In Ucraina le offerte di lavoro ricevono sempre meno candidature. Con uomini e donne impegnati al fronte e il numero di vittime di guerra in crescita quotidiana, sta diventando difficile colmare la carenza di manodopera. Per questo le imprese ucraine cercano sempre più spesso nuovi dipendenti in India, Bangladesh, Pakistan, Nepal, in alcuni casi nei Paesi dell’Africa centrale e settentrionale. È una soluzione che adotta da anni tutto il mondo occidentale: in assenza di lavoratori, nel breve periodo l’unica strategia efficace per l’economia è l’immigrazione.
«La domanda di assunzioni internazionali è in costante crescita», ha detto al Kyiv Independent Mykola Zazulyak, Ceo e fondatore della società di reclutamento Nuworkers, che dal 2024 ha reclutato decine di stranieri per aziende ucraine. Il quotidiano ucraino in lingua inglese ha dedicato una lunga analisi al fenomeno, spiegando che a mancare sono soprattutto dipendenti per lavori stagionali e posizioni entry level nel settore manifatturiero, nell’edilizia, nella logistico e nell’agricoltura. «Per molti datori di lavoro ucraini, è la prima volta che devono rivolgersi a candidati stranieri, fuori dal mercato del lavoro nazionale», ha detto ancora Zazulyak.
In Ucraina, la crisi occupazionale è esplosa dopo l’invasione su vasta scala da parte della Russia. Un sondaggio della European Business Association, condotto tra fine 2023 e inizio 2024, mostra che quasi tre quarti delle aziende ucraine faticano a trovare personale.
Non deve sorprendere, è un’ovvia conseguenza della guerra. L’invasione russa ha provocato una massiccia diaspora, con circa cinque o sei milioni di rifugiati ucraini andati all’estero e centinaia di migliaia di uomini in età lavorativa rimasti feriti dopo il loro coinvolgimento al fronte. Il mercato interno è inevitabilmente incapace di soddisfare la domanda di manodopera.
Il numero esatto di stranieri arrivato in Ucraina per lavoro è ancora sconosciuto, perché il Paese non dispone di un registro nazionale unificato dei lavoratori migranti. Il numero di lavoratori stranieri è ancora contenuto, probabilmente nell’ordine di poche migliaia, si legge nell’articolo, e solo il dieci per cento dei datori di lavoro poi è disposto ad assumere. Le aziende, scrive il Kyiv Independent, si affidano ad agenzie private e spesso devono offrire alloggi e stipendi molto competitivi per attrarre candidati.
Sul piano legislativo, i primi provvedimenti sono già arrivati. La Verchovna Rada, il Parlamento ucraino, ha depositato un disegno di legge a luglio 2024 per rendere più facile per i datori di lavoro assumere cittadini non ucraini attraverso un unico permesso di lavoro e di soggiorno. Inoltre, il provvedimento prevede che gli studenti stranieri possano avere fino a nove mesi per trovare un lavoro o avviare un’attività. Ma per modificare le norme i tempi sono lunghi, mentre la guerra aggiorna il conto dei morti e dei feriti a una velocità insostenibile.
Per questo, scrive il Kyiv Independent, «in futuro, l’Ucraina non avrà altra scelta che avviare un programma di immigrazione di massa, soprattutto quando la ricostruzione inizierà sul serio».
Dall’altro lato della linea del fronte, la mancanza di manodopera affligge anche la Russia e le sue aziende. Il fallimento dell’avanzata russa a Kyjiv nei primi giorni dell’invasione ha costretto Vladimir Putin a rivedere le strategie militari e industriali: l’esercito russo arruola chiunque, in qualunque modo, facendone carne da cannone. Mentre le imprese, riconvertite per alimentare un’economia di guerra, hanno sempre meno lavoratori a disposizione.
In questo caso la soluzione cercata dall’autocrate del Cremlino è molto diversa dall’approccio graduale di integrazione dell’Ucraina – che ha il problema di dover conciliare le esigenze delle aziende con i diritti dei lavoratori. La Russia ha colmato una parte della carenza di manodopera con i lavoratori nordcoreani. Lo ha rivelato la Bbc in una lunga analisi pubblicata la settimana scorsa. «Migliaia di nordcoreani vengono mandati a lavorare in condizioni di schiavitù in Russia per colmare un’enorme carenza di manodopera, aggravata dall’attuale invasione dell’Ucraina da parte della Russia», scrive Jean Mackenzie, corrispondente da Seul per l’emittente britannica.
I turni possono arrivare fino a diciotto ore al giorno, con appena due giorni di riposo all’anno. I lavoratori vivono in container sporchi o in edifici grezzi e incompiuti, spesso senza accesso a servizi sanitari, e sono controllati costantemente da militari – spesso anche loro nordcoreani – per evitare fughe. Le motivazioni per accettare tali condizioni sono spesso economiche: molti sperano di accumulare denaro per la propria famiglia o per investimenti futuri, ignorando le dure condizioni che li attendono.
La Russia, inoltre, usa spesso visti studenteschi per aggirare le sanzioni Onu che vietano l’impiego di lavoratori nordcoreani. Secondo fonti sudcoreane, il numero dei lavoratori nordcoreani impiegato nelle aziende russe è destinato a crescere fino a cinquantamila nei prossimi mesi, con una distribuzione su grandi progetti edilizi, fabbriche tessili e nel settore dell’IT, e molti anche nei territori ucraini occupati.
Ucraina e Russia sono come poli opposti. Anche se la propaganda imperialista del Cremlino dice che l’Ucraina è Russia e gli ucraini non esistono. Mentre Kyjiv cerca di integrare i lavoratori stranieri, considerandoli una risorsa economica e sociale, Mosca li sfrutta come forza lavoro praticamente schiavizzata. In Ucraina, l’iniziativa privata e il dibattito legislativo puntano a creare condizioni di lavoro dignitose e incentivi per l’integrazione, anche come fase preliminare in vista di una futura ricostruzione del Paese. In Russia, la manodopera nordcoreana serve solo a compensare la carenza di personale in un contesto di guerra, senza garanzie legali o sociali.
La guerra ha reso evidente come Ucraina e Russia abbiano applicato modelli opposti per affrontare la crisi di manodopera: Kyjiv sta provando a integrare lavoratori stranieri in un sistema legale e dignitoso, al netto delle difficoltà, mentre Mosca li sfrutta e li maltratta con i metodi tipici di una dittatura.
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