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perché spariscono botteghe e servizi


Negli ultimi dieci anni il mondo dell’artigianato in Friuli Venezia Giulia ha vissuto un arretramento profondo: dal 2014 al 2024 gli artigiani sono passati da 38.885 a 31.128, con una perdita di oltre 7.750 unità (-19,9%). Solo nell’ultimo anno, tra 2023 e 2024, si contano oltre 1.400 artigiani in meno (-4,4%). Un’emorragia che ridisegna l’economia locale e mette a rischio servizi essenziali per famiglie e imprese.

Un decennio in caduta

In dieci anni, un artigiano su cinque ha chiuso. Il calo non riguarda solo il FVG, ma l’intero Paese. Nel quadro nazionale spiccano contrazioni più intense in Marche (-28,1%), Umbria (-26,9%), Abruzzo (-26,8%) e Piemonte (-26%). Il FVG si colloca comunque nella fascia alta del ridimensionamento, confermando una tendenza strutturale e non episodica.

Il Mezzogiorno regge meglio

La ripartizione geografica con le “perdite” più attenuate è il Mezzogiorno, sostenuto dagli investimenti legati al PNRR e dagli effetti del Superbonus 110% sul comparto casa. Questi fattori hanno attenuato il calo complessivo, mostrando come politiche espansive e domanda edilizia possano frenare la discesa del numero degli operatori.

Al 31 dicembre 2024 le imprese artigiane attive in FVG risultano 27.657. Il ridimensionamento della platea è stato in parte accompagnato da fusioni e aggregazioni: meno partite IVA ma aziende mediamente più strutturate, con impatti positivi su produttività e capacità di investimento in diversi comparti (trasporto merci, metalmeccanico, installazione impianti, moda).

Riparazioni e manutenzioni a rischio

Se oggi è già complicato trovare un idraulico, un elettricista, un fabbro o un serramentista per interventi rapidi, fra dieci anni la situazione potrebbe diventare critica. L’invecchiamento degli operatori e il carenza di ricambio generazionale rischiano di tradursi in tempi di attesa lunghi e servizi più costosi, con riflessi diretti sulla qualità della vita e sulla sicurezza delle abitazioni.

Le cause della crisi

Alla base del crollo concorrono più fattori: invecchiamento demografico degli addetti, scarso ingresso di giovani, burocrazia pesante, tassazione e affitti in crescita, pressione della grande distribuzione e dell’e-commerce. A ciò si aggiunge il cambio di abitudini di consumo: dall’artigianale su misura al prodotto seriale “usa e getta”, spesso scelto online e consegnato a domicilio.

Scuola e formazione: rimettere al centro l’istruzione professionale

Negli ultimi 45 anni il lavoro manuale ha subito una svalutazione culturale. Gli istituti professionali sono stati percepiti come percorsi di “serie B”, mentre rappresentano il nervo della filiera formativa. Servono investimenti in orientamento, PCTO e laboratori, valorizzando il ruolo formativo dell’artigiano e creando passerelle concrete scuola-impresa.

Settori che resistono e crescono

Non tutto arretra. In controtendenza:

  • il benessere (acconciatori, estetiste, tatuatori), trainato da domanda stabile;
  • il digitale (sistemisti, web marketing, video maker, social media), in espansione;
  • l’alimentare (gelaterie, gastronomie, pizzerie d’asporto), soprattutto nelle destinazioni turistiche.
    Questi segmenti mostrano resilienza e capacità di innovazione, indicando dove concentrare politiche attive e credito.

Piccoli centri e borghi: presidio da salvare

La rarefazione di botteghe e laboratori nei centri storici e nei borghi indebolisce identità, servizi di prossimità e attrattività turistica. Lo spopolamento di aree montane e collinari ha accelerato la chiusura di negozi e attività, con un effetto domino su vivibilità e decoro urbano.

Un sostegno mirato: il reddito di gestione delle botteghe

Per i comuni fino a 10.000 abitanti si propone un “reddito di gestione” a favore di chi apre o mantiene una bottega artigiana o commerciale compatibile con la residenzialità. Un meccanismo selettivo, legato a requisiti (orari minimi, apertura annuale, servizi essenziali alla comunità), per garantire presidi economici e sociali dove il mercato non basta.

La riforma della legge 443/1985

Il Parlamento sta lavorando a una riforma della legge quadro n. 443/1985, con novità di rilievo:

  • vendita diretta al pubblico per le imprese alimentari artigiane;
  • maggiore flessibilità dei consorzi, aperti anche alle PMI non artigiane;
  • fondo biennale da 100 milioni per credito e garanzie (Confidi, Artigiancassa);
  • innalzamento del tetto occupazionale da 18 a 49 addetti, in linea con gli standard UE;
  • focus sull’imprenditore artigiano, revisione dei vincoli societari, definizione più chiara del perimetro di attività, valorizzazione del ruolo formativo, istituzione di una commissione consultiva presso il Ministero del Made in Italy.
    L’obiettivo è rimuovere vincoli che frenano la crescita e facilitare investimenti e transizione digitale.

Focus provinciale: dove si soffre di più

Nel decennio la situazione più critica è a Gorizia (-23,2%, circa -790 artigiani), seguita da Udine (-21,2%, circa -4.084), Pordenone (-20,7%, circa -2.236) e Trieste (-11,9%, circa -647). Nell’ultimo anno la flessione più marcata si registra ancora a Gorizia (-5,5%, circa -152), segnale di una fragilità persistente nell’area giuliana.

Una strategia per il rilancio

Per invertire la rotta serve un pacchetto integrato:

  • formazione professionale e apprendistato di qualità;
  • incentivi a ricambio generazionale e trasmissione d’impresa;
  • semplificazione amministrativa e riduzione degli oneri locali;
  • accesso agevolato a credito, digitale e transizione green;
  • politiche mirate per borghi e comuni minori;
  • sostegno a reti, consorzi e filiere territoriali.
    Senza interventi coerenti e continuativi, il rischio è la desertificazione artigiana con ricadute sulla manutenzione del patrimonio edilizio, sulla qualità dei servizi e sull’identità delle comunità locali.



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