebbia invece che a Ravenna, pensa che la storia del gruppo avrebbe preso un’altra strada?
“Assolutamente sì. Il dottor Serafino Ferruzzi aveva un progetto industriale molto preciso. Innanzitutto ritornava per due ragioni. La prima era perché la moglie, la signora Isa, si era sottoposta a un esame ed era preoccupato per la salute della moglie; ritornò quindi da Londra nonostante fecero di tutto per trattenerlo. E la seconda ragione era perché avrebbe ricevuto il giorno dopo, l’11 dicembre, l’avvocato Agnelli: Serafino Ferruzzi aveva deciso di essere un azionista importante di Generali; l’intenzione era di comprare una quota fino al 10% del Gruppo. Il dottor Ferruzzi era uscito indenne da un tumore alla gola, dopo la sua totale guarigione le sue energie erano di un ragazzo giovane. Infatti nel 1979 comprò una quota importante nell’industria del cemento, ma soprattutto acquisì aziende agricole che erano una sua grande passione in Brasile, in Argentina. E sapeva perfettamente, perché ne aveva parlato ripetutamente con Alessandra, che il trading era qualche cosa che doveva essere pian piano abbandonato per trasformare il Gruppo in uno agroalimentare”.
Dopo la tragedia Gardini, uno dei maschi all’interno della famiglia prettamente di femmine insieme al primogenito Arturo Ferruzzi, prende in mano le redini della famiglia e dell’azienda grazie al contributo importante di Idina. Sama, lei che era al suo fianco, come ricorda quei primi anni e ci può dire perché la famiglia non si oppone?
“Il dottor Gardini, attraverso la moglie, in un certo senso impose la sua leadership. Arturo aveva ereditato dal padre la quota del 31%. Ricordo che i dirigenti lo avevano indicato come l’erede di Serafino Ferruzzi; era un uomo mite e buono, che amava l’agricoltura, ma la grande responsabilità di condurre un gruppo industriale, come quello che aveva lasciato il padre, secondo la mia opinione trovò nella candidatura di Idina, a favore di suo marito, quasi una via d’uscita. Alessandra era l’ultimogenita, molto piccola all’epoca, una neolaureata. Franca, l’altra figlia, e Vittorio Giuliani accettarono di buon grado la leadership di Raul del Gruppo. In un primo tempo Raul con i suoi due cognati, Arturo e Vittorio, si mossero tutti e tre assieme, ma questo durò poco, qualche mese.
L’acquisizione della Montedison fu improvvisata: il dottor Gardini aveva preso l’impegno di migliorare e aumentare la quota che possedeva il gruppo Ferruzzi: dall’1,7% si sarebbe dovuta attestare sul 5-7%. In realtà la mattina in cui dette ordine a Umberto Maiocchi di acquisire azioni Montedison, l’ordine fu di comprare a mani basse. A mezzogiorno, quando Maiocchi telefonò a Gardini, la quota che era stata acquistata era il 14,7%, pari a circa 2 mila miliardi di lire. Una cifra molto importante, che doveva essere versata entro la fine del mese, ma allo stesso tempo era nulla per quello che Gardini voleva realizzare, ovvero arrivare al controllo. Fu difficile ma l’obiettivo fu raggiunto circa un anno e mezzo dopo, con un esborso considerevole e un appesantimento nel bilancio stabilizzato da Ferruzzi, in quanto consolidava i debiti di Montedison. Questa fu una delle ragioni per le quali il gruppo si indebitò”.
Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi in quegli anni erano registi silenziosi di tutto, prima alleati, poi distanti fino al collasso. Se rilegge oggi quella stagione pensa che Piazzetta Cuccia abbia tradito la fiducia della famiglia Ferruzzi?
“Tradita la fiducia? Assolutamente sì, lei è benevolo nel giudizio, si tratta di qualcosa di assolutamente peggiore. Cuccia e Maranghi sono stati i registi e gli esecutori di un vero e proprio esproprio, approfittando della stagione di Mani Pulite dove la magistratura assunse un ruolo che non le competeva. La politica praticamente si dissolse e l’opinione pubblica era animata da una voglia di sangue, di caccia ai potenti. In quell’epoca Mediobanca crebbe ancora di più. Mediobanca, secondo la mia opinione, è stata la fortuna di quei capitalisti senza capitale, di coloro che appartenevano al salotto buono e avevano industrie più o meno decotte. Il nostro mazziere è stato chi ci ha ghigliottinato. La ragione era risolvere il problema grave della FIAT, che all’epoca aveva 34 mila miliardi di debiti e un disavanzo finanziario del settembre del 1993 di circa 10 mila miliardi di lire; era un’industria decotta. Inoltre non va dimenticato il fatto che Mediobanca, nella persona di Cuccia, assunse il ruolo di advisor una volta che misero i Ferruzzi nell’angolo bloccandogli tutti gli affidamenti bancari e conti attivi. Il sistema in pochissimi minuti rischiò il default e costrinse i Ferruzzi a consegnare azioni e diritto di voto. L’opinione pubblica non sa che all’epoca Mediobanca è il secondo azionista dopo i Ferruzzi. L’assunzione del ruolo di advisor da parte della banca è un’azione originale: alla fine di quella che loro chiamarono ristrutturazione, durata meno di 30 giorni, Mediobanca risultò essere il primo azionista. Da quel momento le quote di mercato mondiale ed europee furono traslate in molti di quelli che appartenevano al salotto buono, o addirittura svendute”.
Cosa ne pensa dell’OPS su Banca Generali bocciata dall’Assemblea del 21 agosto?
“Il 21 agosto sono avvenuti due fatti importanti: la presentazione del libro di Luciano Segreto, ‘Il costruttore e il giocatore’ a Piazza San Francesco (Ravenna), e la bocciatura da parte degli azionisti di Mediobanca dell’acquisizione di Banca Generali. Penso che sia finita un’epoca, non esprimo giudizi perché non mi sento di darne. Ero convinto che l’Offerta sarebbe stata vantaggiosa per gli azionisti di Mediobanca, non so se quello che verrà dopo sarà migliore, perché non ho elementi per giudicare. L’epoca di Mediobanca ritengo che sia finita con la scomparsa di Cuccia e di Maranghi, i guru della finanza: questo è ciò che, dal mio punto di vista, ha maggiormente impedito al mercato di entrare in Italia, erano talmente potenti che le loro ramificazioni arrivavano ovunque”.
Facciamo un passo indietro. Voi vi riunite in famiglia e decidete di liquidare le quote della moglie Idina Ferruzzi, per una supervalutazione di 500 miliardi di vecchie lire. A pensarci oggi lucidità o errore fatale?
“Sicuramente errore, su questo non ci sono dubbi. Ci sono due errori nel medesimo. Nei 505 miliardi 250 era la valutazione della quota di Idina Ferruzzi; gli altri 255 erano il famoso TFR del dottor Gardini, che pretese che fossero pagati associati al valore della quota di Idina per non pagare imposte (equivalevano all’epoca più o meno fra i 70 e i 90 miliardi di lire). I Ferruzzi, secondo me, non avrebbero mai avuto il coraggio di arrivare a tanto, per quello che io ho vissuto. In primo luogo non furono i Ferruzzi che cacciarono, ma fu il tentativo da parte di Gardini di un takeover sulla famiglia. In secondo luogo, il gruppo dirigente spinse i Ferruzzi a liberarsi di Gardini: in quegli anni le vicende Enimont, che hanno preceduto anche la grande battaglia, hanno paralizzato in parte l’attività del gruppo Ferruzzi. La famiglia non avrebbe mai avuto il coraggio di arrivare alla decisione a cui è arrivata, senza l’appoggio dei top manager che pretesero tutto questo. La leggenda popolare parla dei Ferruzzi come coloro che cacciarono Gardini, ma nel suo diario, il dodici ottobre 1990, Raul scrisse che il tempo di non essere più Ferruzzi era arrivato, perché lui e i suoi figli ci avrebbero solo rimesso, e che i conti non erano in ordine. La convinzione di Gardini, a un certo punto, è stata quella di meritarsi l’intero gruppo e di cambiare nome da Ferruzzi a Gardini, imponendo regole o pretese che nessuno sarebbe stato in grado di accettare”.
Ferruzzi è in crisi, Mediobanca non aiuta. Gardini è esiliato in Francia e vuole tornare in Italia. Trova un alleato, Giulio Malgara. Nasce la Garma, comprano Levissima e creano un gruppo da quasi 1.000 miliardi nell’alimentare. Quando ha saputo di questa operazione che cosa ha pensato lei e la famiglia?
“Ho pensato che si trattava di un’iniziativa straordinariamente importante e interessante. Ho sempre avuto una grande stima nel dottor Malgara: è stato un maestro del marketing. A questa acquisizione ho associato, anche per tutto quello che piano piano si stava scoprendo nell’epoca di Mani Pulite, che questo potesse essere il prologo di una sorta di tentativo di takeover sul gruppo Ferruzzi. Il gruppo Garma, in quel periodo, aveva il progetto di acquisire la SME: quello sarebbe stato l’ultimo tassello che avrebbe poi permesso a Gardini di tentare, e probabilmente di riuscire, a fare un takeover sulla Ferruzzi Finanziaria. Da tener presente che Raul Gardini, prima di lasciare il gruppo, aveva messo nelle mani di Jean-Marc Vernes e Camillo Benedetti. Una somma che più o meno è stata valutata, leggendo le carte e ascoltando i testimoni, di circa 640-650 miliardi di vecchie lire. All’epoca loro erano gli alleati di Gardini, in particolare Jean-Marc Vernes”.
Perché l’operazione SME non andò in porto?
“L’operazione SME non andò in porto perché noi eravamo concorrenti. Anche a me interessava moltissimo l’acquisizione. Quando io assunsi il ruolo di coordinatore o di leader della famiglia, ero impreparato ma accettai: ero quello che era stato più vicino a Gardini, che, in un certo senso, sapeva di più e poteva coordinare anche il gruppo dirigente”.
Cosa non rifarebbe delle cose che sono successe?
“Tutto è perfettibile, ci saranno mille cose che potevano essere migliorate. Raul Gardini esce nella seconda metà del 1991 e nel 1992 inizia Mani Pulite. Mani Pulite è stato un uragano, uno tsunami. È stata una rivoluzione, ha spazzato via una classe politica e parte una della classe dirigenziale. Aveva inculcato nella gente il terrore: il carcere preventivo trasformava gli uomini in topi e in traditori; raccontavano anche quello che non sapevano, i pettegolezzi, e dai pettegolezzi partivano le informazioni di garanzia. Sono stato arrestato per una dazione di denaro che la Calcestruzzi, società quotata in Borsa, ha erogato al dirigente dell’Enel per un trasporto naviero; in realtà nella Calcestruzzi non ho mai avuto ruolo, non sono mai stato in un CdA, o avuto incarichi. Sarò entrato all’interno del gruppo una decina di volte. Non era sufficiente il mandato di cattura, anzi era pretestuoso”.
Arriviamo al 23 luglio del 1993. Tutti pensano al complotto. Gardini si è appena sparato, ovviamente non da solo. Poi si riscontrò che non fu così. Ma la verità sta nei conti fiduciari svuotati da Berlini e nelle risposte che non sono mai arrivate da lui. Cosa ne pensa? E dove è finita l’ultima parte del patrimonio lasciato nel 1979?
“Purtroppo si possono fare soltanto delle ipotesi, Alessandra e io siamo stati gli unici che abbiamo fatto causa al signor Berlini in Svizzera; abbiamo vinto la causa, ma il tribunale non ci ha concesso la possibilità di verificare i conti perché facevano parte del segreto professionale di Berlini stesso. Ricordo che nel marzo 1993, quando Gardini mi permise di andare da Berlini per verificare gli attivi, Berlini mi raccontò dei 186 milioni di dollari depositati presso i suoi conti correnti. Di questi 186 milioni di dollari non abbiamo più saputo nulla nel grande sconvolgimento di Mani Pulite. Abbiamo però letto sui giornali, verificato e visto (ho scritto anche al Professor Rossi), che Berlini aveva negoziato con il pool di Mani Pulite la sua incolumità versando 70 miliardi di lire alla Banca Popolare di Novara. Un impiegato, per quanto potesse essere pagato, non credo che potesse disporre di tale somma. Per di più erano titoli di azioni quotate che facevano parte dell’elenco dei 186 milioni di dollari. Quella somma avrebbe abbassato enormemente anche quel buco in bilancio che ho sbiancato di 435 miliardi il 30 giugno del 1993. Quando lo dichiarai in consiglio di amministrazione, fui smentito da Maranghi, che non era neanche nel CdA, e da Magnani che aveva fatto da ponte tradendo la fiducia della famiglia Ferruzzi con Mediobanca, pensando che sarebbe potuto diventare il leader della nuova Ferruzzi Finanziaria, e invece fu cacciato”.
Grazie dottor Sama di questa prima parte. Desidero parlare anche dell’uomo, del marito, del padre e del nonno. Dopo l’assoluzione piena da tutti i capi d’accusa qual è la cosa che oggi le dà più piacere fare?
“Alla mia età la mia grande soddisfazione è quella di essere nonno, di vedere questi giovani virgulti, questi neonati. Ho due nipotine che hanno pochi mesi. La cosa più bella è l’aver trovato, in tutti quanti questi anni, quel calore, affetto e afflato all’interno della propria famiglia. Di questo ne sono molto orgoglioso. Mia moglie è una donna meravigliosa, una mamma straordinariamente importante e i figli sono tutti bravi. Questo è il merito più grande, l’unico che mi prendo perché vedo che sono cresciuti, sono laureati, hanno studiato, sono competenti ma soprattutto sono genitori responsabili. Credo che la cosa più bella sia l’aver partecipato alla realizzazione di questa realtà”.
Ho letto il suo libro ‘La caduta di un impero’ della famiglia Ferruzzi e l’ho divorato, è una storia vissuta da lei in prima persona, scritta molto bene. Le faccio i complimenti
“La ringrazio”.
Si sente un uomo appagato, malgrado tutto quello che la vita le ha riservato?
“È una domanda difficile. Devo riconoscenza a Raul Gardini che mi ha dato la possibilità di vivere una vita straordinaria nel bene e nel male. Errori penso di averne commessi tantissimi, tutto si può migliorare. Vivo con il rimpianto di non essere riuscito a realizzare quello che era a portata di mano. Un progetto importante di ristrutturazione del gruppo Ferruzzi, nella scia di quello che aveva indicato il fondatore. Era molto semplice poter sviluppare quel progetto che aveva iniziato Serafino Ferruzzi, ne aveva indicato la strada. Raul Gardini, in una prima fase, lo ha seguito ed è stata l’epoca migliore del Gardini imprenditore. Poi con l’acquisizione di Montedison tutto cambia: il gruppo era potere e il potere è un gas venefico, se assorbito si rischia l’intossicazione. Cosa che è successa a tutti noi, non solo a Gardini. Rimpiango di non essere riuscito a salvare quello che era un patrimonio inestimabile, che avrebbe fatto grande anche l’Italia. Il gruppo Ferruzzi era il più grande gruppo agroalimentare italiano, ma non solo. Era europeo e anche mondiale (i derivati della soia, di cui avevamo la leadership mondiale, rappresentavano una quota di mercato molto importante): aveva la possibilità di sviluppare il progetto che avevamo immaginato. Anche la SME, di cui abbiamo parlato prima, avrebbe contribuito. C’è una cosa, invece, di cui sono stato orgoglioso. Nel maggio 1993 era finita per me l’epoca del capitalismo familiare: ho aperto un’intervista con una mia dichiarazione riportata dal Financial Times in modo assolutamente rilevante, affermando che la cassaforte di famiglia doveva essere aperta a terzi investitori, e il mio progetto era quello di togliere la Edison dal mercato, società quotata, di fonderla con la Serafino Ferruzzi e di riquotarla aprendola, come dicevo, al mercato di terzi azionisti. Un progetto semplice, banale forse, ma incredibilmente efficace, considerando anche quello che dopo è successo”.
Concludo con una frase molto importante, di fianco a un uomo c’è sempre una grande donna; sua moglie Alessandra, che è con lei da oltre 40 anni, le ha dato forse quell’energia e quella forza per cui lei oggi è qua a raccontarci questa storia e a testimoniare quella che è la verità. Una verità forse da tutti noi sconosciuta, che doveva emergere per raccontare la storia di un nonno, di un padre e ovviamente di un’azienda che ha fatto la storia dell’industria italiana dell’agroindustria, quella di Serafino Ferruzzi. Un ultimo commento su sua moglie Alessandra e la saluto ringraziandola molto per avermi concesso questa intervista
“Alessandra è una donna meravigliosa, molto colta, preparata. La sua anima sta nella corrispondenza che ha tenuto con Raul Gardini e con sua sorella Idina: fra poche settimane sarà depositata insieme a tutto il resto del materiale che è servito ai professori della Bocconi per scrivere ‘Il costruttore e i giocatori’ alla Biblioteca Oriani di Ravenna. In quella corrispondenza c’è la preparazione di mia moglie e la sua bontà d’animo, perché disperatamente ha cercato in tutti i modi di far riflettere Raul Gardini in quello che stava facendo, di convincerlo ad abbandonare quel progetto di takeover e di modifica dell’eredità dei fratelli Ferruzzi. In più, c’è il volto di una donna, di una vera mamma e adesso di una nonna; è una donna fantastica”.
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