Approvato ad aprile scorso dalla Cabina di regia e diffuso successivamente, il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne (PSNAI) 2021-2027 ha introdotto una formula che sta scuotendo il dibattito pubblico. All’obiettivo 4 del documento, denominato “Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”, viene esplicitamente dichiarato che una porzione significativa dei territori italiani “non può porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza”.
Le aree interne sono i territori del paese più distanti dai servizi essenziali (quali istruzione, salute, mobilità). Parliamo di circa 4.000 comuni, con 13,4 milioni di abitanti, a forte rischio spopolamento (in particolare per i giovani), e dove la qualità dell’offerta educativa risulta spesso compromessa
La strategia governativa prevede, infatti, di “assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento” dei comuni coinvolti. Il documento ministeriale traccia una distinzione netta tra territori considerati “rilanciabili” e zone classificate come “senza speranza”. Per quest’ultime, caratterizzate da una struttura demografica compromessa con popolazione in forte declino e basse prospettive di sviluppo economico, il PSNAI prevede strategie di “gestione passiva” piuttosto che di recupero.
Le proiezioni ISTAT evidenziate nel Piano mostrano che oltre l’82% dei comuni delle aree interne perderà popolazione entro il 2043, con picchi del 93% nel Mezzogiorno. Nel solo 2024, risultano 358 i comuni italiani a zero nascite, concentrati quasi esclusivamente in queste zone dove il rapporto tra over 65 e under 15 raggiunge 2,5 a 1.
Reazioni istituzionali e critiche al documento
La formulazione ha sollevato ft14orti contestazioni da parte di amministratori locali, ricercatori e associazioni di categoria. L’Unione Nazionale dei Comuni Montani ha chiesto la rimozione della formula, temendo che possa giustificare l’inattività amministrativa. L’Associazione Comuni Virtuosi ha respinto con forza la logica dell’”irreversibilità”, definendola “una resa formale mascherata da strategia”. Oltre 150 soggetti tra docenti universitari, sindaci, urbanisti e operatori culturali hanno sottoscritto un appello pubblico contro questa impostazione, che equivale secondo i firmatari a “un accompagnamento alla buona morte, un’eutanasia”.
Il dibattito si è intensificato anche all’interno del CNEL, che ha presentato a giugno un dossier dal titolo “Rigenerazione e ripopolamento delle aree territoriali marginali”, in controtendenza rispetto alle linee del PSNAI. Le critiche convergono sulla mancanza di una visione che riconosca le opportunità strategiche presenti nei territori interni, dall’agricoltura sostenibile al turismo lento, dalle energie rinnovabili alla difesa idrogeologica.
Il servizio scolastico in pericolo per il calo demografico
La strategia si traduce nella creazione di un’Italia a doppia velocità, dove le periferie cessano di essere considerate oggetto di politiche di recupero per diventare aree di gestione passiva. Le proiezioni ISTAT contenute nel Piano prevedono che nei prossimi dieci anni l’Italia perderà complessivamente 500.000 studenti nelle scuole superiori, 300.000 nelle medie, 400.000 nelle primarie e oltre 156.000 nelle scuole dell’infanzia.
Gli effetti sulla popolazione scolastica si traducono in numeri drammatici: negli ultimi anni sono state chiuse oltre 2.600 scuole dell’infanzia e primarie, con previsione di ulteriori 1.200 chiusure nei prossimi cinque anni. La ricerca conferma che la chiusura dell’unica scuola primaria comporta una riduzione della popolazione in età scolare tra l’8 e il 16%, mentre il calo dei giovani adulti (35-49 anni) si attesta tra l’11 e il 18%. Questi territori perdono così il presidio culturale fondamentale per la coesione comunitaria, innescando un circolo vizioso dove “perdendo la scuola, il territorio è quasi naturalmente destinato all’abbandono.
Carenza di servizi essenziali e abbandono scolastico
Le conseguenze del Piano Strategico si manifestano nella carenza strutturale di servizi educativi nelle aree classificate come “senza speranza”. Il documento evidenzia come i territori registrino livelli di apprendimento più bassi e maggiori tassi di abbandono scolastico rispetto ai centri urbani. Problematiche specifiche includono la scarsità di mense scolastiche, palestre inadeguate e trasporto scolastico insufficiente, elementi che ostacolano il percorso formativo degli studenti.
La Strategia Nazionale richiama l’attenzione sul ruolo cruciale della scuola per fornire ai ragazzi “competenze e strumenti adeguati per decidere autonomamente se restare dove sono nati o spostarsi”. Paradossalmente, il PSNAI rinuncia a investimenti finalizzati a trattenere giovani nelle zone declinate come “irreversibili”, limitandosi a interventi di “welfare del tramonto“ per assistere esclusivamente la popolazione anziana residente.
Impatto economico e desertificazione educativa
L’approccio del Piano governativo produce effetti economici quantificabili: la chiusura delle scuole comporta un calo del reddito comunale tra l’8 e il 12%, dovuto principalmente allo spopolamento. La desertificazione educativa colpisce soprattutto il Mezzogiorno, dove due terzi delle scuole chiuse si concentrano, accentuando la polarizzazione tra città affollate e campagne abbandonate. Mentre il resto d’Europa investe nelle aree rurali attraverso rappresentanza istituzionale e fondi dedicati, l’Italia sceglie di “accompagnare al tramonto” milioni di cittadini, compromettendo irreversibilmente il diritto all’istruzione e la coesione nazionale.
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