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Putin e Zelensky si incontrano, Trump: “Risultati sostanziali”


Da Washington a Mosca, passando per le capitali europee, la guerra in Ucraina ha imboccato una fase di trattative che si moltiplicano tra dichiarazioni e contraddizioni. Donald Trump vuole proporsi come mediatore globale, Volodymyr Zelensky cerca garanzie tangibili per la sicurezza del suo Paese, mentre Vladimir Putin si dice pronto a un bilaterale che potrebbe dare una svolta alla storia.

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I leader europei tentano di non farsi relegare a comparse in un negoziato capace di riscrivere gli equilibri continentali. Ma mentre la diplomazia apparecchia tavoli e vertici, dall’altra parte del mondo le bombe continuano a cadere su Kharkiv e Zaporijjia.

Putin accetta il bilaterale con Zelensky, summit atteso entro agosto

La cosa più importante di questo incontro tra Trump e Zelensky è l’esser riusciti a raggiungere la parvenza di un accordo fino a pochi mesi fa impensabile. Mosca ha aperto alla possibilità di un bilaterale fra Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, da tenersi entro agosto (entro 10 giorni, quindi) in una sede non ancora definita.

Subito dopo è previsto un trilaterale con Donald Trump, che ha confermato l’avvio dei preparativi consacrando, nel bene e nel male, il suo ruolo di deus ex machina.

Emmanuel Macron ha colto la palla al balzo ricordando che un simile schema dovrebbe poi allargarsi a un incontro a quattro con l’Europa, così da assicurare agli alleati continentali un posto reale al tavolo.

Ucraina e Russia, il nodo dei territori resta aperto

Pace fatta quindi, con una stretta di mano a favor di giornalisti? Non proprio. Zelensky ha fatto capire che al bilaterale con Putin sarà inevitabile affrontare il problema dei territori, rimasto strategicamente fuori dalla lunga maratona di Washington. Trump ha più volte accennato a possibili scambi di terre, ma finora il dibattito si è spostato su altri dossier, proprio perché questa è la vera patata bollente.

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Il leader ucraino ha però insistito: quella mappa, quelle linee, potrà discuterle solo direttamente con il Cremlino. Zelensky ha spiegato di aver passato molto tempo con Trump davanti a una mappa delle aree occupate, insistendo sul fatto che il quadro mostrato a Washington non corrispondesse alla realtà. Ha ricordato che, nei mille giorni di guerra, Mosca avrebbe ottenuto appena una minima frazione del territorio ucraino e che i dati in possesso degli americani non erano affidabili.

Cosa si sono detti Trump e Putin al telefono

Putin stava in Russia, ma non è rimasto in silenzio. Il Cremlino ha fatto sapere che Trump e Putin hanno parlato al telefono per circa quaranta minuti mentre Zelensky e i leader europei si trovavano a Washington. Yuri Ushakov, consigliere del presidente russo, ha descritto la conversazione come “franca” e “abbastanza costruttiva”.

Mosca ha lasciato intendere di voler tenere ancora il confronto a un livello tecnico, parlando della possibilità di “alzare il livello dei rappresentanti” invece di passare subito a un faccia a faccia tra i capi di Stato. Trump, dal canto suo, ha raccontato di aver già avviato con Putin i preparativi per un bilaterale e, in prospettiva, per un trilaterale.

E poi c’è anche del gossip geopolitico che vale la pena raccontare. Alcune ricostruzioni giornalistiche sostengono che, a microfoni spenti, Trump abbia confidato a Macron che Putin cerca un’intesa soprattutto a misura dei suoi interessi.

Mark Rutte, segretario generale della Nato, ha spiegato che nella telefonata con Trump, Putin avrebbe accettato in linea di principio un incontro con Zelensky. Nella stessa occasione ha descritto Trump come un “mediatore pragmatico”, formula che riecheggia il linguaggio accomodante adottato da molti leader europei per spingerlo a mantenere fede all’impegno.

Il cambio di tono alla Casa Bianca

Il vertice di Washington si è svolto in un clima più disteso rispetto all’ultima volta. D’altronde è difficile toccare i livelli di tensione della volta precedente alla Casa Bianca, con Trump che accusava Zelensky di volere la terza guerra mondiale. Una crisi quasi rientrata col bilaterale dentro San Pietro alla morte di Papa Francesco.

Ieri sera, i due hanno mostrato un’intesa maggiore, allontanando il ricordo del loro scontro che aveva preoccupato gli alleati. Zelensky, in abito scuro anziché con la solita divisa militare, ha ricevuto un complimento dallo stesso Trump per la scelta. Durante le prime dichiarazioni nella stanza ovale ha parlato poco, preferendo rimandare i dettagli ai momenti successivi.

Le differenze si sono manifestate nel momento in cui Friedrich Merz ed Emmanuel Macron hanno insistito sulla necessità di un cessate il fuoco immediato. Trump ha ribattuto che una tregua preliminare non serva, preferendo passare subito a un’intesa definitiva. Zelensky non ha preso posizione, scegliendo di tacere su un tema che resta divisivo. Più tardi, però, ha definito quello con Trump “il miglior incontro avuto finora”, segnale di un clima diverso rispetto al passato.

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Il ruolo degli altri leader europei: cosa hanno detto

Al tavolo erano presenti anche Emmanuel Macron, Keir Starmer, Friedrich Merz, Giorgia Meloni, Alexander Stubb, Ursula von der Leyen e Mark Rutte. I leader hanno discusso con Trump e Zelensky di garanzie di sicurezza e questioni umanitarie.
Tra i temi trattati, il possibile acquisto di armamenti americani finanziati da fondi europei e la produzione di droni in Ucraina, alcuni dei quali destinati agli Stati Uniti.

Emmanuel Macron ha parlato di un progresso, pur frenando gli entusiasmi: “Dubito che Putin voglia la pace”, ha detto, chiedendo nuove sanzioni se le trattative non andranno in porto. Ha evocato anche un ruolo diretto delle forze europee in missioni di peacekeeping e ha spiegato che Trump sarebbe pronto a colpire Mosca con nuove tariffe se la Russia non collaborerà.

Alexander Stubb è stato netto nel definire Putin “non affidabile”, pur riconoscendo che la telefonata con Trump a margine degli incontri di Washington è stata utile, anche se restano i dubbi sulla reale disponibilità del Cremlino.

Keir Starmer ha parlato di “passo storico” per la sicurezza europea, mentre Giorgia Meloni ha definito la giornata importante ma priva di soluzioni facili.

Trump e la narrazione sui cessate il fuoco: cosa non torna

Durante gli incontri, Trump ha ribadito di voler restare impresso come un “peacemaker-in-chief”, arrivando a dire di aver chiuso sei guerre senza ricorrere a tregue temporanee.

Ha elencato conflitti in Medio Oriente, Africa e Asia come prove del suo operato, ma la narrazione non regge a un esame accurato. In Iran ordinò bombardamenti prima di accettare una tregua, in Kashmir New Delhi e Islamabad non riconoscono alcun suo ruolo, e tra Egitto ed Etiopia la disputa sulla diga è ancora irrisolta.

Perfino lui in passato aveva celebrato dei “ceasefire” in quelle aree. L’incoerenza pesa oggi sul suo approccio all’Ucraina: Trump insiste su un’intesa rapida, saltando il passaggio di un cessate il fuoco preliminare. Su questo resta lo scarto con Putin, che vuole fissare i confini prima di fermare le armi, mentre Kiev pretende che il silenzio dei cannoni arrivi prima di aprire il capitolo territoriale.

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Nuovi raid russi durante la notte

Mentre la diplomazia lavora a una difficile trattativa, la guerra sul campo non si ferma. Nelle ultime ore Mosca ha condotto nuovi raid contro l’Ucraina, mentre la difesa russa ha riferito di aver abbattuto droni lanciati da Kiev. A Kharkiv si contano almeno sette vittime, tra cui una bambina di un anno e mezzo, e decine di feriti.

A Zaporijjia e Donetsk altri attacchi hanno provocato morti e feriti. Kiev ha denunciato un’azione “dimostrativa e cinica” della Russia, dicendo che è avvenuta proprio mentre a Washington si parlava di pace.





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