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Siria. L’impegno della Turchia nella ricostruzione


di Armando Donninelli –

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Dopo una guerra civile durata 14 anni, i ribelli filo sunniti di Hayat Tahir al-Sham (HTS) tra il 7 e l’8 dicembre del 2024 conquistavano Damasco costringendo Bashar al-Assad alla fuga. Il confitto continuava, anche se con un intensità minore, tuttavia il cambio di regime costituiva una svolta epocale dato che la famiglia al-Assad aveva governato con pugno di ferro il paese per oltre mezzo secolo. Le conseguenze di tale cambiamento si producevano anche a livello regionale.
Tra queste anche le relazioni tra Siria e la vicina Turchia, da sempre altalenanti e caratterizzate da convergenze, come la repressione dei curdi, ma anche da divergenze, come la collocazione filo atlantica di Ankara e la tradizionale vicinanza a Mosca di Damasco. Tali relazioni erano notevolmente peggiorate dall’inizio della guerra civile siriana a causa del supporto di Ankara ai ribelli dell’HTS.
La situazione creatasi con la fuga di Bashar al-Assad era certamente favorevole alle iniziative della Turchia che, pochi giorni dopo il cambio di regime inviava nel paese vicino inviava il proprio ministro degli Esteri, Hakan Fridan, per normalizzare le relazioni diplomatiche e gettare le basi per la cooperazione con i nuovi governanti. Contemporaneamente il presidente turco Recep Tayyp Erdogan dichiarava in Parlamento che la Turchia avrebbe aiutato la Siria a ricostruire la sua rete infrastrutturale e di approvvigionamento energetico.
Alle dichiarazioni verbali seguivano poi iniziative concrete. Il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture della Turchia, Abulkadir Uraloglu, comunicava che il suo dicastero aveva elaborato un dettagliato piano per la ristrutturazione e il pieno funzionamento dei cinque aeroporti siriani, della ferrovia dell’Hegiaz, risalente agli inizi del 1900, ma anche delle due principali autostrade siriana, cioè la M4 e la M5 della lunghezza complessiva di circa 700 km. Uraloglu affermava poi che per l’attuazione di tale programma vi era già un’intesa di massima con i nuovi governanti siriani.
La sfida per la ricostruzione appariva certamente ardua, l’ONU stimava una cifra complessiva attorno ai 400 miliardi di dollari, tuttavia poteva apparire anche come un occasione di profitto. Alcune delle principali aziende turche nel settore delle costruzioni, come la Enka Insaat, la Yapi Merkezi e la Kaylon Holding, su incoraggiamento di Ankara, hanno immediatamente inviato propri rappresentanti in Siria iniziare ad operare in un mercato che offre grandi prospettive di lavoro. Va evidenziato che le aziende turche delle costruzioni sono anche favorite dal poter offrire la notevole esperienza maturata nelle ricostruzioni in patria a seguito del terremoto del 2023.
Vicinanza geografica, affinità religiose e prontezza nell’agire hanno assicurato da subito un ruolo centrale della Turchia nella ricostruzione della Siria. Ciò viene confermato dalla crescita esponenziale delle esportazioni dal paese anatolico alla Siria di attrezzature e di materiali utilizzati nel settore delle costruzioni.
Minore interesse Ankara ha dimostrato per la ricostruzione delle numerose abitazioni distrutte o danneggiate in Siria, ciò probabilmente perché ha un’importanza strategica minore e perché, dalla fine del conflitto, molti siriani presenti in Turchia come profughi hanno deciso di tornare ha casa e hanno dato così l’impressione che quello delle abitazioni sia un problema secondario o comunque in fase di risoluzione.
Uno dei problemi più urgenti che i nuovi governanti siriani si sono trovati davanti è quello della carenza di energia elettrica nel paese, difatti il 50% della rete elettrica era stato danneggiato e veniva prodotto solo il 40% di quello che si produceva nel periodo prima del conflitto, assicurando così alla maggior parte del paese solo tre ore di elettricità al giorno.
Anche in tale settore Ankara agì prontamente, difatti agli inizi di quest’anno comunicò di aver raggiunto un accordo con il nuovo governo siriano per la fornitura di 800 megawatt di energia elettrica da effettuare tramite navi provviste di generatore, ciò in collaborazione con il Qatar, un altro paese che aveva supportato i ribelli. Tale intesa, che serviva a soddisfare i bisogni più urgenti, aprì la strada ad altri accordi in ambito energetico ben più ampi, favoriti dall’imminente alleggerimento delle sanzioni da parte di USA e UE contro Damasco.
All’inizio di maggio Ankara rese pubblico un accordo, appena raggiunto, in base al quale il paese anatolico avrebbe fornito al suo vicino meridionale 6 milioni di metri cubi di gas al giorno, pari 2 miliardi di metri cubi all’anno. Ciò utilizzando il gasdotto nella provincia sud orientale della Turchia di Kilis che si sarebbe dovuto estendere fino ad Aleppo.
Il 29 maggio veniva conclusa un’intesa tra un consorzio internazionale di imprese e il governo siriano per la costruzione di centrali a gas e ad energia solare della capacità complessiva di 5.000 megawatt. Tale intesa, dell’importo complessivo di 7 miliardi di dollari e finanziata da banche regionali e internazionali, prevedeva all’interno del consorzio un ruolo centrale per le imprese turche Kalyon GES Enerji Yatirimlari e la Cegiz Enerji.
Tali accordi in ambito energetico avvenivano in parallelo a trattative dirette ad assicurare ad Ankara un ruolo centrale nella ristrutturazione e gestione dei porti siriani. Queste trattative sono ben avviate e si inseriscono nel progetto di valorizzare le risorse petrolifere siriane. Il paese è difatti ricco di petrolio, nel periodo antecedente la guerra produceva oltre 400mila barili al giorni di cui circa la metà esportati. La presenza della Turchia nei porti siriani consentirebbe al paese anatolico di avere un ruolo centrale nello strategico settore esportazioni di petrolio.
Anche nell’ambito del trasporto aereo le Turchia ha assunto un ruolo da protagonista, fornendo al suo vicino meridionale assistenza tecnica per l’adeguamento agli standard internazionali previsti per tale settore. Questa collaborazione è culminata agli inizi di agosto di tale anno con un accordo, con un consorzio internazionale di imprese a forte presenza turca, dell’importo complessivo di 4 miliardi di dollari diretto a ristrutturare ed ampliare l’aeroporto di Damasco.
L’impegno turco nella ricostruzione della Siria è indiscutibile, come viene anche confermato dalle numerose missioni di esperti inviate da Ankara in Siria e dai vari progetti elaborati unilateralmente in tale ambito. Spesso tali progetti restano lettera morta, vista la situazione di incertezza tuttora presente in Siria, danno però l’impressione di inserirsi in una politica fortemente interventista da parte della Turchia nella Siria del dopo Assad.
Alcune banche turche sotto controllo statale, come ad esempio la Turkish Agricultural Bank, hanno iniziato ad operare in Siria per supportare le imprese turche operanti nel paese. Va segnalato che molte di queste imprese, soprattutto nel settore delle costruzioni, dell’energia sono collegate all’AKP, il partito al governo in Turchia. Sfruttando un contesto di distruzione e abbandono, Ankara sta perseguendo un progetto diretto a penetrare nei settori più strategici dell’economia siriana. Tale sforzo proseguirà in futuro, difatti recentemente il Ministro del Commercio della Turchia, Omer Bolat, ha dichiarato che le banche del suo paese hanno in programma numerose operazioni in Siria.
La Turchia è riuscita ad acquisire un ruolo rilevante anche nella sicurezza siriana, ciò tramite un accordo concluso il 14 agosto di quest’anno in base al quale Ankara fornirà armi, logistica, addestramento e servizi d’intelligence all’esercito del suo vicino meridionale. Alla base di tale accordo vi è certamente la comune ostilità contro le tendenze separatiste dei curdi, difatti all’inizio del mese vi sono stati degli scontri tra esercito di Damasco e ribelli curdi. Tale intesa, in un settore cosi delicato, rivela il successo dei tentativi di Ankara di avere un ruolo da protagonista nel paese vicino.
A motivare il massiccio sforzo della Turchia nella ricostruzione siriana è certamente lo spirito umanitario, non bisogna dimenticare che Ankara all’apice della crisi siriana ha ospitato oltre tre milioni di profughi provenienti da quel paese, fornendo loro, nel disinteresse dell’Europa, un’assistenza non perfetta ma comunque dignitosa. Tuttavia, a tale nobile motivazione se ne aggiungono altre.
Anzitutto il desiderio turco di stabilizzare la lunga frontiera di 911 km con la Siria. Ciò tanto nell’ottica di spegnere i focolai di guerra civile che ancora permangono, ma anche combattere i curdi presenti a ridosso del confine e desiderosi di creare uno stato curdo che occuperebbe anche territori della Turchia.
Vi è poi il desiderio di far entrare definitivamente la Siria nella propria sfera d’influenza, cancellando così il periodo di Bashar al-Assad in cui era l’Iran, assieme alla Russia, ad avere influenza sul paese vicino.
Da non dimenticare la volontà di rinsaldare i legami con le ricche monarchie del golfo le quali, salvo poche eccezioni, hanno supportato i ribelli siriani. La ricostruzione della Siria, alla quale anche i citati paesi partecipano, è apparsa come il mezzo ideale per raggiungere tale scopo.
Tali motivazioni si inseriscono in un più ampio progetto di Erdogan di ottenere per il suo paese un ruolo di leadership regionale, come dimostrano i sempre più duri attacchi verbali che egli riserva ad Israele, notoriamente detestato in Medio Oriente.



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