Nell’ultimo articolo (lo trovi qui) ci siamo soffermati sulla potenza comunicativa dell’Earth Overshoot Day come indicatore integrato e simbolico per comprendere la pressione umana sulle risorse naturali. Non si limita a descrivere la data, ma offre strumenti analitici per capire come e quanto sia possibile invertire la rotta, indicando chiaramente i settori di intervento prioritari e sottolineando le disuguaglianze ecologiche a scala globale.
Nell’approfondimento di oggi, ci soffermeremo sul percorso normativo senza precedenti per integrare la sostenibilità come elemento strutturale dell’economia, trasformandola da scelta volontaria a requisito strategico per la competitività.
In quest’ottica, la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), entrata ufficialmente in vigore nel gennaio 2023, ha rappresentato una delle riforme cardine: un’estensione radicale degli obblighi di rendicontazione ESG (Environmental, Social and Governance) che, a partire dal 2025, avrebbe coinvolto non solo le grandi aziende quotate, ma anche migliaia di medie imprese, comprese molte realtà non precedentemente soggette a vincoli di trasparenza extra-finanziaria[1].
Il quadro regolatorio, definito nei dettagli attraverso gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS), puntava a garantire uniformità, comparabilità e affidabilità dei dati comunicati dalle imprese, fornendo agli investitori e agli stakeholder informazioni solide per orientare decisioni economiche e finanziarie.
Tuttavia, nel passaggio dalla teoria alla pratica, sono emerse difficoltà concrete: la complessità tecnica degli standard, la mole di dati da raccogliere, l’assenza di sistemi informativi adeguati in molte imprese e, non ultimo, l’impatto economico degli adempimenti in un contesto già segnato da inflazione, alti costi energetici e tensioni geopolitiche[2].
È in questo scenario che, all’inizio del 2025, la Commissione Europea ha annunciato una svolta strategica, presentando il cosiddetto Pacchetto Omnibus: un insieme di proposte di semplificazione e di proroghe che riduce in maniera significativa gli oneri di compliance, posticipa alcune scadenze e introduce maggiore flessibilità per le imprese, pur mantenendo gli obiettivi di lungo periodo del Green Deal e della finanza sostenibile[3].
Cosa cambia con il Pacchetto Omnibus e le nuove proroghe agli obblighi di rendicontazione
Con il Green Deal europeo e il Piano d’Azione sulla Finanza Sostenibile, l’Unione Europea si è posta l’obiettivo di trasformare la sostenibilità in un elemento strutturale della competitività.
La Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), entrata in vigore il 5 gennaio 2023, è uno dei pilastri di questa strategia: essa estende l’obbligo di rendicontazione di sostenibilità da circa 11.000 a oltre 50.000 imprese europee, richiedendo la pubblicazione di dati ESG dettagliati secondo gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS).
Il percorso iniziale era serrato:
- 2025 → prime grandi aziende europee obbligate al reporting;
- 2026–2027 → progressivo coinvolgimento di tutte le grandi imprese e delle PMI quotate;
- 2029 → piena operatività, inclusi standard settoriali.
Questo impianto, se da un lato avesse promesso trasparenza, dall’altro avrebbe sollevato forti preoccupazioni sul carico amministrativo e sui costi di adeguamento, in particolare per le PMI e le aziende a bassa marginalità[4].
A febbraio 2025 la Commissione Europea ha presentato il Pacchetto Omnibus: un intervento legislativo ampio che riguarda non solo la CSRD, ma anche la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), il Regolamento Tassonomia UE e il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM)[5].
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Le novità introdotte dalla riforma
L’obiettivo dichiarato è ridurre i costi e la complessità per le imprese, pur mantenendo un adeguato livello di qualità e comparabilità delle informazioni[6].
Le novità introdotte si articolano in sei interventi principali:
- Riduzione degli indicatori obbligatori: Con la riforma, il perimetro si restringe ai soli indicatori quantitativi considerati fondamentali: emissioni di gas serra, consumi di acqua ed energia, quota di energia proveniente da fonti rinnovabili e percentuale di materiali riciclati utilizzati;
- Maggiore libertà nella valutazione di materialità: La CSRD, nella sua formulazione originaria, imponeva il principio della “doppia materialità” mentre con le nuove regole, un’azienda potrà escludere interi temi se li ritiene non rilevanti, purché la scelta sia motivata e documentata;
- Introduzione di soglie economiche per i rischi e le opportunità climatiche: Una delle innovazioni più rilevanti è la possibilità di non includere in rendicontazione rischi o opportunità legati al clima che, secondo le stime aziendali, abbiano un impatto economico inferiore a una determinata percentuale dei ricavi o degli utili;
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Eliminazione dell’obbligo di standard settoriali: L’EFRAG stava sviluppando ESRS specifici per singoli settori economici (energia, trasporti, agricoltura, finanza…), che sarebbero stati obbligatori per le aziende operanti in quei comparti. La riforma cancella tale obbligo: restano in vigore solo gli standard generali “cross-sectoral”, mentre quelli settoriali diventano facoltativi.
Il vantaggio è la riduzione della complessità e la prevenzione di doppie rendicontazioni; - Semplificazione della rendicontazione elettronica: Il formato elettronico XBRL, richiesto secondo lo standard ESEF, prevedeva un tagging esteso su quasi tutti i punti dati, con costi significativi in termini di software e formazione del personale. Ora il tagging sarà limitato al nucleo essenziale di indicatori principali[7];
- Rinvio dell’assurance “ragionevole”: La CSRD prevedeva, in prospettiva, che le informazioni di sostenibilità fossero soggette a un livello di garanzia “ragionevole”, equivalente a quello dei bilanci finanziari.
Con le nuove disposizioni, questo passaggio è rinviato a data da definirsi: per ora resta in vigore la “garanzia limitata”, una verifica meno onerosa, basata su controlli a campione e sull’analisi della coerenza generale[8].
Gli altri ambiti toccati dal Pacchetto Omnibus: il Regolamento sulla Tassonomia
Per quanto riguarda il Regolamento sulla Tassonomia, il Pacchetto Omnibus limita l’applicazione di questo alle sole grandi imprese soggette alla CSDDD, cioè con oltre 1.000 dipendenti e almeno 450 milioni di euro di fatturato annuo.
Per tutte le altre aziende l’adesione diventa facoltativa.
L’obiettivo è concentrare gli obblighi di rendicontazione sugli operatori che hanno un impatto ambientale e finanziario più rilevante, riducendo il peso amministrativo su PMI e mid-cap. Tra i vantaggi troviamo sicuramente un alleggerimento degli oneri per migliaia di imprese minori e delle risorse aziendali liberate per attività operative e innovazione[9]. Tra gli svantaggi, invece, c’è il rischio di ridurre la copertura e la completezza del database europeo sulla finanza sostenibile ed una possibile perdita di comparabilità tra imprese della stessa filiera.
Il CBAM
Spostandoci sul CBAM, ossia il Carbon Border Adjustment Mechanism, sappiamo che è lo strumento UE che applica un prezzo sul carbonio ai beni importati ad alta intensità di CO₂ (cemento, acciaio, alluminio, fertilizzanti, elettricità, idrogeno)[10].
Il Pacchetto Omnibus lo rende più snello intervenendo su tre punti chiave: la riduzione dei parametri nei report trimestrali, meno indicatori obbligatori, concentrandosi su quelli essenziali; l’uso di valori predefiniti quando non si disponga di dati primari completi, per velocizzare la rendicontazione ed i controlli semplificati per piccoli volumi – soglia de minimis per importazioni annuali inferiori a 50 tonnellate.
Queste modifiche, previste per entrare in vigore a settembre 2025, abbassano i costi di compliance e facilitano le procedure per importatori di dimensioni ridotte o con catene di fornitura complesse[11].
Tra gli aspetti positivi troviamo sicuramente la riduzione del carico burocratico, maggiore rapidità nelle dichiarazioni, minore barriera all’ingresso per piccole importazioni.
Invece, per quanto concerne i contro, una potenziale diminuzione della precisione delle stime di emissioni, con conseguente indebolimento del “segnale di prezzo” della CO₂ che il CBAM intende trasmettere.
Il Pacchetto Omnibus interviene anche sul quadro informativo legato agli investimenti sostenibili, in coordinamento con SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation) e altri atti collegati[12].
Le principali semplificazioni:
- Flussi informativi più lineari tra imprese, investitori e autorità di vigilanza, evitando duplicazioni di dati tra CSRD, SFDR e Taxonomy;
- Modelli di report più standardizzati per favorire il riuso dei dati da parte di banche, gestori e assicurazioni;
- Maggiore coerenza terminologica per ridurre le discrepanze interpretative nei diversi Stati membri.
L’obiettivo è migliorare l’efficienza dell’intero ecosistema della finanza sostenibile, evitando che la complessità normativa si traduca in costi extra per gli investitori finali e in ritardi nell’allocazione dei capitali verso progetti “green”[13].
Per sostenere le aziende nell’adeguamento, Confindustria ha avviato attività formative e lo sviluppo di un repository dati che permetterà alle imprese di automatizzare parte della raccolta delle informazioni necessarie[14].
Il 16 aprile 2025 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale UE la Direttiva (UE) 2025/794, che ufficializza un’estensione dei tempi: Le grandi aziende obbligate alla CSRD dovranno iniziare la rendicontazione dal 2027 anziché dal 2025.
Le PMI quotate avranno tempo fino al 2028. La Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), che obbliga le imprese a monitorare e prevenire impatti negativi lungo la catena di fornitura, slitta di un anno rispetto alle scadenze originarie[15].
Il contesto politico e le prospettive
Il Pacchetto Omnibus non è un intervento isolato, ma parte di una strategia più ampia dell’UE per rilanciare la competitività industriale e ridurre gli oneri amministrativi in un contesto di forte pressione competitiva globale, in particolare da Stati Uniti e Cina[16].
Negli ultimi mesi, diversi Stati membri e organizzazioni imprenditoriali hanno evidenziato che le nuove norme sulla sostenibilità, pur con finalità positive, rischiavano di gravare in modo eccessivo sulle aziende, specialmente le PMI.
La Commissione ha quindi raccolto l’invito del Consiglio Europeo di “snellire” l’attuazione del Green Deal per non compromettere la capacità produttiva europea.
Il Parlamento Europeo ha attivato la procedura d’urgenza (Rule 163), che riduce i passaggi legislativi e permette di approvare il pacchetto senza emendamenti complessi, evitando lunghi negoziati in commissione[17].
Questa scelta sottolinea la volontà politica di dare certezza alle imprese in tempi brevi.
Il Consiglio dell’UE ha espresso sostegno unanime alla linea della Commissione, sottolineando che la semplificazione delle norme di rendicontazione ESG è un tassello essenziale della strategia di competitività europea[18].
Se il testo passerà senza modifiche sostanziali, l’adozione formale avverrà entro poche settimane.
Le nuove regole dovrebbero entrare in vigore nel corso del 2025, con un’applicazione scaglionata che darà alle aziende più tempo per adeguarsi, in particolare a quelle che sarebbero state obbligate a rendicontare per la prima volta nel 2026-2027.
Quali sono le prospettive e le implicazioni?
- Per le imprese europee: riduzione immediata dei costi di compliance e maggiore flessibilità nella rendicontazione.
- Per gli investitori: rischio di avere meno informazioni dettagliate e comparabili nel breve termine, con possibili impatti sulla valutazione dei rischi ESG.
- Per il posizionamento globale dell’UE: la semplificazione è pensata per evitare che le imprese europee siano penalizzate rispetto a concorrenti extra-UE, ma dovrà essere bilanciata con l’esigenza di mantenere standard di trasparenza elevati, per non perdere credibilità nei mercati internazionali[19].
Analisi finale: il compromesso europeo tra ambizione e pragmatismo
ONG e attivisti temono un indebolimento della trasparenza e della capacità di monitorare i rischi ESG, denunciando un passo indietro rispetto agli obiettivi del Green Deal. Investitori istituzionali segnalano il rischio di avere dati insufficienti per valutare i rischi legati al cambiamento climatico e alle questioni sociali[20].
Con il Pacchetto Omnibus, la Commissione Europea ha scelto una strategia di equilibrio. L’obiettivo dichiarato è chiaro: non arretrare sugli impegni climatici e sociali, ma evitare che gli oneri di rendicontazione diventino un freno per la competitività delle imprese europee in un contesto geopolitico ed economico complesso[21].
Questo compromesso risponde a due pressioni opposte:
- L’urgenza ambientale e sociale: Gli obiettivi del Green Deal e dell’Agenda 2030 richiedono azioni rapide e misurabili. Il rischio di rallentare la raccolta di dati o di ridurre la trasparenza è che diventi più difficile valutare se l’Europa stia davvero avanzando verso la neutralità climatica;
- La sostenibilità economica delle imprese: In particolare, le PMI e le aziende meno strutturate rischiavano di dover affrontare costi sproporzionati per adeguarsi agli standard ESRS nella loro versione originaria. In una fase di rallentamento della crescita, energia costosa e concorrenza extra-UE, il carico amministrativo può diventare un fattore critico di sopravvivenza[22].
Perché questa scelta è rilevante per le imprese italiane
In Italia, il provvedimento potrebbe generare un doppio binario: Grandi imprese e multinazionali: continueranno a implementare sistemi completi di rendicontazione ESG, spinti da esigenze di mercato e reputazione. PMI: si limiteranno al minimo obbligatorio, rimandando l’adozione di standard avanzati fino a quando non sarà strettamente necessario o conveniente[23]. Questo scenario rischia di ampliare il gap tra aziende più internazionalizzate e quelle radicate nei mercati locali, con effetti anche sull’accesso ai fondi del PNRR e ai finanziamenti verdi. Il tessuto produttivo italiano è composto per oltre il 90% da PMI e da filiere ad alta specializzazione ma con margini operativi ridotti. Per queste realtà, il passaggio a un sistema di rendicontazione ESG completo e verificato rappresentava:
- Un investimento iniziale elevato in consulenza, software e formazione.
- Un cambio di mentalità: passare da una rendicontazione prevalentemente economico-finanziaria a una che include anche parametri ambientali, sociali e di governance.
- Un rischio reputazionale: pubblicare dati ambientali poco favorevoli senza avere ancora strategie di miglioramento consolidate.
Le semplificazioni introdotte possono quindi allungare i tempi di adattamento e permettere alle aziende di concentrarsi prima su misurazioni essenziali e su pochi KPI prioritari[24].
Secondo la Commissione, la somma delle semplificazioni potrebbe portare a risparmi annuali per oltre 6 miliardi di euro in costi amministrativi[25].
Tuttavia, il rovescio della medaglia è evidente: meno obblighi oggi possono significare meno preparazione domani. Nei mercati globali, l’accesso a capitali competitivi dipenderà sempre più da dati ESG completi, comparabili e verificabili e le imprese che rinvieranno l’adeguamento rischiano di trovarsi in svantaggio competitivo.
C’è però un rischio strategico, ossia, ridurre troppo la profondità e la comparabilità delle informazioni ESG che può andare a minare:
- La fiducia degli investitori internazionali: poiché basano sempre di più le decisioni sui dati ESG verificabili e comparabili a livello globale;
- L’accesso ai finanziamenti sostenibili: molte banche e fondi applicano criteri ESG rigorosi per concedere credito o includere un’azienda in portafoglio;
- La capacità di risposta regolatoria futura: meno dati oggi possono significare una minore capacità di individuare criticità e intervenire tempestivamente[26].
Nei prossimi 2-3 anni, è verosimile che assisteremo ad un doppio binario:
- Grandi imprese e multinazionali continueranno a implementare sistemi di rendicontazione completi e integrati, spesso andando oltre i minimi di legge, per esigenze di mercato e reputazione.
- PMI e aziende a bassa intensità ESG si concentreranno sui dati minimi obbligatori, rinviando l’adozione di standard più avanzati fino a quando non sarà strettamente richiesto o conveniente[27].
Questo crea una dinamica asimmetrica che l’UE dovrà gestire: il rischio è che, nel medio periodo, si formi un divario informativo tra aziende grandi e piccole, con le seconde meno visibili e meno integrate nei mercati internazionali[28].
Note
[1] Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), Glossary: Climate Neutrality, https://www.ipcc.ch.
[2] European Securities and Markets Authority (ESMA), Mid-cap definitions, https://www.esma.europa.eu.
[3] Global Reporting Initiative (GRI), Information gaps in ESG data, https://www.globalreporting.org
[4] OECD, Global Value Chains, https://www.oecd.org.
[5] EFRAG, Materiality Assessment in ESRS, https://www.efrag.org.
[6] United Nations Environment Programme Finance Initiative (UNEP FI), Sustainable Finance, https://www.unepfi.org.
[7] Presidenza del Consiglio dei Ministri, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – Italia, https://italiadomani.gov.it.
[8] Commissione Europea, Omnibus package – Reducing reporting burdens, comunicato stampa 2025, https://ec.europa.eu/commission/presscorner.
[9] Global Reporting Initiative (GRI), Information gaps in ESG data, https://www.globalreporting.org; Freeman, R. Edward, Strategic Management: A Stakeholder Approach, Cambridge University Press, 2010.
[10] European Commission, EU Industrial Competitiveness Report 2024, https://single-market-economy.ec.europa.eu.
[11] Presidenza del Consiglio dei Ministri, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – Italia, https://italiadomani.gov.it.
[12] Parlamento Europeo, Rule 163 – Urgent procedure, https://www.europarl.europa.eu.
[13] Nazioni Unite, Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development, A/RES/70/1, https://sdgs.un.org/2030agenda.
[14] Freeman, R. Edward, Strategic Management: A Stakeholder Approach, Cambridge University Press, 2010.
[15] Direttiva (UE) 2025/794 del Parlamento Europeo e del Consiglio, GU L 105 del 16.4.2025, https://eur-lex.europa.eu.
[16] EFRAG, Materiality Assessment in ESRS, https://www.efrag.org.
[17] OECD, Global Value Chains, https://www.oecd.org.
[18] Direttiva (UE) 2025/794 del Parlamento Europeo e del Consiglio, GU L 105 del 16.4.2025, https://eur-lex.europa.eu.
[19] United Nations Environment Programme Finance Initiative (UNEP FI), Sustainable Finance, https://www.unepfi.org.
[20] Parlamento Europeo, Rule 163 – Urgent procedure, https://www.europarl.europa.eu.
[21] Commissione Europea, Omnibus package – Reducing reporting burdens, comunicato stampa 2025, https://ec.europa.eu/commission/presscorner.
[22] Commissione Europea, The European Green Deal, COM (2019) 640 final, https://eur-lex.europa.eu/legal-content.
[23] European Commission, EU Industrial Competitiveness Report 2024, https://single-market-economy.ec.europa.eu.
[24] Regolamento Delegato (UE) 2019/815, ESEF Regulation, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32019R0815.
[25] European Securities and Markets Authority (ESMA), Mid-cap definitions, https://www.esma.europa.eu.
[26] Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), Glossary: Climate Neutrality, https://www.ipcc.ch.
[27] XBRL International, About XBRL, https://www.xbrl.org.
Corporate Europe Observatory, Lobbying the EU on climate policy, https://corporateeurope.org
[28] Global Footprint Network, Earth Overshoot Day 2025, https://www.overshootday.org
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