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«Quel Cubo veneto che accende la luce, gli unici ad averlo». Ge Vernova Grid Solutions, l’azienda di Noventa di Piave che testa attrezzature per l’alta tensione


NOVENTA DI PIAVE (VENEZIA) – Sono quelli del “Cubo” che svetta per la struttura tra i capannoni e si vede dall’autostrada all’uscita di Noventa di Piave. Il Cubo è una enorme “sala prove” dove si testano attrezzature per l’alta tensione; tra poco arriverà un macchinario da un milione di Kilowatt. La “Ge Vernova Grid Solutions“, l’unica azienda al mondo con un laboratorio di alta tensione, produce sezionatori e interruttori, crea reti da milioni di volt per trasportare energia a grandi distanza. Il fatturato è di 265 milioni di euro, tre anni fa erano 116. I dipendenti sono 270, 85 in più in tre anni. Il 90 per cento della produzione va sui mercati europei, nelle Americhe e in Asia. La Ge Vernova è dell’americana General Electric, a guidare l’azienda veneta è Fabio Bagolin, 58 anni, di San Donà di Piave, cresciuto nella fabbrica. Alla Vernova cercano personale e non lo trovano.

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Come mai avete difficoltà nelle assunzioni?

«Cerchiamo una trentina di nuovi dipendenti all’anno, oltre naturalmente a quelli necessari per coprire tutte le uscite. Cerchiamo dall’operaio specializzato al tecnico, all’ingegnere, ma anche tutte le altre figure dal magazzino all’amministrazione. Non andiamo alla ricerca soltanto di figure di un tecnicismo elevatissimo, per noi la sicurezza è molto importante. Forse qualche problema dipende dal fatto che viviamo in una regione dove il livello occupazionale è alto. C’è anche il fatto che non siamo molto conosciuti, per due motivi: facciamo prodotti che non sono di consumo normale; poi in 50 anni il nome è cambiato più volte anche per l’assetto societario e questo non ha contribuito a far entrare il nome nella testa della gente».

Quando è nata l’azienda?

«Più di mezzo secolo fa a Noventa di Piave, nel maggio del 1973. Si chiamava Ceme (Costruzioni Elettromeccaniche Minella Emilio). Il signor Minella, il fondatore, si era spostato da Pianiga, nella Riviera del Brenta, perché qui c’erano i finanziamenti per le infrastrutture della nuova zona industriale e c’era l’autostrada accanto. Sono partiti facendo quadri di media tensione e morsetteria, ancora oggi produciamo morsetteria. Minella era sostanzialmente un investitore, aveva fatto arrivare tecnici dalla Magrini, a incominciare dall’ingegner Giovanni Frate che oggi ha 99 anni ed era anche un inventore geniale. Poi è entrato in società il fratello di Frate, un geometra che faceva grandi impianti di risalita, carpenteria pesante e linee ad alta tensione in Arabia Saudita.

L’azienda è subito cresciuta in Italia e all’estero, specie in Venezuela e in Iran. Questo sino al 1992, quando una multinazionale anglofrancese ha acquistato la Ceme perché interessata al mercato italiano. Allora si chiamava Alstom e si occupava di treni. Dopo c’è stato l’intervento, nel 2005, della società francese Areva, quella delle centrali nucleari francesi, e da qui la vendita dieci anni dopo all’americana General Electric. Oggi siamo americani. Un anno fa all’interno della GE è nata Vernova che produce tutto quello che fa parte del settore. Facciamo anche i sezionatori che servono una linea senza carico, facciamo dispositivi di sicurezza per media e alta tensione. Gli interruttori aprono e chiudono una linea con una carica; hanno la stessa funzione dell’interruttore casalingo che accende e spegne la luce, solo che non va a 220 volt, ma anche a quasi 500 mila. Per i sezionatori parliamo di apparecchi sino a un milione di volt. I nostri clienti in Italia sono Enel e Terna».

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La questione dazi ha inciso nei vostri piani?

«I dazi sono entrati in vigore da aprile, sono passati al 13-14%, con l’accordo sostanzialmente è cambiato poco, negli ultimi mesi abbiamo rinegoziato i contratti. Bisogna vedere meglio gli effetti delle misure adottate. Oggi siamo impegnati principalmente in Australia per migliorare la loro rete e andare nella direzione di ridurre l’emissione di CO2».

Il futuro del settore?

«Potrei anche dire estremamente positivo. Sono in questo settore dal 1989 e non ho mai vissuto in una condizione come questa. Siamo noi a dettare i tempi ai nostri clienti, in Europa la richiesta di energia elettrica è anche tre volte superiore a tre anni fa. Le grandi utility, come l’Enel, hanno investimenti almeno per un decennio e a questo è legata la nostra crescita.

C’è una forte spinta a livello globale, i Paesi si stanno muovendo in maniera diversa verso il green per l’indipendenza energetica; si cercano fonti di produzione alternativa: nel Mare del Nord si stanno creando parchi eolici, ci sono discussioni sul nucleare di nuova generazione. Oggi si deve fare attenzione a dare stabilità alla rete di trasmissione e a rendere il sistema adatto al futuro. Si dovrà lavorare sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica: Cina, Usa e India sono quelli che ne emettono più al mondo. I risultati sono che non abbiamo più l’estate, ogni anno è diversa, e quando piove succede il disastro».

L’opera più importante realizzata?

«Siamo riconosciuti come supporti tecnici nel mondo, se c’è un progetto difficile ne parlano con noi, in questo mercato siamo leader. La cosa più difficile fatta è stata un progetto pilota con Enel per una stazione Mille Kw: voleva creare una rete da un milione di volt per trasportare energia a grandi distanze. La stazione pilota è stata realizzata in Toscana, a Suvereto, oggi non c’è più, ma quella realizzazione ci ha aiutato a crescere. Tutti i numeri riguardano la corrente alternata che rappresenta il 99% di quella che il mondo usa, ma negli ultimi vent’anni trasferire energia da un punto all’altro comporta costi altissimi e con grandi perdite di energia. Penso a paesi molto grandi come Cina, India, Brasile. Noi abbiamo fatto progetti in corrente continua che ha pochissime perdite, a fornire prodotti in corrente continua siamo due in tutto il mondo.

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Abbiamo collaborato anche a progetti con concorrenti e questo ci ha dato credibilità tecnica. Ma è stato difficile anche entrare nel mercato tedesco, hanno standard molto elevati sia tecnici che qualitativi. Abbiamo la capacità di risolvere i problemi in maniera tempestiva anche grazie alla collaborazione con le aziende del nostro territorio. La nostra realtà si basa su una struttura importante, su fornitori seri che ci affiancano nei momenti dell’emergenza e delle difficoltà. La StoX di San Donà di Piave, con Massimiliano Stocco che ha anche il perno della Confapi sandonatese che ci dà assistenza; Transpack per la logistica; Rope per la componente organi di manovra».

Michela Favaro, trevigiana, 49 anni, si occupa del marketing e delle risorse umane. Perché avete difficoltà a farvi individuare e, quindi, anche a trovare personale?

«Parlando con i responsabili di un’agenzia interinale ci sottolineavano il fatto che non è facile presentarci come un’azienda agli interessati. Facciamo qualcosa che a molti sfugge. Però, adesso la gente ci riconosce come il “Cubo”, che è la cosa che ci identifica aldilà delle trasformazioni societarie. Il Cubo supera le insegne, avvolge alta tecnicità e mistero, fa in modo che non siamo rimasti solo quelli dell’alta tensione. In realtà il Cubo è una enorme sala prove, una sala dove si certificano i test, siamo gli unici produttori al mondo che hanno il laboratorio di alta tensione».





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